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La caricatura all’opera

Satira e melodramma nel Risorgimento

10 novembre 2023 – 25 febbraio 2024
Atrio scamozziano

Dalla storia all’attualità: la caricatura all’opera

Chi ha già visitato la mostra Tutta in voi la luce mia all’Accademia Carrara, lo avrà percepito con chiarezza. La rievocazione del passato messa in scena dalla pittura di storia è in perfetta sintonia con il melodramma. La caricatura, invece, sembra andare in direzione opposta. Non rappresenta il passato ma il presente. Non si ispira alla storia ma all’attualità più palpitante. Eppure, negli anni caldi dell’Italia risorgimentale non mancano intrecci imprevisti tra opera lirica e caricatura. Questa mostra vuole documentarne alcuni, nella convinzione che la satira visiva consenta un punto di vista non scontato sul processo di affermazione del melodramma nella cultura risorgimentale. Trattata con sospetto e relegata alla dimensione privata negli anni della Restaurazione, la caricatura si afferma in Italia soltanto nel 1848. Attraverso il nuovo medium del giornale satirico illustrato, essa diventa una delle forme di comunicazione più popolari e tipiche dell’Ottocento.
Il percorso espositivo prende avvio dalle caricature teatrali realizzate nella Francia della Monarchia di Luglio, fondamentale punto di riferimento per i caricaturisti italiani, per poi focalizzarsi sull’Italia risorgimentale. Accanto a una selezione di disegni originali, sono esposte soprattutto le immagini stampate sui giornali satirici, in gran parte provenienti dal fondo di Paolo Moretti, di recente donato alla Biblioteca Mai. Due sono i filoni principali della mostra. Il primo documenta il crescente ruolo rivestito dal melodramma nella storia della caricatura politica. Avviato sin dal 1848 con l’uso disinvolto e attualizzante dei versi dei librettisti come didascalie per immagini satiriche, il riferimento alle opere liriche più note consente ai caricaturisti di attingere a un potente patrimonio, condiviso con un pubblico sempre più vasto. Il secondo riguarda la documentazione visiva del mondo operistico attraverso uno specifico genere di umorismo grafico: la caricatura teatrale che, dalla metà degli anni Cinquanta, rinnova in senso balzachiano la tradizione di Anton Maria Zanetti e Pier Leone Ghezzi. È in questa fase che emergono alcuni caricaturisti specializzati nel genere teatrale: Teja, Delfico, Parera, sono i protagonisti della mostra, insieme a un’indiscreta folla di “spettatori parlanti” che, come in un rumoroso teatro ottocentesco, popolano il percorso espositivo. Tra questi ultimi, anche il vecchio Hayez, il più grande pittore di storia dell’Ottocento italiano, ritratto in caricatura da Parera, a segnare una continuità tra questa piccola mostra e la grande esposizione della Carrara.

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Marino e l’Adone alla Mai

400 anni tra metamorfosi e meraviglia

A distanza di quattro secoli dalla pubblicazione, l’Adone continua a essere una fonte di incanto per la sua ricchezza e per lo stile peculiare del suo autore. Questa mostra, nata in accompagnamento alla giornata dedicata al poema dall’Ateneo di Scienze Lettere e Arti e dall’Università degli studi di Bergamo, intende indagare la ricezione di Marino e la fortuna dell’Adone nei fondi della Biblioteca Angelo Mai attraverso i libri posseduti da personaggi di spicco della comunità locale e l’illustrazione del vasto patrimonio testuale e iconografico che fa da sfondo al poema più lungo della nostra letteratura.

La mostra è divisa in tre sezioni: una panoramica sulle opere di Marino, una sezione di approfondimento sull’Adone e una ricostruzione della polemica seicentesca sul poema.

Le opere di Giovan Battista Marino

Giovan Battista Marino (Napoli, 1569-1625) inizia la sua formazione letteraria a contatto con gli ambienti accademici e cortigiani della città partenopea, dove incontra anche un anziano Torquato Tasso e conosce quello che sarà il suo principale rivale, il poeta Tommaso Stigliani. In seguito a problemi giudiziari si rifugia a Roma, in un ambiente culturale ricco e vivace che gli permette di stringere importanti relazioni. Da lì prende avvio una fulgida carriera poetica, prima al servizio del cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di papa Clemente VIII, poi alle corti di Torino e di Parigi. Per vent’anni la sua officina letteraria è in continuo fermento e Marino è sempre pronto a cimentarsi con generi e stili differenti: dalla poesia amorosa a quella encomiastica, dalla prosa sacra al poema epico. Tuttavia, il progetto che accompagna gran parte della sua vita è l’Adone. Nella sua parabola poetica, Marino dimostra di possedere un ingegno versatile e una straordinaria capacità di padroneggiare il linguaggio, di sperimentare, di spingersi oltre i limiti imposti dalla tradizione e di attingere a un vasto patrimonio di letture e di generi. Tutto questo seguendo sempre un chiaro programma: «La vera regola, cor mio bello, è saper rompere le regole a tempo e luogo».

Il ritratto calcografico di Marino è stampato nella raccolta postuma delle Lettere (Venezia, Giacomo Scaglia, 1627). Il disegno è del pittore bolognese, e amico di Marino, Giovanni Luigi Valesio, che si ispirò al ritratto di Marino dipinto da Simon Vouet.

La Lira

L’esordio poetico di Marino è del 1602 con la pubblicazione delle due parti delle Rime, che riscuotono un largo successo di pubblico. La prima parte della raccolta è divisa in sezioni tematiche: rime amorose, boscherecce, marittime, eroiche, lugubri, morali, sacre e varie, con una parte conclusiva di Proposte e risposte, cioè di scambi con altri poeti. La seconda invece raccoglie Madriali e canzoni senza distinzioni di temi. La raccolta poetica così strutturata si poneva in netta rottura con la tradizione avviata dal Canzoniere petrarchesco, mettendo da parte la forma-racconto e privilegiando i temi e le occasioni. A distanza di più di un decennio, nel 1614, Marino pubblica la terza parte delle rime con il titolo di Lira, aggiungendo ulteriore materiale alla raccolta originaria. Già nel giudizio dei contemporanei la poesia mariniana brillava per «arguzie», «vivezze» e «ardimenti», per l’acuta capacità di servirsi dei prelievi dalla tradizione dando loro un nuovo significato e di ricamare immagini ardite attraverso l’uso sapiente della metafora.

Lontananza

Ove ch’io vada, ove ch’io stia talora,
in ombrosa valletta o in piaggia aprica,
la sospirata mia dolce nemica
sempre m’è innanzi, onde convien ch’io mora.
Quel tenace pensier che m’innamora
per rinfrescar la mia ferita antica
l’appresenta a questi occhi e par che dica:
«Io da te lungi, e tu pur vivi ancora?».
Intanto verso ognor larghe e profonde
vene di pianto, e vo’ di passo in passo
parlando ai fiori, a l’erbe, a gli antri, a l’onde.
Poscia in me torno e dico: «Ahi folle, ahi lasso!
E chi m’ascolta qui? Chi mi risponde?
Miser, che quello è un tronco e questo è un sasso».

Il volume reca in frontespizio il timbro del legato acquisito dalla Biblioteca Civica nel 1865. La libreria dei due abati bergamaschi contava 2750 opere (5000 volumi circa) che rispecchiavano le attività professionali e i vasti interessi culturali dei fratelli Bravi: Giuseppe (1784-1865), cultore delle scienze naturali e della filosofia e deputato nel primo Parlamento d’Italia; Carlo (1794-1860), che si dedicò sia a studi scientifici sia all’insegnamento della filosofia.

La Sampogna

La Sampogna è pubblicata a Parigi all’inizio del 1620 e raccoglie otto idilli «favolosi» o mitologici e quattro «pastorali». Il genere all’epoca godeva di larga fortuna, consacrato dalle pastorali di Torquato Tasso e Battista Guarini, perciò lo sperimentalismo di Marino non si esprime tanto nei contenuti, quanto sotto il profilo metrico e prosodico. Il successo della Sampogna è dovuto in larga parte ai suoi paratesti, in particolare a una celebre lettera che Marino indirizza a Claudio Achillini. Nella missiva il poeta si difende dalle calunnie diffuse da Tommaso Stigliani in varie forme ed esprime una compiuta dichiarazione di poetica: a questo testo è consegnata la distinzione tra tradurre, imitare e rubare, nonché l’efficace immagine del metodo con cui Marino si rapporta alla tradizione letteraria classica e moderna, una pesca con il «rampino» in mari che i suoi rivali non sono in grado di navigare.

Orfeo

Così l’amato pegno ottenne e tolse
da le branche di Morte il suo tesoro.
Euridice riebbe, e fuor de l’ombre
seco la trasse a rivedere il sole.
Ma con legge però dura e severa:
che tanto che non giunga a l’aria viva
mai non si volga a rimirarla a tergo.
Ahi, chi le voglie innamorate affrena?
Troppo è d’indugio impaziente, e raro
impetuoso Amor soffre ritegno.

Forse proveniente da una libreria gentilizia o acquistato dall’erudito bibliotecario Agostino Salvioni (Bergamo, 1768-1853), il volume non reca timbri e note di possesso. È certa tuttavia la sua presenza nelle raccolte già nell’Ottocento, come testimoniano il Registro topografico compilato dal 1897 e la sua attuale collocazione di ‘Sala 34 K’ che si è semplicemente sovrapposta a quella antica di ‘Galleria K’. Nel Palazzo della Ragione, nuova sede della Biblioteca dal 1843, il patrimonio librario era stato infatti disposto in un’antisala, nell’ampio Salone delle Capriate, in due piccole sale attigue e in una sovrastante galleria.

La Galeria

Nel corso degli anni, Marino frequenta alcuni dei maggiori artisti del primo Seicento, riuscendo a radunare anche una piccola raccolta personale di disegni e dipinti. Tuttavia, lungi dal riflettere una reale collezione di opere d’arte, la Galeria va considerata un museo immaginario in cui il poeta esprime il suo estro ecfrastico assumendo pitture e sculture come pretesto per il gioco concettistico. I componimenti, per la maggior parte madrigali, descrivono soggetti pittorici storici o mitologici, ritratti, statue, medaglie o incisioni. Il progetto originario prevedeva l’accostamento di versi e immagini, ma i costi proibitivi portarono Marino ad accantonare un’idea tanto ambiziosa. Ciononostante, la Galeria rimane un ideale simulacro dell’oraziano ut pictura poesis, dando forma all’unione delle arti poetiche e pittoriche che una lunga tradizione considerava sorelle.

Arianna di Lodovico Carracci

Del tuo Teseo ti lagni,
ma piangente non piagni,
fanciulla addolorata e sospirosa,
non però lagrimosa.
E pur vegg’io que’ begli occhi soavi
di perle umidi e gravi.
Perché dunque non bagni
de le lagrime belle il mesto viso?
O di saggio pittor ben sano aviso:
non pianger no, che da’ cadenti umori
foran guasti i colori.

Il frontespizio reca il timbro del Liceo di Bergamo. La biblioteca dell’Imperial Regio Liceo, ricca d’incunaboli, cinquecentine e pubblicazioni dei secoli XVII e XVIII e formatasi grazie alle sovvenzioni della Misericordia Maggiore e di due importanti legati (Stanislao Gorini, 1793, e Antonio Bonzi, 1801) fu assegnata alla Biblioteca Civica dal governo austriaco con decreto del 1825, ma effettivamente acquisita nel 1843, quando la sede venne trasferita nel Palazzo della Ragione. Fusa nel patrimonio librario della Civica, contava circa 9.000 volumi, afferenti sia alle discipline umanistiche sia alle materie scientifiche.

La Murtoleide

Intorno al 1608 Marino approda alla corte torinese dei Savoia ed entra ben presto in conflitto con il poeta Gasparo Murtola, che non è in grado di competere con le superiori capacità poetiche del rivale. Per diversi mesi i due si scambiano sonetti ingiuriosi che iniziano a circolare in forma manoscritta nelle Fischiate mariniane e nelle Risate di Murtola. Ma la disputa non si limita al piano poetico perché la sera del 1° febbraio 1609 Murtola attenta alla vita del rivale con diversi colpi di pistola che però non vanno a segno. I sonetti saranno pubblicati solo dopo la morte di Marino e con falsi dati di stampa per aggirare la censura.

Il volume, già annotato in frontespizio con la scritta ‘Franciscis Federighini Studentis Patavij Anno 1690’, reca anche la successiva nota d’acquisto manoscritta ‘Iacobus Carrara emit’. Il conte Giacomo Carrara (Bergamo, 1714-1796) erudito, storico dell’arte e collezionista, è noto per aver istituito in città una Scuola di pittura e una Galleria d’arte (oggi Accademia Carrara) destinata ad accogliere le sue raccolte. Parte della sua collezione libraria fu acquisita dalla Biblioteca Civica nel 1975 ma il volume della Murtoleide giunse in Mai agli inizi dell’Ottocento, poiché è contrassegnato dall’antica collocazione di ‘Salone Loggia’.

Le Lettere

Nonostante tra i progetti di Marino ci sia anche una raccolta epistolare ‘d’autore’, i molti altri cantieri poetici e poi la morte gli impediscono di darla alle stampe. Così nel 1627 l’agente editoriale Giacomo Scaglia, che già si era occupato della pubblicazione di diverse opere mariniane, coordina la stampa della prima raccolta di lettere, raccogliendole direttamente dai destinatari. L’obiettivo è quello di difendere la memoria e la fama di Marino, minacciate dalla proibizione dell’Adone e dagli attacchi di Tommaso Stigliani. Tra i destinatari compaiono letterati di fama, principi e cardinali. In apertura, il ritratto di Marino coronato d’alloro fronteggia la prima missiva che, non a caso, è il noto ragguaglio inviato al Duca Carlo Emanuele di Savoia all’indomani dell’attentato subito per mano di Gasparo Murtola. Coerentemente con gli obiettivi dell’operazione editoriale, in chiusura sono collocati una lettera di Giovan Francesco Busenello di lodi all’Adone e lo scambio epistolare tra Claudio Achillini e Girolamo Preti che piangono la morte di Marino con parole rimaste celebri: «Abbiamo perduto le delizie della Poesia, l’ornamento del secolo, il lume de gli ingegni».

La data e il titolo di acquisizione del volume non sono registrati negli atti della Biblioteca, ma è certa la sua presenza nelle raccolte già agli inizi dell’Ottocento, come testimonia la sua collocazione di ‘Salone Loggia P’. Il bibliotecario Agostino Salvioni, ideatore della prima sistemazione organizzata del patrimonio, dispose infatti i volumi nell’ampio Salone delle Capriate del Palazzo della Ragione, nuova sede della Biblioteca dal 1843, seguendo un ordinamento per materie a sua volta identificato da una sequenza alfabetica: dai testi sacri, alla filosofia, alle belle lettere, fino alla storia e alla geografia.

L’Adone

Marino inizia ad assemblare l’Adone già in giovane età. Le prime testimonianze ci dicono di un poemetto in tre canti che narra gli snodi principali del mito ovidiano di Venere e Adone: l’incontro, gli amori e la morte del giovane. Si tratta comunque in un primo momento di una prova ancora marginale, il cui peso cambierà di lì a pochi anni assumendo importanza maggiore a ridosso della partenza per la Francia, intorno al 1614. Nel periodo successivo, l’Adone cresce a dismisura in parallelo a una campagna promozionale che getta le basi per un’accoglienza entusiastica. Al momento della pubblicazione, l’esile trama è arricchita da favole d’ispirazione ovidiana, trame cavalleresche ed episodi tratti da Apuleio, Nonno e altri autori classici e moderni, punteggiati da sezioni encomiastiche, scientifiche e anatomiche. Il poema condensa dunque una materia amplissima servendosi di un ricco reticolo di fonti. La prima sontuosa edizione dell’Adone è pubblicata a Parigi nel 1623 in formato in folio. Sul frontespizio rubricato compare lo stemma di Luigi XIII, a cui il poema è dedicato, mentre gli incipit e gli explicit dei canti sono accompagnati da decorazioni ornamentali con motivi grotteschi.

Canto I, 1-3, invocazione a Venere

Io chiamo te, per cui si volge e move
la più benigna e mansueta sfera,
santa madre d’Amor, figlia di Giove,
bella dea d’Amatunta e di Citera;
te, la cui stella, ond’ogni grazia piove,
te, lo cui raggio lucido e fecondo
serena il cielo et innamora il mondo,

tu dar puoi sola altrui godere in terra
di pacifico stato ozio sereno.
Per te Giano placato il tempio serra,
addolcito il Furor tien l’ire a freno;
poiché lo dio de l’armi e de la guerra
spesso suol prigionier languirti in seno,
e con armi di gioia e di diletto
guerreggia in pace et è steccato il letto.

Dettami tu del giovinetto amato
le venture e le glorie alte e superbe;
qual teco in prima visse, indi qual fato
l’estinse, e tinse del suo sangue l’erbe.
E tu m’insegna del tuo cor piagato
a dir le pene dolcemente acerbe,
e le dolci querele e ’l dolce pianto;
e tu de’ cigni tuoi m’impetra il canto.

La scheda del catalogo storico della Biblioteca che registra questa splendida prima edizione dell’Adone è corredata dalla semplice nota “Dono Varisco”. Nel protocollo della corrispondenza si rintracciano numerose donazioni da parte di componenti di questa famiglia, a partire dal 1858 fino al 1943. È plausibile che questo specifico volume, già collocato nell’antica ‘Antisala’ di Palazzo Vecchio, sia stato donato nel maggio 1871 dal dott. Achille Varisco con “varie opere pregevolissime per rarità bibliografica”, come figura negli Atti della Commissione di Vigilanza. Il volume è particolarmente prezioso perché completo del foglio aggiunto da Marino in corso di stampa al canto VII e caduto in altri esemplari.

Il canto V: i cinque amori infelici e la tragedia di Atteone

Il poema si apre con l’incontro e l’innamoramento di Venere e Adone in una selva dell’isola di Cipro (canti I-IV). Poi gli amanti si dirigono verso il palazzo di Amore, dove il dio narra del suo legame con Psiche. In seguito interviene Mercurio che, attraverso alcuni inserti narrativi, si fa maestro di Adone, raccontando al giovane le storie di cinque amori infelici tra uomini e dei: Narciso, Ganimede, Ciparisso, Ila e Attide. Questi ‘racconti secondi’ hanno una funzione didascalica e ammonitrice, poiché indicano ad Adone qual è il comportamento da seguire quando si stringe un legame amoroso con una divinità.

Narciso (V, 26-27)

La ninfa Eco si innamora del giovane e bellissimo Narciso che, nella sua superbia, rifiuta la fanciulla. Con il cuore spezzato, Eco si rifugia in boschi e valli solitarie, piangendo il suo amore non corrisposto fin quando di lei non rimane che la voce. Impietosito dai lamenti, un gruppo di vergini implora Amore affinché Narciso provi lo stesso dolore. Così, quando si imbatte in uno specchio d’acqua e vi scorge il proprio riflesso, il giovane si innamora di sé stesso. Non pago di questo amore impossibile, Narciso si sporge nello stagno fino a cadervi dentro e a rinascere nella forma del fiore che porta il suo nome

La contempla e saluta e tragge, ahi folle,
da mentito sembiante affanno vero.
Egli amante, egli amato, or gela, or bolle,
fatto è strale e bersaglio, arco et arciero.
Invidia a quell’umor liquido e molle
la forma vaga e ’l simulacro altero
e, geloso del bene ond’egli è privo,
suo rival su la riva appella il rivo.

Mancando alfin lo spirto a l’infelice,
troppo a sé stesso di piacer gli spiacque.
Depose a piè de l’onda ingannatrice
la vita e, morto in carne, in fior rinacque.
L’onda che già l’uccise or gli è nutrice,
perch’ogni suo vigor prende da l’acque.
Tal fu il destin del vaneggiante e vago
vagheggiator de la sua vana imago.

Il volume da cui è tratta l’immagine è una silloge illustrata dei più celebri miti delle Metamorfosi di Ovidio. L’impostazione del testo, che reca un’illustrazione accompagnata da un distico in latino e in tedesco, si rifà alla tradizione degli emblemi, ovvero un particolare tipo di libro illustrato composto da immagini simboliche il cui significato veniva sciolto dal testo di accompagnamento. In questa edizione delle Metamorfosi manca il livello simbolico tipico degli emblemi, ma si conserva la struttura della pagina.

Ciparisso (V, 62-63)

Anche Ciparisso è un giovane bellissimo, amato da Apollo. La sua compagnia prediletta è un cervo docile e mansueto che un giorno egli uccide per errore mentre è a caccia. Affranto per la perdita, Ciparisso implora Apollo di poter piangere per sempre. Il dio lo trasforma quindi in un albero di cipresso, la cui resina ha la forma delle lacrime.

Poi che perfido io stesso e malaccorto
di propria man d’ogni tesor m’ho privo
e perduta ogni gioia, ogni conforto,
lieti oggetti e giocondi aborro e schivo,
fa’, prego, o ciel, senza il mio ben ch’è morto,
ch’io fra tanto dolor non resti vivo;
fa’ ch’io non senta almeno e che non miri
se non feretri e lagrime e sospiri».

Apena egli ha vigor d’esprimer questo,
che la pelle gl’indura e ’l busto ingrossa.
Sorge piramidal tronco funesto,
rozo legno si fan le polpe e l’ossa.
Verdeggia il crin frondoso e quanto al resto
tutta da lui l’antica forma è scossa.
Funeral pianta e tragica diviene
e, quant’uom desiava, arbore ottiene.

Atteone (V, 143)

Il canto V si chiude con una rappresentazione teatrale che inscena il mito di Atteone: il giovane cacciatore ha l’ardire di spiare Diana al bagno. La dea, irata, lo trasforma in un cervo. Atteone però non si accorge della metamorfosi finché non si specchia nell’acqua, dove viene raggiunto dai suoi cani che, non riconoscendolo, lo sbranano. Lo spettacolo messo in scena da Mercurio per completare la sua opera di ammonizione è ricco di macchine e intermezzi; ciononostante, Adone si addormenta prima della fine, apparentemente senza cogliere il messaggio.

Ciò fatto, il bel teatro ancor si chiude,
poi si vede sgorgar vaga fontana,
dove tra molte sue seguaci ignude
stassi Atteone a vagheggiar Diana.
Et ella con le man leggiadre e crude
gli toglie dopo il cor la forma umana;
con pelo irsuto e con ramose corna
il miser cacciator cervo ritorna.

I canti VI e VII: il giardino del piacere

In questa sezione del poema Venere e Adone attraversano le cinque parti del giardino del palazzo della dea, propedeutiche all’unione matrimoniale e carnale che avverrà nel canto VIII. Ogni sezione è dedicata a uno dei sensi umani, tratteggiati da Marino con precise riprese lessicali dai trattati scientifici dell’epoca e intervallati da digressioni descrittive che fanno da pendant con il senso corrispondente.

Il giardino della vista (VI, 32-33)

Il primo giardino attraversato dagli amanti è quello della vista, dove Mercurio illustra il ruolo dell’occhio e il suo funzionamento. Il linguaggio usato da Marino per descrivere l’occhio è preciso e tecnico, con ripresa puntuale del più aggiornato lessico scientifico: termini quali membrana, tunicas, humores, angulus oculi, crystallinus, uvea et choroide tunica sono prelevati dal trattato De visione di Fabrizio D’Acquapendente. Dopo l’elogio dell’occhio, Adone e Venere ammirano le pareti dipinte della loggia che circonda il giardino, offrendo il pretesto per una digressione elogiativa dedicata ai maggiori pittori contemporanei. La carrellata dei dipinti raffiguranti i miti antichi si conclude con la storia di Pavone e Colomba.

O quanto studio o quanta industria mise
qui l’eterno maestro, o quante accoglie
vene, arterie, membrane e ’n quante guise
sottile aragne e dilicate spoglie.
Per quanti obliqui muscoli divise
passano e quinci e quindi e fila e foglie,
quante corde diverse e quanti e quali
versano l’occhio et angoli e canali!

Di tuniche e d’umori in vari modi
havvi contesto un lucido volume,
et uva e corno e con più reti e nodi
vetro insieme congiunge, acqua et albume;
che son tutti però servi e custodi
del cristallo, onde sol procede il lume;
ciascun questo difende e questo aiuta,
organo principal de la veduta.

Il trattato anatomico da cui è tratta l’immagine è forse uno dei più noti lavori del medico Girolamo Fabrici. In questo lavoro tripartito Fabrici riordina le conoscenze anatomiche sulla vista, la voce e l’udito dai tempi antichi alla modernità, soffermandosi in particolare sulla descrizione degli organi e sulla loro funzione. Ciascuna delle tre sezioni si chiude con una serie di tavole illustrate che rappresentano non solo gli organi umani, ma anche quelli animali.

L’elogio della passiflora (VI, 141-142)

Il giardino successivo è quello dell’odorato. Anche qui Mercurio descrive con minuzia di particolari il funzionamento dell’organo preposto, ovvero il naso. Poi Venere e Adone ammirano la varietà dei fiori profumati che popolano il giardino: rose, violette, tulipani, gigli, fiordalisi e ogni genere di pianta odorosa. La sezione culmina con l’elogio della granadiglia, o passiflora, fiore all’epoca associato con la passione di Cristo, soprattutto nella tradizione agiografica ispanica. Il fusto ricordava infatti la colonna della fustigazione; gli stilli i chiodi della croce e la raggiera la corona di spine.

Ahi, qual pennello in te dolce e pietoso
trattò la man del gran pittore eterno?
E con qual minio vivo e sanguinoso
ogni suo strazio espresse et ogni scherno?
Di quai fregi mirabili pomposo
al sol più caldo, al più gelato verno
dentro le tue misteriose foglie
spieghi l’altrui salute e le sue doglie?

Qualor bagnato da’ notturni geli
con muta lingua e taciturna voce,
anzi con liete lagrime, riveli
de’ tuoi fieri trofei l’istoria atroce,
e rappresenti ambizioso ai cieli
l’aspra memoria de l’orribil croce,
per gran pietate il tuo funesto riso
dà materia di pianto al paradiso.

L’opera è una corposa silloge di memorie storiche e ascetiche sulla croce. L’immagine che correda queste ottave è tratta dal secondo libro, nel quale sono raccolti i segni della crocifissione che Dio ha sparso nei cieli, negli animali e nelle piante.

Il giardino dell’udito: l’orecchio e l’usignolo (VII, 15-16, 32-33)

Anche l’ingresso nel giardino dell’udito è accompagnato da una digressione anatomica dedicata all’orecchio, l’organo indispensabile per apprezzare la poesia e la musica: anche in questo caso Marino si serve di un lessico preciso, con ripresa dei termini latini che indicano le parti anatomiche incus, malleus, tympanum. Segue poi una rassegna della famiglia degli uccelli, entro la quale si trova la celebre storia dell’usignolo.

Scorre là dov’è poi tesa a quest’uso
di sonora membrana arida tela;
quivi si frange e purga e quivi chiuso,
agitando sé stesso, entro si cela,
e tra quelle torture erra confuso
finch’al senso commun quindi trapela,
de la cui region passando al centro
il caratter del suon vi stampa dentro.

Concorrono a ciò far d’osso minuto
et incude e triangolo e martello,
e tutti son nel timpano battuto
articolati et implicati a quello;
et a quest’opra lor serve d’aiuto
non so s’io deggia dir corda o capello,
sottil così che si distingue apena
se sia filo o sia nervo, arteria o vena.

Ma sovr’ogni augellin vago e gentile
che più spieghi leggiadro il canto e ’l volo,
versa il suo spirto tremulo e sottile
la sirena de’ boschi, il rossignuolo,
e tempra in guisa il peregrino stile
che par maestro de l’alato stuolo.
In mille fogge il suo cantar distingue,
e trasforma una lingua in mille lingue.

Udir musico mostro, o meraviglia,
che s’ode sì, ma si discerne apena,
come or tronca la voce, or la ripiglia,
or la ferma, or la torce, or scema, or piena,
or la mormora grave, or l’assottiglia,
or fa di dolci groppi ampia catena,
e sempre, o se la sparge o se l’accoglie
con egual melodia la lega e scioglie.

Ulisse Aldrovandi è stato il più celebre naturalista del Rinascimento, noto soprattutto per aver fondato uno dei primi musei di storia naturale. L’Ornithologiae, da cui è tratta l’illustrazione dell’usignolo, è una sezione dell’ampio progetto di enciclopedia naturale a cui si dedicò per buona parte della sua vita e che solo parzialmente fu pubblicata dopo la sua morte.

Il canto XIX: Adone trasformato in anemone (XIX, 416-417, 420)

Dopo una lunga serie di peripezie, il tragico destino di Adone si appresta a compiersi: Marte, geloso dell’amore di Venere per il giovane, con l’aiuto di Diana suscita la furia di un cinghiale che, innamoratosi di Adone, lo azzanna nel tentativo di baciarlo. Venere assiste impotente alla morte dell’amato e per rendere immortale la sua memoria ne trasforma il cuore in anemone. Si realizza così l’annuncio fatto nel primo canto del poema: «smoderato piacer termina in doglia».

«Farò dunque al mio ben l’istesso onore
che fece Apollo al suo fanciullo ucciso,
che non fu certo il mio gentile ardore
di Giacinto men bel né di Narciso.
E poich’ei fu d’ogni bellezza il fiore,
e di fiori ebbe adorno il seno e ’l viso,
e mi fu tolto in su l’età fiorita,
vo’ che, cangiato in fior, ritorni in vita.

Tra i fiori, o fiore, il primo pregio avrai,
torrai lo scettro a la mia rosa ancora;
vinti saran da te quanti giamai
Clori in terra ne sparse, in ciel l’Aurora;
ornamento immortal de’ miei rosai,
perpetuo onor de la vezzosa Flora,
nova pompa del prato e del terreno,
novo fregio al mio crine et al mio seno».

[…]

Poi che così parlò, di nettar fino
pien di tanta virtù quel core asperse,
che tosto, per miracolo divino
forma cangiando, in un bel fior s’aperse,
e nel centro il piantò del suo giardino
tra mille d’altri fior schiere diverse.
Purpureo è il fiore et anemone è detto,
breve come fu breve il suo diletto.

La condanna e la polemica

Nello stesso anno in cui l’Adone è pubblicato a Parigi, Marino ne fa stampare un’altra edizione a Venezia, intervenendo su alcune sezioni nel tentativo di attenuare i rischi che sarebbero derivati dai passaggi più problematici agli occhi dell’Inquisizione. Il problema principale del poema non era tanto la presenza pervasiva della lascivia, ma l’aver trattato talvolta la materia profana con un lessico sacro: ad esempio, Venere è invocata come «santa madre d’Amore» con evidente richiamo alla Madonna e il tempio della dea è descritto come una chiesa. In seguito alla denuncia alla Congregazione dell’Indice, il poema viene proibito donec corrigatur (cioè fino alla correzione) il 17 luglio 1625. Nel frattempo Marino era morto nel marzo di quell’anno, dunque non poteva farsi carico della correzione. I membri della romana Accademia degli Umoristi, di cui il poeta era stato principe, si assumono l’onere della revisione, ma il tentativo è ritenuto insufficiente e il 4 febbraio 1627 l’Adone è giudicato incorreggibile e definitivamente iscritto nell’Indice dei libri proibiti.

L’Indice dei libri proibiti, compilato dalla Congregazione dell’Indice, raccoglie i libri e gli autori proibiti dalla Chiesa per la pericolosità del loro contenuto dal punto di vista dottrinale e morale.

L’Occhiale

Sempre nel 1627, Tommaso Stigliani pubblica la prima opera critica contro l’Adone. Stigliani era stato legato a Marino da una giovanile amicizia, sfociata in aperta e agguerrita rivalità all’incirca nel 1619, in seguito alla pubblicazione da parte dello stesso Stigliani di alcune stanze offensive contro l’avversario nel poema il Mondo nuovo, dedicato alla scoperta dell’America. Dopo aver letto l’Adone e averlo trovato pieno di errori, Stigliani prepara nel suo Occhiale un’analisi minuta del poema di Marino, mettendo in luce tutte quelle che a suo giudizio erano trasgressioni alla norma poetica. Stigliani organizza il discorso con una struttura in tre parti ben precisa: nella prima sezione riassume i precetti che regolano il buon poema eroico sulla base della tradizione aristotelica e dimostra che l’Adone non rispetta alcuna di queste regole; nella seconda sezione, passa in rassegna le singole ottave e ne individua gli errori (furti, incoerenze nel comportamento dei personaggi, uso di parole non toscane, passaggi eccessivamente lascivi, …); la terza sezione è infine composta da una serie di tavole lessicali in cui sono elencate tutte le parole che non rispecchiano l’uso toscano e i versi «bassi», che provocano un abbassamento dello stile. Stigliani non guarda l’Adone con occhi liberi da pregiudizi ed è perciò inevitabile che nell’Occhiale si sovrappongano il piano letterario e quello personale, dando al lettore l’impressione di una critica spesso pretestuosa ed eccessivamente intransigente. Tuttavia l’intervento di Stigliani non è privo di intelligenza e acume: a lui si deve infatti il riconoscimento di fonti e modelli narrativi, nonché una lucida messa a fuoco degli snodi problematici che furono alla base della condanna del poema da parte della Congregazione dell’Indice.

Erede della poetessa e accademica Paolina Secco Suardo e sodale di Carlo Marenzi nel suo viaggio in Italia, il conte Leonino (1798-1878) fu personaggio di rilievo della vita culturale bergamasca dell’Ottocento, attivo nell’ambito delle principali istituzioni cittadine. Con la Commissione di vigilanza della Biblioteca Civica, partecipò ai lavori di trasferimento e di riordino delle raccolte librarie nel passaggio alla sede ottocentesca del Palazzo della Ragione e s’impegnò nella redazione del Regolamento e del primo catalogo generale della Biblioteca. Elargì donazioni in vita di monete antiche e di opere rare, tra le quali spicca il Taccuino di disegni di Giovannino de’ Grassi, e provvide a una donazione testamentaria di volumi a stampa e manoscritti.

Le difese dell’Adone

L’attacco di Stigliani provoca la pronta reazione dei sostenitori di Marino che si impegnano a difenderne la memoria e la fama. Il primo a pubblicare la sua Difesa dell’Adone in due parti nel 1629-1630 è l’erudito Girolamo Aleandro. Seguono nei medesimi anni l’Occhiale appannato di Scipione Errico (1629) e le due risposte sotto pseudonimo di Nicola Villani, l’Uccellatura di Vincenzo Foresi (1630) e le Considerazioni di Messer Fagiano (1631).

Giuseppe Locatelli (1872-1951), teologo, storico e bibliofilo, direttore della Biblioteca Civica dal 1927 al 1938 e priore della basilica di Santa Maria Maggiore, lasciò a quest’ultima la sua ricchissima biblioteca personale. Per la sua preziosità bibliografica, la raccolta fu posta sotto tutela ministeriale e acquistata dal Comune di Bergamo nel 1958. Formata da circa 30.000 volumi editi nel Seicento e nel Settecento, con una prevalenza di testi di religione e filosofia, di classici greci e latini e di letteratura italiana, la preziosa raccolta conteneva anche 24 manoscritti, 197 incunaboli e 1.700 cinquecentine.

Dell’estensore della nota di possesso che appare in frontespizio non si conoscono i dati biografici ma, dall’antica segnatura del volume, si può dedurre che la presenza in biblioteca dell’opera del Villani risalga all’Ottocento avanzato. Nella Sala 1° del Palazzo della Ragione, originariamente destinata ad accogliere le opere di giurisprudenza e gli incunaboli (edizioni del XV secolo), trovarono posto successivamente anche opere di altre discipline ed epoche che vennero collocate nella loggia sovrastante.

L’opera è conservata nella pregiata Raccolta Tassiana poiché contiene un approfondimento critico sulla Gerusalemme Liberata (pp. 669-688). Iniziata già nel XVIII secolo grazie a un nucleo di opere tassiane del cardinale Giuseppe Alessandro Furietti, la raccolta speciale si arricchì nei secoli successivi con il fondo dell’abate Pier Antonio Serassi, acquistato nel 1869, e con il fondo dell’avvocato e colto bibliofilo Luigi Locatelli, ricevuto in dono nel 1922 e nel 1932. Il volumetto, stampato con bella varietà di caratteri (corsivo, ebraico, greco e romano), è mancante delle ultime otto pagine a stampa, il cui testo è stato tuttavia risarcito con una puntuale redazione manoscritta.

Giovanni Capponi e Andrea Barbazza scrivono invece Le Staffilate (1629) e Le Strigliate (1630 ca.), due raccolte di composizioni in versi, assai violenti e ingiuriosi, che colpiscono personalmente Stigliani più che l’Occhiale.

Negli ultimi anni del XVIII secolo, in seguito alle soppressioni napoleoniche delle congregazioni religiose, furono aggregati alla biblioteca pubblica della città i libri delle rispettive biblioteche «e quella specialmente, assai ragguardevole, e tutta intiera, de’ monaci Benedettini di San Paolo d’Argon». Così scrive il bibliotecario Agostino Salvioni che s’incaricò di riordinare, catalogare e conservare nelle migliori condizioni il copioso e ricco patrimonio delle biblioteche monastiche e conventuali del territorio. È importante infine ricordare che Angelo Grillo, poeta contemporaneo a Marino, cui si deve una importante lettera sulle prime Rime, fu abate di San Paolo d’Argon e vi dimorò dal 1617 al 1620.esto

In anni più tardi si collocano invece gli ultimi interventi di Angelico Aprosio, a cui si devono la Sferza poetica (1643), l’Occhiale stritolato (1642), il Buratto (1641) e il Veratro (1645-1648). La polemica imperversa quindi per diverso tempo, sempre seguita da vicino da Stigliani, che studia attentamente i testi dei suoi avversari apponendo numerose postille agli esemplari in suo possesso (e oggi conservati alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma). Il frutto di queste letture è un tentativo di risposta che però è rimasto manoscritto e inedito. Nel complesso non si può dire che l’abbondanza di testi corrisponda anche a un pari apporto critico, tuttavia l’Occhiale, insieme alle risposte, costituisce la prima linea interpretativa del poema e il punto di partenza per comprenderne la fortuna e la sfortuna.

Mostra virtuale a cura di
Federica Chiesa
Lorenza Maffioletti

Promossa da

Università degli Studi di Bergamo (Dipartimento di Lettere, Filosofia, Comunicazione)
Progetto finanziato nell’ambito del bando di Ateneo per iniziative di Public Engagement 2023


Ateneo di Scienze, Lettere, Arti di Bergamo

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B3 Bernardo Buontalenti Bergamo

Sala tassiana

1 – 15 dicembre 2023
December 1st – 15th 2023

inaugurazione venerdì 1 dicembre, ore 12

Acquistato dalla Direzione Generale Archivi dell’allora Ministero per i Beni e le Attività Cultura nel 2018, il Libro di Meccanica ed Ornato è una straordinaria testimonianza della poliedrica cultura scenografica e architettonica del suo tempo.

Il manoscritto si presenta come un portfolio di grandi dimensioni, con 80 carte – scritte quasi tutte su recto e verso – e coperta in cartone legato da legacci in pelle. Il dorso è ricoperto da un foglio di pergamena di riuso con iscrizioni databili al XIV-XV secolo. La presenza dell’ultimo foglio di guardia recante filigrana di ambito bergamasco (censito da Briquet al n. 9722) fa ragionevolmente ipotizzare l’assemblaggio avvenuto a Bergamo, motivo che ha portato a sceglierla per ospitare questa speciale mostra nella Biblioteca Angelo Mai.

I disegni del manoscritto sono stati realizzati da più di un autore (probabilmente tre), appartenenti alla cerchia fiorentina di Bernardo Buontalenti (noto anche come Bernardo Timante, o Bernardo delle Girandole, Firenze, 1531-1608), pittore, miniatore, scenografo ed inventore di macchine, architetto civile e  militare. Anche le tecniche impiegate sono diverse: penna con inchiostro bruno; disegno a mano libera o geometrico con squadre e righe; matita bruna o rossa; acquerello (principalmente rosa, azzurro, verde, giallo chiaro); disegni monocromi.

È possibile individuare tre principali ambiti tematici di realizzazione grafica: geometria, meccanica, ingegneria militare; architettura civile; scenotecnica. Infatti, il manoscritto raccoglie disegni di ponti e meccanismi girevoli per chiuse e in generale l’irreggimentazione delle acque, edifici militari, cannoni e proietti, studi di carattere balistico; studi di urbanistica, planimetrie di città ideali, disegni di facciate ed elementi decorativi dell’architettura, studi di misurazioni; studi per allestimenti teatrali con meccanismi per muovere mostri e macchinari, studi di proporzione e di strumenti musicali (liuti), abbozzi di figure, costumi e cimieri da parata che chiudono la parte dedicata alla scenotecnica.

Diversi schizzi sono accompagnati da annotazioni, calcoli e appunti.

Cerchia di Bernardo Buontalenti (Firenze, 1523-1608), attr.
Libro di disegni di architettura intitolato “Libro di Meccanica ed Ornato”, detto anche Taccuino Secco Suardo.
Manoscritto cartaceo di 80 fogli, mm 410 x 250 x 40, realizzato fra il 1580 e il 1608 circa, proveniente dalla biblioteca privata della famiglia Secco Suardo nel Castello di Lurano (BG).
Firenze, 1580-1608 circa

(Un ringraziamento speciale a Beatrice Bentivoglio Ravasio per la preziosa consulenza).

English

The Book of Mechanics and Ornamentation is an extraordinary testimony to the multifaceted  scenographic and architectural culture of its time, which was purchased by the General Directorate of Archives, part of the Ministry of Cultural Heritage and Activities (current Ministry of Culture) in 2018. Such conscious and courageous choice prevented its sale abroad.

The manuscript appears to be a large portfolio, made of 80 cards – almost all written on recto and verso – and bound by cardboard tied with leather straps. The spine lining consists of a reused parchment sheet with inscriptions dating back to the 14th-15th century, quite common practice in bookbinding craft. The last flyleaf bears a watermark from the Bergamo area (listed by Briquet at no. 9722), reasonably allowing us to assume that the binding took place in Bergamo, the reason why it has been chosen to hold this special exhibition in Angelo Mai Public Library.

The drawings in the manuscript were made by more than one author (probably three), belonging to the Florentine workshop of Bernardo Buontalenti (also known as Bernardo Timante, or Bernardo delle Girandole, Florence, 1531-1608), painter, miniaturist, set designer and inventor of machines, civil and military architect. The techniques are different too: brown ink pen; freehand or geometric drawing filled with squares and lines; brown or red pencil; watercolour (with the main use of pink, light blue, green, light yellow); monochrome drawings.

It is possible to identify three main thematic areas in the manuscript graphic creations: geometry, mechanics, military engineering; civil architecture; stagecraft. In fact, the manuscript collects drawings of bridges and revolving mechanisms for locks and water regimentation systems, military buildings, cannons and projectiles, ballistic studies; urban planning projects, plans of ideal cities, architectural drawings of exteriors and decorative elements, measurement studies; projects of mechanisms for moving monsters and machinery to be employed in theatrical productions, studies of proportions and musical instruments (i.e. lutes), sketches of human figures, costumes and parade crests which close the section dedicated to stagecraft.

Several sketches are accompanied by annotations, calculations and notes.

Book of architectural drawings entitled “Book of Mechanics and Ornament”, also known as Secco Suardo Notebook, attributed to the Workshop of Bernardo Buontalenti (Florence, 1523-1608).
Manuscript on paper, 80 sheets, 410 x 250 x 40 mm, made between 1580 and 1608 circa, coming from the private library of the Secco Suardo family, Castle of Lurano (BG).
Florence, circa 1580-1608

(special thanks to Beatrice Bentivoglio Ravasio for her invaluable advice)

La mostra sarà accompagnata da un Convegno di presentazione dei primi risultati delle ricerche ad oggi condotte sul manoscritto: il 13 dicembre dalle ore 10.30 alle ore 13.00, con interventi di Annalisa Rossi, Beatrice Bentivoglio Ravasio (Soprintendente Archeologia belle arti e paesaggio per le province di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli), Silvia Castelli (Biblioteca Marucelliana di Firenze) e Annamaria Testaverde (Università degli Studi di Bergamo).

organizzazione e produzione / organization and production
Ministero della Cultura, Direzione Generale Archivi

Soprintendenza Archivistica e bibliografica della Lombardia
Annalisa Rossi, Soprintendente

Comune di Bergamo
Giorgio Gori, Sindaco
Nadia Ghisalberti, Assessore alla Cultura
Elena Pasini, Dirigente Direzione Cultura BGBS23, sport, eventi, partecipazione e commercio
Cristiana Iommi, Responsabile Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici

ideazione / concept
Annalisa Rossi

coordinamento scientifico / scientific organization
Vincenza Petrilli, Soprintendenza Archivistica e bibliografica della Lombardia

coordinamento organizzativo / general organization
Elisabetta Rossi Berarducci Vives, Soprintendenza Archivistica e bibliografica della Lombardia
Francesca Giupponi
, Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici

intervengono / conference speakers
Annalisa Rossi
Beatrice Bentivoglio Ravasio, Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio per le province di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli
Silvia Castelli, Biblioteca Marucelliana
Annamaria Testaverde, Università degli Studi di Bergamo

testi e didascalie mostra / exhibition texts and captions
Annalisa Rossi
Vincenza Petrilli

traduzioni in inglese / english translations
Vincenza Petrilli

segreteria amministrativa / administrative office
Elisabetta Rossi Berarducci Vives
Giuseppe Redolfi
, Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici

acquisizioni digitali / digital imaging
MIDA Digit srl – Bergamo

montaggio video / film editing
Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici

graphic design / graphic design
&1 lab – Bergamo

atti del convegno / conference proceedings
Libri Aparte editore – Bergamo

allestimento, trasporti e accrochage / exhibition display, transport and accrochage
Arteria Safe Tech – Milano

performance preview / performance preview
AR

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Nello specchio di Armida

Il canto XVI della Gerusalemme Liberata
e la sua fortuna iconografica

11 ottobre – 4 novembre 2023
Atrio scamozziano

Maliziosa, infida, calcolatrice, ma anche disperatamente fragile di fronte alla forza travolgente dei sentimenti autentici; irresistibile femme fatale e vittima indifesa dei suoi stessi inganni; appassionata e vendicativa, orgogliosa e implorante, narcisista e battagliera: Armida, bellissima principessa saracena pronta a trasformarsi, per amore del suo nemico, in devota “ancilla” cristiana, è una delle figure più ambigue e sfuggenti che il tormentato genio di Torquato Tasso abbia regalato alla storia della letteratura.
È soprattutto nel canto XVI della Gerusalemme liberata che la maga pagana monopolizza il palcoscenico da assoluta primadonna, sfoderando una straordinaria gamma di sfumature psicologiche e registri espressivi: se inizialmente la vediamo trionfare sul campione cristiano Rinaldo, ridotto a suo adorante cicisbeo in un paradisiaco giardino delle delizie, quando l’eroe fugge dalle Isole Fortunate per tornare ai suoi doveri di crociato mostra tutta la vulnerabilità e la furia dell’amante abbandonata, riunendo in sé le più potenti suggestioni di illustri protagoniste del mito antico, dell’epica classica e del romanzo cavalleresco, da Arianna a Didone, da Alcina ad Olimpia.
Sulla base in primis delle edizioni illustrate della Liberata che la Biblioteca Civica Angelo Mai custodisce nella sua ricchissima Raccolta Tassiana, la mostra intende accompagnarci in questo caleidoscopico labirinto di specchi in cui si rifrangono i mille volti di Armida: pronta a catturare anche noi lettori, a distanza di secoli, con l’incantesimo del suo immortale fascino.

Armida e le altre

L’Orlando furioso come modello intertestuale e iconografico della Liberata

La rappresentazione di Armida nella Gerusalemme liberata non può prescindere dal confronto con l’ingombrante modello dell’Orlando furioso, da cui pure Tasso, nei suoi interventi metapoetici, ha spesso (e invano) tentato di smarcarsi.
Sul piano letterario, infatti, l’idillio amoroso tra Rinaldo e Armida ricalca palesemente l’episodio ariostesco di Ruggiero e Alcina: anche nel Furioso il mitico progenitore della dinastia estense si abbandonava a molli ozi in un edenico locus amoenus, adescato da una maga seducente e ingannatrice. Dietro la disperazione di Armida alla partenza di Rinaldo si intravvede poi, accanto all’ombra onnipresente della Didone virgiliana, la memoria dell’Olimpia di Ariosto, abbandonata nottetempo su un’isola deserta dall’ingrato sposo Bireno.
D’altro canto, l’esempio del Furioso è ben vivo non solo nella mente del poeta, ma anche nelle botteghe dei tipografi: il poema ariostesco rappresenta infatti, nel Cinquecento, un laboratorio che permette di sperimentare tecniche di mise en page e di interazione testo-immagine sempre più raffinate. Punto di riferimento per i primi illustratori della Liberata, a partire da Bernardo Castello e Antonio Tempesta, sono soprattutto le sontuose xilografie a tutta pagina delle edizioni Valgrisi (1556) e De Franceschi (1584), che coniugano selezione del dettaglio e visione d’insieme: una singola scena-madre del canto viene riprodotta su scala maggiore in primo piano, mentre i piani successivi ospitano, via via ridotti in prospettiva, “fotogrammi” dagli altri filoni narrativi che si avvicendano nel complesso entrelacement ariostesco. Ut poësis pictura: lungi dall’assolvere una mera funzione ornamentale, l’incisione pluriepisodica diventa così pendant visivo del testo e supporto mnemonico ad una lettura “orientata”.

Opere esposte

  • Ludovico Ariosto, Orlando furioso di m. Lodovico Ariosto, tutto ricorretto et di nuoue figure adornato. Alquale di nuouo sono aggiunte le Annotationi, gli Auuertimenti, et le Dichiarationi di Girolamo Ruscelli, la vita dell’autore, descritta dal Signor Giouambattista Pigna…, Venezia, Vincenzo Valgrisi, 1556 (Cinq 4.1048)
  • Ludovico Ariosto, Orlando furioso di m. Lodovico Ariosto. Nuouamente adornato di figure di Rame da Girolamo Porro Padouano et di altre cose che saranno notate nella seguente facciata, Venezia, Francesco de Franceschi, 1584 (Cinq 4.1461-1462)

Lo spettacolo del canto

Bernardo Castello e le prime edizioni illustrate

Spettano al pittore genovese Bernardo Castello le prime illustrazioni a stampa della Gerusalemme liberata: i suoi disegni, tradotti a bulino da Agostino Carracci, Giacomo Franco e Camillo Cungio, impreziosiscono infatti le edizioni del poema stampate tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, che sono raccolte in questa vetrina.
Attraverso il confronto dei rispettivi apparati, s’avverte un’evoluzione nel modo in cui l’artista ha organizzato le immagini. Già nell’edizione di Girolamo Bartoli del 1590, pur influenzata dalla tradizione tipografica ariostesca, Castello mostra di adeguarsi al desiderio di unità d’azione di Tasso, prediligendo episodi specifici, che sono valorizzati in primo piano, come nel caso del fortunatissimo abbraccio di Armida e Rinaldo, spiati da Carlo e Ubaldo ai margini dello spazio scenico.
Nella successiva edizione del 1613 proprio questi ultimi divengono protagonisti, raffigurati mentre con il loro scudo fanno specchio al compagno, affinché si veda riflesso e rinsavisca: il piccolo formato del volume impone al pittore di stringere le inquadrature sui personaggi, agendo criticamente sul testo e selezionando “fotogrammi” isolati.
La spazialità teatrale monoscenica è esplicitata nell’edizione in folio del 1617, dedicata a Carlo Emanuele di Savoia: qui per illustrare il canto XVI è scelto il momento della ripartenza dell’eroe, che sale sulla barca della Fortuna insieme ai compagni, abbandonando Armida e il suo palazzo incantato.

Opere esposte

  • Torquato Tasso, La Giervsalemme liberata di Torqvato Tasso. Con le Figure di Bernardo Castello; E le Annotationi di Scipio Gentili, e di Giulio Gvastavini, Genova, Girolamo Bartoli, 1590 (Tass. A.10.7)
  • Torquato Tasso, La Giervsalemme di Torqvato Tasso. Con gli Argomenti del Sig. Gio: Vincenzo Imperiale figurata Da Bernardo Castello, Genova, Giuseppe Pavoni, 1604 (Tass. A.4.10)
  • Torquato Tasso, La Gervsalemme liberata di Torqvato Tasso. Con le annotationi di Scipion Gentili, e di Givlio Guastauini, Et li argomenti di Oratio Ariosti, Genova, Giuseppe Pavoni, 1617 (Tass. C.7.4)

Specchi barocchi

La parabola di Rinaldo e i riflessi della coscienza

Il canto XVI della Gerusalemme liberata ruota attorno a due scene di rispecchiamento parallele e opposte al tempo stesso. Dapprima Rinaldo, languidamente rapito in un vertiginoso gioco di sguardi, dà prova della sua ben poco eroica sottomissione alla vanitosa Armida reggendole uno specchio a mo’ di lacchè (“ella del vetro a sé fa specchio, ed egli / gli occhi di lei sereni a sé fa spegli”, XVI, 20, 7-8); poco dopo, però, sdegnato dall’immagine di sé ormai oziosa ed effeminata che vede riflessa nello scudo, decide di interrompere il suo esilio dorato per ritornare al campo di battaglia. La simmetria contrastiva tra questi due momenti-chiave del canto è una manifestazione emblematica del celebre “bifrontismo spirituale” tassiano: se un “cristallo… lucido e netto” (XVI, 20, 2) funge dapprima da simbolo eclatante dell’umiliazione di Rinaldo, il “lucido scudo” (XVI, 30, 1) che risveglia il suo orgoglio guerriero diventa strumento di agnizione e riscatto morale.
La sensibilità del Seicento, che elegge lo specchio a tòpos attorno a cui si coagulano arguti “concetti” e temi squisitamente barocchi (il doppio, l’illusorietà, la vanitas), non poteva non essere attratta da queste due scene in tutti i sensi speculari, che risultano infatti, singolarmente o in coppia, tra le più rappresentate nelle edizioni coeve.
Non manca però qualche variante: nella stampa Tozzi del 1628, ad esempio, è la stessa Armida a reggere lo specchio in cui si rimira compiaciuta. A realizzare la tavola è forse quello stesso Francesco Valesio che tre anni prima, per i tipi di Giacomo Sarzina, aveva rinunciato tout court a raffigurare l’“estranio arnese” (XVI, 20, 1), focalizzandosi in primo piano, con gusto ancora manierista, sull’intricato abbraccio tra i due amanti.

Opere esposte

  • Torquato Tasso, Il Goffredo overo Gervsalemme liberata del Sig Torqvato Tasso, Roma, Giovanni Angelo Ruffinelli, 1607 (Tass. A.1.26)
  • Torquato Tasso, Delle Rime del Sig. Torquato Tasso. Parte qvinta. All’Illustriss. Signore il Sig. Gio. Battista Manso dedicate, Venezia, Evangelista Deuchino e Giovanni Battista Pulciani, 1608 (Tass. A.3.34)
  • Torquato Tasso, La Gervsalemme liberata di Torqvato Tasso Con la Vita di lui e con gli Argomenti dell’opera del Cav. Gvido Casoni. All’Ill.mo Sig.r Gio: Soranzo dell’Ill.mo et Ecc.mo S.r Lorenzo, Venezia, Giacomo Sarzina, 1625 (Tass. A.10.5)
  • Torquato Tasso, La Gervsalemme liberata di Torqvato Tasso Con la Vita di lui, Con gli Argomenti á ciascun Canto di Bartolomeo Barbato con le Annotationi di Scipio Gentile, e di Giulio Guastauino, & con le Notitie historiche di Lorenzo Pignoria, Padova, Pietro Paolo Tozzi, 1628 (Tass. B.7.9)
  • Torquato Tasso, Goffredo, overo Giervsalemme liberata, poema heroico del Sig. Torqvato Tasso. Nel quale sono state aggiunte molte stanze leuate, con le varie lettioni, & postiui gli Argomenti, & Allegorie à ciascun Canto d’incerto Auttore…, Venezia, Giacomo Vincenti, 1611 (Tass. A.9.28)
  • Torquato Tasso, Il Goffredo, overo Giervsalemme Liberata, poema heroico Del Signor Torqvato Tasso. Con l’Allegoria uniuersale dell’istesso, et gli Argomenti del Sig. Horatio Ariosti. Aggiuntoui i Cinque Canti del Signor Camillo Camilli, & il tutto Adornato di bellissime Figure, Venezia, Giovanni Battista Combi, 1626 (Tass. A.4.11)
  • Torquato Tasso, La Giervsalemme liberata poema eroico di Torqvato Tasso, Corretto, et adornato di vaghe figure in rame. Consagrato all’Eccellenza di Giovanni Cornaro, Venezia, Giovanni Quartaroli, 1678 (Tass. A.2.21)

I viaggi di Armida

Traduzioni europee e travestimenti dialettali della Liberata

In un’epoca in cui gli autori italiani dettano legge nelle corti di tutta Europa, la Gerusalemme liberata entra ben presto nel canone dei “classici moderni” più letti e amati anche all’estero. Testimonianza inequivocabile del prestigio internazionale di cui può fregiarsi sono le traduzioni, che si fanno apprezzare non solo per la qualità letteraria della resa, ma anche per le cure editoriali prestate al poema, spesso corredato da ricchi apparati paratestuali e iconografici.
È il caso della lussuosa versione tedesca del 1626: l’illustrazione multiscenica che apre il canto XVI ne offre una sintesi visiva completa e filologicamente impeccabile, rispettando anche nei più minuti dettagli la descrizione tassiana di Armida e del suo palazzo incantato. Ma anche le traduzioni si adeguano al mutare dei tempi: nei magnifici disegni a penna intercalati da James Doyle alla trasposizione in prosa realizzata dalla sorella Annette (1840), Armida – in linea con il gusto orientalista di età vittoriana – sembra assumere le fattezze di una sensuale odalisca, lontana dal canone rinascimentale della donna-angelo a cui aderiva (senza troppi scrupoli di realismo…) la descriptio puellae tassiana.
La fortuna della Liberata non è però soltanto un fenomeno d’élite: già nel Seicento proliferano infatti i suoi travestimenti dialettali, spesso d’intonazione parodica, che attestano la straordinaria diffusione dell’opera (e quindi la popolarità di personaggi come Armida) a livelli di ricezione molto eterogenei. Il frontespizio del Goffredo del Tasso cantà alla barcariola (1693), d’altronde, alimenta la leggenda (poi ripresa da Goethe) secondo cui i gondolieri veneziani sarebbero stati soliti intonare a memoria le ottave più celebri del capolavoro tassiano!

Opere esposte

  • Torquato Tasso, Gottfried von Bulljon, Oder Das erlösete Jerusalem. Erst von dem hochberühmbten Poeten, Torquato Tasso in Welscher Sprache beschrieben: Und nun in Deutsche Heroische Poesie Gesetzweise/ als vormals nie mehr gesehen/ überbracht, Frankfurt am Main, Daniel und David Aubri, Clemens Schleichen, 1626 (Tass. L.2.8)
  • Torquato Tasso, El Goffredo del Tasso cantà alla Barcariola dal Dottor Tomaso Mondini, e dedicà al Lustrissimo, e Celentissimo Sior Francesco Dvodo, Venezia, Domenico Lovisa, 1693 (Tass. D.6.19)
  • Torquato Tasso, Jerusalem Delivered. A Poem, in twenty Cantos: translated from the Italian of Tasso by Annette Doyle. Illustrated by her brother James, [manoscritto] 1840 (Tass. L.2.7)
  • Torquato Tasso, Jerusalen libertada. Poema en 20 cantos por Torcuato Tasso, traducido Por D. J. Caamaño y D. A. Ribot, adornado con 21 láminas. Tomo segundo, Valencia, Imprenta de Cabrerizo, 1841 (Tass. H.5.19/2)

Armida e Rinaldo aristocratici

I capolavori del Settecento italiano e francese

In questa vetrina è esposto, insieme ad altre edizioni del XVIII secolo italiane e francesi, il più celebre libro illustrato del Settecento, ovvero la Gerusalemme liberata stampata a Venezia nel 1745 da Giambattista Albrizzi e dedicata a Maria Teresa d’Austria, con incisioni tratte da disegni di Giambattista Piazzetta. L’argomento amoroso del canto XVI, lontano dai campi di battaglia, risponde perfettamente al gusto settecentesco Rococò. I due amanti, all’interno di un paesaggio pittoresco punteggiato da architetture in rovina e pascolo per gli animali, si abbandonano al divertimento e ignorano la realtà che li circonda.
Essi sono il ritratto dell’autocompiacimento della classe aristocratica del Settecento, libera da preoccupazioni e disposta soltanto a intrattenimenti frivoli e passeggeri, come si vede nell’illustrazione di Hubert-François Gravelot per l’edizione di Augustin Delalain del 1771, capolavoro delle incisioni francesi dell’epoca, o ancora in quella di Pompeo Lapi per la stampa londinese di Giovanni Tommaso Masi del 1778.
L’identificazione con la società contemporanea si compie nell’acquaforte da Charles-Nicolas Cochin per i superbi volumi di François-Ambroise Didot l’aîné del 1784-1786: all’ombra di una statua d’Amore, in uno scenografico giardino con boschetti e siepi curate, Armida e Rinaldo vestono anacronisticamente gli abiti del XVIII secolo.
A fine canto, l’edizione francese presenta l’abbandono di Armida, che – evoluzione dell’analogo disegno di Antonio Tempesta per l’edizione Mainardi del 1735 – con la sua tensione drammatica apre già al Romanticismo.

Opere esposte

  • Torquato Tasso, La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso Con la Vita del medesimo, Allegoria del Poema, Argomenti incisi ne’ Rami del Tempesta, ed Indice di tutti i Nomi proprj, e Materie principali contenute nell’Opera; e con le Annotazioni di Scipione Gentili, e di Giulio Guastavini. A Sua Eccellenza il Signor D. Orazio Albani Principe di Soriano, &c., Urbino, Girolamo Mainardi, 1735 (Tass. B.8.27)
  • Torquato Tasso, La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso con le figure di Giambattista Piazzetta alla Sacra Real Maestà di Maria Teresa d’Austria Regina d’Ungheria, e di Boemia, ec., Venezia, Giambattista Albrizzi, 1745 (Tass. B.8.4)
  • Torquato Tasso, La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Tomo Secondo, Parigi, Agostino Delalain, Pietro Durand, Giovanni Claudio Molini, 1771 (Tass. D.4.9/2)
  • Torquato Tasso, La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Tomo II, Londra, Giovanni Tommaso Masi, 1778 (Tass. A.7.40)
  • Torquato Tasso, La Gerusalemme liberata, di Torquato Tasso; stampata d’ordine di Monsieur. Tomo Secondo, Parigi, François-Ambroise Didot l’aîné, 1786 (Tass. L.5.4/2)

I volti della modernità

Le illustrazioni ottocentesche del poema tassiano

L’Ottocento è un secolo d’oro per l’illustrazione libraria: basti pensare al fortunatissimo corpus di xilografie dantesche realizzate da Gustave Doré, o all’edizione definitiva dei Promessi sposi, la Quarantana, esito di una stretta collaborazione tra Manzoni e il disegnatore Francesco Gonin. Forte del suo ormai consolidato status di classico, anche la Gerusalemme liberata continua a collezionare edizioni di pregio: se in alcuni casi si perpetuano moduli rappresentativi un po’ attardati, ancora debitori dell’aggraziato decorativismo Rococò, altri artisti soffiano sulle ottave del Tasso il vento nuovo della modernità.
Si collocano ad esempio al crocevia tra Neoclassicismo e Romanticismo le tavole ad acquerello firmate da Filippo Pistrucci (Milano, Tosi, 1820), fervido militante mazziniano e artista poliedrico, dedito alla poesia e all’improvvisazione teatrale oltre che all’arte del bulino. Il suo stile “a puro contorno” esaspera i contrasti chiaroscurali tra primo piano e sfondo, ma ammicca anche, nelle scelte iconografiche, al gusto preromantico per la dimensione onirica ed esoterica: invasata dall’ira e dal desiderio di vendetta, emula delle Erinni del mito, Armida viene ritratta nel momento in cui convoca al suo cospetto, in un palazzo ormai in procinto di disintegrarsi nel nulla, schiere allucinate di demoni infernali.
Un’atmosfera inconfondibilmente fin de siècle aleggia invece sull’edizione Perino del 1890, che associa suggestioni orientaleggianti ad un elegante linearismo d’impronta Liberty (particolarmente evidente nel profilo della vela spiegata al vento dalla Fortuna, guida di Carlo e Ubaldo nella loro missione provvidenziale alla ricerca del compagno perduto).

Opere esposte

  • Torquato Tasso, La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Edizione formata sopra quella di Mantova, Osanna, 1584. Tomo II., Milano, Paolo Antonio Tosi, 1820 (Tass. B.6.10)
  • Torquato Tasso, Gerusalemme liberata di Torquato Tasso pubblicata e ornata di stampe litografiche da Antonio Zezon, Napoli, Antonio Zezon, 1841 (Tass. D.7.16/2)
  • Torquato Tasso, La Gerusalemme liberata con prefazione e note di G. Stiavelli. Illustrata da 51 Disegni di A. Pigna, Roma, Edoardo Perino, 1890 (Tass. B.8.26)

Antichi, ma non troppo

Tempere e fumetti per la Gerusalemme liberata

Anche nel Novecento continua la fortuna iconografica della Gerusalemme liberata. Sono qui presentati tre casi, che dimostrano la fantasiosa varietà di proposte che caratterizza la seconda metà del secolo.
Al 1967 risale la Paperopoli liberata, parodia disneyana del poema tassiano, scritta da Guido Martina, disegnata da Giovan Battista Carpi e pubblicata sui numeri 598 e 599 di “Topolino” del 14 e 21 maggio dello stesso anno: il canto XVI è evocato allorché Paperino, novello Rinaldo, incontra “in un giardino delle fate” la Magda Almida, affascinante fanciulla (in realtà un Bassotto travestito) che lo soggioga insieme ai nipoti.
Il volume di Rita Ladogana e András Csillaghy riproduce la serie di quarantatré tavole a tempera su carta eseguite nel 1970 da Bernardino Palazzi per illustrare il poema tassiano, forse in vista di un’edizione mai realizzata. Il pittore nuorese, a partire dalle trasposizioni figurative della tradizione classica, affronta con la modernità del suo vocabolario stilistico i contenuti del canto XVI, presentando gli episodi dell’amore di Armida e Rinaldo e di Armida sul carro volante.
A fumetti è pure la caricatura umoristica e irriverente della Gerusalemme liberata ideata da Marcello Toninelli, in arte Marcello: Rinaldo, fatto schiavo d’amore, viene ritrovato da Carlo e Ubaldo mentre stende il bucato e cuoce il sugo agli ordini di Armida!

Opere esposte

  • Guido Martina, Giovan Battista Carpi, Paperopoli liberata in “Topolino”, 598-599, 14 e 21 maggio 1967 (Tass.1.135)
  • Marcello, Rinaldo. La Gerusalemme liberata a fumetti, Rimini, Cartoon Club Editore, 2010 (Collezione privata)
  • Torquato Tasso, Gerusalemme liberata. Illustrazioni: Bernardino Palazzi. Testi: Rita Ladogana, András Csillaghy, Udine, Forum, 2014 (Tass.3.162)

La mostra continua?

Armida e Rinaldo a Bergamo

Dopo la pubblicazione tardocinquecentesca e grazie al moltiplicarsi delle edizioni illustrate, ricche di spunti figurativi per gli artisti, la Gerusalemme liberata diviene con i suoi episodi un contenuto privilegiato per la decorazione monumentale di molti ambienti, specialmente privati. Anche a Bergamo, notoriamente legata a Tasso, il visitatore potrà trovare alcuni esempi, scalati dal Seicento al Novecento, che qui si suggeriscono con l’intento di estendere idealmente la mostra fuori dalle stanze della Biblioteca civica e proporre percorsi di scoperta della città in chiave letteraria.
In palazzo Moroni in via Porta dipinta Gian Giacomo Barbelli firma, nel 1652, gli affreschi della sala cosiddetta della Gerusalemme liberata, nel cui fregio si riconosce – tra gli altri – l’episodio di Armida e Rinaldo tratto dal canto XVI. Sulla facciata neoclassica di palazzo Medolago Albani in porta San Giacomo, cinque bassorilievi marmorei di Giovanni Maria Benzoni rappresentano episodi del poema tassiano e l’incoronazione del suo autore (1848). Nella sala consiliare della filiale della Banca Popolare di Bergamo, in piazza Vittorio Veneto, si ammirano decorazioni di Achille Funi (1952), allora direttore dell’Accademia Carrara, raffiguranti tre scene del poema: l’assedio di Gerusalemme, la morte di Clorinda e il giardino di Armida.
Il Centro studi tassiani, attraverso l’impegno di alcuni suoi Soci, è attivo nella raccolta di altre immagini tassiane, che vanno dalle raffigurazioni del poeta alle illustrazioni delle sue opere e dei rispettivi personaggi: tutte presto confluiranno in un database online, implementabile e consultabile liberamente.

Mostra a cura di
Lorenzo Mascheretti
Alice Spinelli

Comune di Bergamo
Giorgio Gori, Sindaco
Nadia Ghisalberti, Assessore alla Cultura
Elena Pasini, Dirigente Direzione Cultura BGBS23, sport, eventi, partecipazione e commercio
Francesca Giupponi, Responsabile Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici

Centro di Studi tassiani
Cristina Cappelletti, Presidente

Si ringraziano
Cristina Cappelletti
Francesca Giupponi

Progetto grafico
#cartadesign – Dario Carta

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Che tipi a Bergamo e Brescia!

I più antichi libri a stampa testimoni di una rivoluzione

Atrio scamozziano
30 giugno – 7 ottobre 2023

Ingresso libero durante gli orari di apertura della Biblioteca

Inaugurazione venerdì 30 giugno ore 18.00

Visite guidate giovedì 31 agosto, 7, 14, 21, 28 settembre, 5 ottobre, ore 16.30-17.30

In questo anno 2023 di Bergamo-Brescia Capitale italiana della cultura, le principali biblioteche di conservazione delle due città, la Biblioteca Angelo Mai e la Biblioteca Queriniana, nate entrambe nel Settecento, propongono al visitatore un duplice itinerario nel mondo dei libri del secondo Quattrocento, alle origini della stampa a caratteri mobili, indubbiamente uno dei periodi più vivaci per la storia del libro e delle biblioteche.
La Biblioteca Angelo Mai, ricca di un patrimonio di 1700 incunaboli – così sono chiamati i libri pubblicati nel XV secolo – intende qui valorizzare questa cospicua eredità, acquisita grazie alle antiche soppressioni di conventi e monasteri locali, ma anche a trasferimenti istituzionali, donazioni, acquisti oculati.
Si vuole mettere in luce la ricca circolazione di libri a stampa avvenuta a quell’epoca nel territorio bergamasco, che vede fra i principali protagonisti l’erudito Giacomo Filippo Foresti, un frate agostiniano che pubblicò importanti monografie e fu attivissimo nella compravendita di libri dando così slancio alla biblioteca del Convento di S. Agostino, all’epoca una delle più ricche in città.
Attraverso questo percorso il visitatore è invitato a esplorare le tecniche di produzione del libro antico: l’utilizzo dei caratteri mobili e del torchio, la stampa e la fascicolazione dei fogli, la realizzazione della decorazione e il confezionamento della legatura, fino a comprendere cosa significhi leggere, scrivere, fare cultura con la nuova rivoluzionaria arte tipografica che lo stesso Foresti non esitò a definire «non humana ma più presto divina et da Dio mandata».

Gli incunaboli della Biblioteca Civica Angelo Mai

Il cardinale Giuseppe Alessandro Furietti, nel 1760, lascia alla città di Bergamo la propria libreria che si aggiunge al nucleo di libri presente nella sede municipale di Palazzo Nuovo. La Biblioteca apre al pubblico attorno al 1770.
Il 22 maggio 1797 la municipalità di Bergamo incamera la biblioteca del Capitolo della Cattedrale e forma un’unica biblioteca cittadina, che si arricchisce ulteriormente con le soppressioni degli enti ecclesiastici in età napoleonica.
Nel 1800 al bibliotecario Agostino Salvioni viene affidato il compito di risolvere il disordine in cui la biblioteca si trova, e prende forma la collezione di incunaboli, presenti in biblioteca, già allora, in circa milleduecento esemplari.
In questi anni partecipa attivamente alla vita della biblioteca Leonino Secco Suardo che con l’aiuto del cugino Bartolomeo compila il Catalogo generale della Pubblica Biblioteca Comunale della Regia Città di Bergamo, completato nel 1856.
Sono opera di Luigi Chiodi, direttore dal 1957 al 1978, il riordino e la catalogazione del patrimonio, la pubblicazione nel 1966 dell’Indice degli incunabuli della Biblioteca Civica di Bergamo.
Allo “storico catalogo” a schede si aggiungono a partire dal 1977 le acquisizioni nella base dati SBN (Catalogo collettivo delle Biblioteche italiane).
L’accesso al documento, che in passato avveniva attraverso la consultazione di cataloghi cartacei, oggi si realizza anche tramite strumenti informatici che ne consentono il raggiungimento in modo sempre più preciso e puntuale.

Le origini della stampa a caratteri mobili

La stampa a caratteri mobili è stata inventata nella cittadina tedesca di Magonza da Johannes Gutenberg nei primi anni ’50 del Quattrocento. Gutenberg era alla ricerca di un metodo che gli consentisse di riprodurre meccanicamente un elevato numero di copie di uno stesso testo mantenendosi fedele all’aspetto del libro manoscritto. Dopo varie esperienze completò la stampa, entro l’autunno del 1454, di una monumentale bibbia detta Bibbia delle 42 linee, in ca. 180 esemplari, parte dei quali su pergamena. Nel giro di una quindicina di anni, l’arte tipografica si diffuse in molte città europee: in Italia troviamo le primissime testimonianze già a partire dal 1463. La tecnica consiste nel creare dei punzoni in acciaio temperato con, all’estremità, i singoli caratteri sporgenti e perfettamente a livello fra loro. Essi vengono poi impressi con forza in matrici di rame in modo da lasciarvi dei solchi, riempiti a loro volta da una lega metallica fusa che, a solidificazione avvenuta, dà origine ai singoli caratteri mobili. In fase di stampa, questi vengono allineati in parole e frasi in un’apposita forma destinata a contenere il testo – in una o più colonne – di ogni lato del foglio da stampare. Dopo l’inchiostrazione con appositi mazzi, la forma e il foglio teso in un telaio di legno sono portati al torchio e fatti scorrere fino a posizionarsi sotto la platina che, con un colpo di leva, comprime il foglio sulla forma lasciando l’impronta dei caratteri sulla carta (più raramente sulla pergamena). A fine giornata, si riuscivano a produrre ca. 300-350 fogli per ogni torchio. Dalla fine del XV secolo il sapere universale, sia umanistico sia scientifico, assunse la veste del libro a stampa. Per testimoniare appieno la produzione culturale nelle lingue originali, furono prodotte anche serie di caratteri diversi dall’alfabeto latino come l’ebraico e il greco.

  • Aristotele, Ethica ad Nicomachum, in latino, Strasburgo, Johann Mentelin, prima del 10 IV 1469 – segnatura: INC 4 329
  • Giovanni Crastone, Lexicòn katà stoichéion, in greco e latino, Modena, Dionigi Bertocchi, [1499-1500] – segnatura: INC 4 215
  • Johann Engel, Astrolabium planum, in latino, Augusta, Erhard Ratdolt, 1488 – segnatura: INC 3 98

L’allestimento del libro: bifogli, fascicoli, legature

Agli albori della stampa il torchio manuale consentiva di imprimere testo e immagini su di un solo foglio per volta, tante volte quante le copie da realizzare. I primi prodotti tipografici furono semplici fogli volanti di questo tipo, da affiggere, distribuire o conservare come documenti personali: cedole di indulgenza e bandi ufficiali, prove di stampa e cataloghi librari, lunari e immagini sacre, stampati talvolta sulla sola metà di un foglio.
Il foglio piegato a metà, o bifoglio, era l’unità elementare su cui si articolava la struttura del libro: più bifogli sovrapposti e ripiegati formavano il fascicolo. Dato che testi lunghi occupavano più bifogli, per garantire la corretta successione del testo ogni bifoglio era contrassegnato da una lettera – indicante la posizione del fascicolo nel volume – e da un numero progressivo – che indicava quella del bifoglio nel fascicolo. Per i volumi di piccolo formato, ottenuti piegando ulteriormente il bifoglio di partenza, la rifilatura oltre a eliminare le irregolarità della carta lungo i bordi (le barbe) recideva anche i margini esterni in corrispondenza delle piegature, rendendo le carte sfogliabili (intonsi, non tagliati, sono propriamente gli esemplari che non conobbero mai questa fase di lavorazione).
Di norma i libri erano venduti in forma di fascicoli sovrapposti in successione ordinata: erano gli acquirenti ad affidare la legatura ad atelier specializzati. In genere, il legatore univa i fascicoli tramite cuciture realizzate su supporti in cuoio, pelle o fibra vegetale, chiamati nervi, a loro volta ancorati ai piatti (i quadranti in legno o carta che aderendo alle carte esterne del volume gli davano corpo e protezione); all’esterno poteva poi essere applicata la coperta, un rivestimento in pelle, carta, pergamena o persino in tessuto, spesso decorata.
Grazie alla natura artigianale dell’operazione, all’interno di una stessa legatura si potevano riunire più edizioni oppure far convivere parti a stampa e manoscritte.

  • Tommaso da Vaprio, Littera indulgentiarum Hospitalis sanctorum Nicolai et Bernardi, Milano?, s.n.t., non post 13 III 1478 – segnatura: INC 1 205
  • Paolo Olmi, Regula S. Augustini, in latino e in italiano,  Roma, Francesco Cinquini, 1479 – segnatura: INC 5 8/3

Illustrazione e musica nel libro a stampa nel secondo Quattrocento

La nascita della stampa a caratteri mobili fu ben presto seguita da quella del libro a stampa illustrato: il primo esempio è una raccolta di favole stampata in Germania nel 1461.
Per i libri di maggior pregio si continuò talvolta ad applicare la tecnica della miniatura, nata per la decorazione del codice manoscritto. Si trattava però di un procedimento piuttosto raffinato e costoso, quindi difficile da riproporre su centinaia di copie. Se si volevano ottenere immagini a colori con un metodo più semplice, si poteva ricorrere all’acquerello. Ciò comportava comunque la necessità di un intervento manuale su ogni esemplare. Un’altra tecnica decorativa ereditata dal manoscritto era quella delle iniziali filigranate, che prevedeva l’utilizzo di inchiostri di due o tre colori diversi: solitamente il nero, il blu e il rosso. Tipica anche l’alternanza di iniziali in blu e in rosso o l’utilizzo dell’inchiostro rosso per interi titoli, le rubriche.
Una tecnica largamente utilizzata per la decorazione del libro a stampa dei primi decenni fu la xilografia, che consiste nell’utilizzo di un blocco di legno nel quale si scavano i contorni dell’immagine con scalpelli e lime in modo da far emergere il disegno in rilievo. A questo punto si cosparge la tavoletta di inchiostro in modo da lasciare l’impronta del disegno desiderato sul foglio, con possibilità di ripetere agevolmente l’operazione. La xilografia fu anche spesso utilizzata per gli esempi in notazione musicale nei metodi e trattati teorici sull’argomento. Molte furono infatti le difficoltà tecniche che si presentarono ai primi stampatori di musica. Per ciò che attiene alla notazione quadrata su tetragramma, tipica della musica monodica, troviamo già soluzioni diversificate che vanno dalla scrittura a mano alla stampa del rigo con l’aggiunta manuale delle sole note, fino alla sperimentazione di caratteri mobili musicali veri e propri, eventualmente in duplice impressione, con la stampa in momenti separati del rigo e delle note.

  • Quinta e sesta allegrezza da Le sette allegrezze di Maria, Ascensione di Cristo e Pentecoste, Italia, fine secolo XV – segnatura: INC 3 339
  • Missale Romanum, Venezia, Giorgio Arrivabene, 1499 – segnatura: INC 1 186

  • Nicolò Burzio, Opuscolum musices, Bologna, Benedetto Faelli, 1487 – segnatura: INC 2 257

Vestire i libri: la legatura a Bergamo tra Quattro e Settecento

In epoca pre-industriale le legature dei libri erano realizzate con un complesso procedimento artigianale, effettuato da mani esperte con svariate tecniche e materiali. Differenti i risultati, costante la funzione: tenere unito il blocco dei fascicoli e proteggere i fogli durante la lettura e quando il volume era riposto – poggiato di piatto – in casse, armadi o scaffali.
Come in molte altre località sono noti centri di realizzazione di legature artistiche, ciascuna caratterizzata da una particolare tecnica o decorazione, anche a Bergamo furono attivi, nel corso dei secoli, atelier specializzati. Nel XV secolo erano diffuse essenziali legature su piatti lignei parzialmente rivestiti di cuoio o pelle allumata, provviste di fermagli di chiusura, comunemente dette monastiche.
Ma poiché spesso le legature tradiscono una fattura anche di molto successiva a quella della stampa dei libri, fra gli incunaboli diverse sono cinquecentesche o hanno comunque subito modifiche nel corso del tempo per iniziativa dei vari proprietari. Nel XVI secolo il rivestimento tende a ricoprire interamente i piatti e ricorrono alcuni elementi decorativi peculiari, soprattutto il ferro di cavallo e una placchetta con un profilo virile. I libri più preziosi erano dotati di elementi metallici (borchie, umboni, cantonali) che proteggevano la coperta dallo sfregamento con altri volumi o con le superfici di appoggio.
Nel Settecento si fa preponderante l’uso dell’oro nella decorazione, che si concentra sui dorsi, a testimonianza dell’ormai consueta collocazione dei libri a scaffale in posizione verticale. A Bergamo un ampio nucleo di incunaboli è ben identificabile dalla presenza di una coperta in carta rossa o marmorizzata a più colori con il dorso decorato a fioroni in oro realizzati con tre o quattro ferri diversi, circostanza questa che tradisce una probabile unica committenza. Fioroni molto simili ricorrono anche nella legatura settecentesca dell’esemplare del Supplementum chronicarum che a suo tempo Giacomo Filippo Foresti vendette al canonico Carlo Boselli, esposto al centro della bacheca grande.

  • Battista Spagnoli detto Mantovano, De patientia, Brescia, Bernardino Misinta, 30 V 1497 – segnatura: INC 5 82
  • Graziano, Decretum, Venezia, [Andrea Torresano], 26 VI 1498 – segnatura: INC 2 2
  • Bonino Mombrizio, Sanctuarium sive Vitae Sanctorum, [Milano, Tipografo del Mombrizio, ca. 1477] – segnatura: INC 1 203
  • Marziano Capella, De nuptiis Philologiae et Mercurii, Modena, Dionigi Bertocchi, 15 V 1500 – segnatura: INC 1 161
  • Orazio, Opera, Venezia, Filippo di Pietro, 18 IX 1479 – segnatura: INC 4 177

Libri interattivi, di scuola e proibiti

I libri quattrocenteschi oggi più spesso conservati – in latino, di tema impegnato e destinati a un pubblico di uomini nobili altamente istruiti, capaci tanto di comprendere i contenuti quanto di apprezzare la decorazione o un’importante legatura – non esauriscono le più variegate manifestazioni della circolazione e dell’uso del libro tra Medioevo e Rinascimento.
Con questa cultura d’élite, in cui si colloca anche il Supplementum chronicarum del Foresti attorno cui si dipana la mostra, convissero tipologie librarie di più largo consumo, veri best-seller della loro epoca che oggi sopravvivono in pochissimi esemplari, come libri liturgici, testi devozionali o romanzi cavallereschi. Ne sono un esempio i libri animati, provvisti di parti mobili con cui il lettore interagisce a fini ludici o pratici: i flap, alette che nascondono una parte del testo o del disegno sottostante, le volvelle, dischi mobili sovrapposti che ruotano attorno a un perno, o ancora strumenti portatili con parti metalliche per misurazioni astronomiche.
Anche i testi di scuola di rado superano le ingiurie dei secoli (e degli studenti!): annotazioni, appunti, il nome di una ragazza, ghirigori e schizzi abbozzati nella noia tradiscono l’insofferenza con cui erano seguite le lezioni dei maestri. I libri passavano poi di mano in mano, all’interno di una stessa famiglia o circolando sul mercato, prima di essere gettati via. Fiorenti botteghe dove si potevano acquistare libri nuovi e usati (come quella di Lorenzo Zambelli in Porta Dipinta dal 1498 al 1527) sono note a Bergamo quando ancora non vi era una stabile tipografia.
Infine, a ridurre i testimoni superstiti, va ricordato che nel Cinquecento la scure della censura ecclesiastica si abbatté sui testi ritenuti non ortodossi. Quelli iscritti nell’Index librorum prohibitorum non potevano essere nè letti nè posseduti: molti andarono distrutti, alcuni vennero conservati illegalmente, altri furono epurati parzialmente, come il Masuccio Salernitano qui esposto, che sopravvisse mutilo e marchiato dalla lapidaria nota manoscritta «proibito».

  • Johannes Müller von Königsberg (Regiomontanus), Kalendarium, Venezia, Erhard Ratdolt , 15 X 1485 – segnatura: INC 5 23

  • Gaspar Veronensis, Grammatica Latina, Brescia, Stazio Gallo, 1475 – segnatura: INC 2 312

  • Masuccio Salernitano, Il Novellino, Venezia, Giovanni e Gregorio de Gregori, 1492 – segnatura: INC 4 184

La sintesi delle fonti nelle opere di Giacomo Filippo Foresti

Negli ultimi decenni del Quattrocento l’agostiniano bergamasco Giacomo Filippo Foresti scrive e affida alla stampa tre opere apparentemente diverse per genere, impostazione e finalità, ma accomunate da un analogo metodo di composizione, tipicamente medievale, che prevede un’accurata lettura delle fonti, una selezione dei contenuti e un loro ampliamento, da cui deriva una summa dello scibile su un dato argomento, per la comune utilità.
Il 7 gennaio 1483, a Bergamo, il frate incarica il tipografo Bernardino Benaglio di stampare una sintesi della storia universale denominata Supplementum chronicarum, in 650 copie (lui stesso ne avrebbe acquistate circa 200, da rivendere in Lombardia). L’opera vide la luce a Venezia il 23 agosto 1483 e riscontrò un successo notevole, tanto che godette di varie edizioni successive, tra cui una illustrata con vignette xilografiche (Venezia 1486) e una ampliata dall’autore con gli eventi degli ultimi decenni (Venezia 1503). Il tedesco Hartmann Schedel vi si ispirò per il suo celebre Liber chronicarum (Norimberga 1493), considerato uno dei libri più belli di sempre.
Il De claris mulieribus (Ferrara 1497) è una raccolta di biografie femminili composta presso la corte estense e dedicata a Beatrice d’Aragona, in cui il Foresti propone una rassegna di 192 profili di donne esemplari del mito, dell’agiografia, della storia e della sua epoca, di cui evidenzia sia le virtù tradizionali, come fede, carità e coraggio, sia, con sensibilità tutta umanistica, la doctrina.
L’ultima opera, probabilmente composta negli ultimi anni del XV secolo a Bergamo, nel convento di S. Agostino, è una guida per l’esame di coscienza intitolata Confessionale, che ebbe varie ristampe fra Quattro e Cinquecento, in latino e in volgare.

  • Giacomo Filippo Foresti, Supplementum chronicarum, Venezia, Bernardino Benaglio, 23 VIII 1483 – segnatura: INC 4 128
  • Giacomo Filippo Foresti, Supplementum chronicarum, Venezia, Bernardino Benaglio, 23 VIII 1483 – segnatura: INC 4 316
  • Giacomo Filippo Foresti, Supplementum chronicarum, Venezia, Bernardino Benaglio, 15 XII 1486 – segnatura: INC 1 88
  • Hartmann Schedel, Liber chronicarum, Norimberga, Anton Koberger per Sebald Schreyer e Sebastian Kammermeister, 12 VII 1493 – segnatura: INC 1 21

  • Giacomo Filippo Foresti, Supplementum supplementi cronicarum, Venezia, Albertino da Lessona, 4 V 1503 – segnatura: CINQ 5 563
  • Giacomo Filippo Foresti, De claris mulieribus, Ferrara, Lorenzo Rossi, 29 IV 1497 – segnatura: INC 4 131
  • Giacomo Filippo Foresti, Confessionale, in latino, Venezia, Bernardino Benaglio, [ca. 1497] – segnatura: INC 2 284/1
  • Giacomo Filippo Foresti, Confessionale, in latino, Venezia, Pietro Quarenghi, [ca. 1510] – segnatura: INC 5 105/1

Jacopo da Balsemo: un miniatore per la città

La data di nascita di Jacopo da Balsemo (o Balsamo) si colloca intorno al 1425. La forma Balsemo potrebbe essere un toponimo indicante l’origine dalla località Balsamo, presso Cinisello, oppure un cognome che non ha alcuna attinenza con il luogo di provenienza.
Il primo riferimento a Jacopo è del 1451, nel Libro degli Estimi, in cui lo si dichiara abitante a Bergamo nella vicinia di S. Andrea e nel 1453 è documentato quale «magistrum miniatorem». Le sue prestazioni artistiche per il Consorzio della MÎA sono molto soddisfacenti e nella sua produzione, oltre ai Libri liturgici per il Coro di S. Maria Maggiore in Bergamo (custoditi presso la Biblioteca Civica Angelo Mai), spicca la decorazione, tra il 1483 e il 1486, di quattro esemplari a stampa del Supplementum chronicarum di Giacomo Filippo Foresti, frate del convento di S. Agostino.
La sua formazione artistica avviene nelle officine milanesi, molto probabilmente nella bottega del maestro delle Vitae Imperatorum, il più famoso miniatore del periodo tardo visconteo.
Caratteristica della sua arte è l’attaccamento alla tradizione: contorna i margini delle pagine con arcaiche foglie d’acanto, contenendo le scene entro un’unica lettera capitale grande che funge da cornice.
Balsemo risulta inserito anche nel circuito di stampatori e librai della città, probabilmente nella sua bottega ci si occupa anche di scrittura e vendita di libri. Tra gli esemplari miniati dal Balsemo del Supplementum chronicarum rimane alla Biblioteca Civica di Bergamo l’incunabolo appartenuto al canonico Carlo Boselli e da lui affidato al Balsemo per la miniatura (INC 4 128), qui esposto nella bacheca grande.

  • Statuta Bergomi, Bergamo, 1453, manoscritto membranaceo – segnatura: Sala I D 9 8
  • Statuta Bergomi, Brescia, Angelo e Jacopo Britannico, [18 XII] 1491 – segnatura: INC 3 36
  • Statuta Bergomi, Brescia, Angelo e Jacopo Britannico, [18 XII] 1491 – segnatura: INC 4 238
  • Marco Fabio Quintiliano, Institutiones oratoriae, Milano, Antonio Zarotto, [9 VI] 1476 – segnatura: INC 4 30
  • Antonino Fiorentino, Summa theologica, parte II, Venezia, Giovanni da Colonia e Johann Manthen, 1477 – segnatura: INC 3 226
  • Bonifacio VIII, papa, Liber sextus Decretalium, Venezia, Nicolas Jenson, [23 XI] 1479 – segnatura: INC 1 15

Bernardino Benaglio: un’eccellenza bergamasca nella tipografia veneziana

Disponibilità economica, intraprendenza e spirito imprenditoriale sono gli ingredienti che portano il giovane bergamasco Bernardino Benaglio a cercare fortuna a Venezia con l’arte tipografica, dove avvia una propria tipografia attorno al 1480 (la prima edizione datata è il Supplementum chronicarum del Foresti, del 23 agosto 1483).
La sua produzione è vastissima ed estesa su un lungo arco temporale, che lo vede licenziare l’ultima edizione nel 1543 e traghettare così, almeno idealmente, la tipografia bergamasca sino a un passo dalle prime edizioni stampate in città da Michele Gallo (1555) e dalle più stabili tipografie di Vincenzo da Sabbio (1577) e Comino Ventura (1578).
Aperto alle innovazioni, Benaglio stampa prodotti di ogni genere: dai classici alle opere devozionali, dai libri liturgici con brani musicali alle xilografie artistiche, da voluminose opere giuridiche e filosofiche a splendide edizioni illustrate.
Inizialmente impiega come contrassegno una marca tipografica che riporta la sua iniziale «B», dal 1494 adotta in modo più sistematico una marca che raffigura san Girolamo, protettore degli studiosi e dei librai.
Tra il 1493 e il 1494 realizza anche quella che può essere considerata la prima collana editoriale della storia: una decina di diversi opuscoli in volgare di contenuto devozionale presentano sulla prima e sull’ultima carta due identiche xilografie che raffigurano in modo simbolico il mistero della Trinità di Dio – Padre, Figlio, Spirito Santo – e della Verginità perpetua di Maria, mentre una terza illustrazione richiama il contenuto specifico di ogni edizione.
Un bell’esempio della sua capacità di interpretare le esigenze di un mercato non solo locale è la società con l’editore Francesco Cartolari, libraio di Perugia che si riforniva a Venezia di libri da vendere nella sua città, centro universitario vorace, ma privo di un’officina tipografica.

  • Eusebio di Cesarea, De evangelica praeparatione, in latino, Venezia, Bernardino benaglio, 31 V 1497 – segnatura: INC 3 143/1
  • Giardino de oratione fructuoso, [Venezia, Bernardino Benaglio], 1494 – segnatura: INC 2 163
  • Lorenzo Giustiniani, Dottrina della vita monastica, [Venezia, Bernardino Benaglio], 20 X 1494 – segnatura: INC 5 27

L’antica biblioteca del Convento di S. Agostino

Con l’arrivo della Congregazione osservante di Lombardia in città (1443), il convento di S. Agostino di Bergamo incontra una stagione di rinascita artistico-architettonica e culturale di cui Giacomo Filippo Foresti è il promotore più attivo e originale. Come lui, compongono opere che finiranno sotto i torchi di città italiane ed europee anche i confratelli Ambrogio da Calepio, autore del celebre Dictionarium, e Paolo Olmi, che già nel 1479 si servì dell’ars imprimendi per garantire circolazione alla sua Apologia religionis fratrum Heremitarum.
Grande impulso deriva dalla fondazione nel convento di uno studium (1460), in cui insieme a logica, filosofia e teologia diventano discipline di studio le arti liberali: i frati possono ora ambire a divenire docti, ma non doctores, alimentando l’attitudine pastorale più che quella speculativa.
Le nuove materie necessitano di testi specifici (fra cui le summae, sintesi e via d’accesso agli argomenti più complessi di ogni disciplina) e così gli Agostiniani allestiscono la loro libreria: quando, tra il 1766 e il 1767, frate Tommaso Verani su incarico della Congregazione di Lombardia lavorerà al riordino dell’antica biblioteca di Bergamo, vi troverà 215 edizioni del XV secolo, numero di poco inferiore alle circa 250 edizioni censite nei conventi di Crema e Milano.
A S. Agostino la tradizione aristotelica convive con quella umanistica: accanto alle auctoritates dottrinali dell’Ordine (Egidio Romano, Alberto da Padova, Giordano di Sassonia e Paolo Veneto) sono ben rappresentati trivio e quadrivio, ma amplificati dalla nuova visione pedagogica umanistica che riabilita la poesia e il teatro, valorizza il ruolo della storia, dell’etica e della politica. Ne sono espressione i libri acquisiti dal Foresti, dei quali lo stesso Foresti risulta lettore, come la Biblioteca storica di Diodoro Siculo e il De orthographia di Tortelli, che connettono il convento alla nuova ratio studiorum dell’Umanesimo, con il ritrovamento di manoscritti perduti, le traduzioni dal greco e la condivisione di un ideale che vede nella conoscenza della storia un elemento di valore che rende l’uomo libero.

  • Alessandro Sermoneta, Super consequentiis Strodi commentum, Padova, N.T.S.P., 20 VIII 1477 – segnatura: INC 2 338
  • Paolo Veneto, Logica, Milano, Domenico da Vespolate e Jacopo da Marliano, 20 X 1478 – segnatura: INC 2 342
  • Giovanni Tortelli, Orthographia, Vicenza, Stephan Koblinger, 13 I 1479 – segnatura: INC 3 23

Mostra a cura di
Maria Giuseppina Ceresoli
Marcello Eynard
Roberta Frigeni
Eleonora Gamba

Comune di Bergamo
Giorgio Gori, Sindaco
Nadia Ghisalberti, Assessora alla Cultura
Elena Pasini, Dirigente Direzione cultura BGBS23,
sport, eventi, partecipazione e commercio
Francesca Giupponi, Responsabile
Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici

Organizzazione e allestimento
Maria Giuseppina Ceresoli
Marcello Eynard
Eleonora Gamba

Progetto grafico
#cartadesign — Dario Carta

Si ringrazia
Maria Elisabetta Manca

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A cavallo del secchio

Fantasie e opere di Italo Clavino
tra i libri della Biblioteca Angelo Mai

Atrio scamozziano
28 aprile – 25 giugno 2023

In occasione del centenario della nascita di Italo Calvino la Biblioteca Angelo Mai offre un percorso e un confronto con il patrimonio librario legato a una figura centrale della storia letteraria e culturale italiana del Novecento. Le opere esposte riflettono coerenze e discontinuità dell’acquisizione di romanzi e racconti, filtrati nelle case di tanti italiani sin dai tempi della scuola, e diventano l’occasione per comprendere, in controluce, le dinamiche di collezione e fruizione adottate nel secondo Novecento quando a Bergamo si avvia il Sistema polarizzato della pubblica lettura e la Biblioteca Civica affronta il delicato passaggio identitario per diverse e nuove politiche degli acquisti.

L’esposizione propone solo un saggio di una vastissima produzione, che spazia tra generi e forme, comunicando con la cultura corrente e con l’opera narrativa di più generazioni, a fianco delle quali Calvino attraversa quaranta anni di vita intellettuale, dedicando a tanti progetti editoriali un tempo non inferiore a quello concesso alla propria opera. Nella pluralità di voci si cerca – anche mediante i testi che intervallano il percorso – di far risuonare la varietà di interessi di un autore che ha ridiscusso giorno per giorno strategie e missione del mestiere di scrittore, in equilibrio scostante tra realismo e fantasia, tra cronaca e fiaba: a cavallo del secchio, dunque, come il protagonista di un racconto di Kafka con il quale Calvino chiude una celebre lezione all’insegna della leggerezza.

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IO, MEDEA

Dal 16 marzo al 4 giugno 2023, per la mostra diffusa IO, MEDEA. La leggenda bianca del Rinascimento lombardo, in Sala Tassiana è esposto il codice quattrocentesco Commentariorum liber de vita et gestis invictissimi bello principis Bartholomeo Colei, per Antonium Cornazzanum ad clarissimam Bergomensem Republicam, da sempre conservato in Biblioteca alla segnatura Cassaforte 2 4.

Il testo è la fonte più autorevole sulla vita di Bartolomeo Colleoni (Solza, 1395 – Malpaga, 1475), dal 1445 capitano generale della Repubblica di Venezia. Antonio Cornazzano (Piacenza 1430 ca. – Ferrara 1484) raccolse le informazioni direttamente da Colleoni nel castello di Malpaga, dove soggiornò tra il 1473 e il marzo 1474; e completò la composizione in prosa latina con le vicende della vita e l’illustrazione delle virtù di Colleoni, poco dopo la morte del Capitano avvenuta nel novembre del 1475 (alla quale non fu presente e che non compare nella Vita).

Il contenuto e la confezione materiale del libro, concepiti unitariamente, confermano il carattere celebrativo e commemorativo e il legame tra la Città e Bartolomeo Colleoni.

Il prezioso codice appartiene al Comune di Bergamo dal XV secolo. La scrittura umanistica rotonda calligrafica, disposta a piena pagina con ampi margini su pergamena di ottima qualità, è in argento; i titoli sono in oro a foglia; le note marginali sono in argento e i notabilia in oro in polvere.
La sontuosa legatura originale, in seta rossa con ricami a rilievo in filo d’oro e d’argento, reca al centro dei piatti lo stemma della Città di Bergamo in smalto, entro sole raggiato, con l’iscrizione «Sola nobilitas est virtus»; agli angoli le scritte «Forteza, temperanza, iusticia, prudentia», le virtù cardinali proprie del buon governo. I fermagli in argento dorato a teste di leone simboleggiano la protezione del codice; il taglio in oro ha tracce di bulinatura.

A f. 7v la miniatura a piena pagina di Bartolomeo Colleoni ritratto su un cavallo impennato e con gli attributi del comando: la berretta rossa, il bastone e la corazza. La figura e il paesaggio con rocce, colline, fiumi e una citta in lontananza (Venezia?) sono incorniciate da un arco in forme rinascimentali, con capitelli in oro alla cui sommità arde un braciere d’argento con il fuoco. Un festone attraversa l’arco: un putto alato suona la tuba in corrispondenza con la testa di Colleoni. Il volto di Colleoni è un ritratto di profilo, all’antica, in segno di nobilitazione, fortemente realistico nel descrivere rughe e segni dell’età, forse ripreso dall’affresco ora nel Luogo Pio di Città Alta datato al 1470-1475, proveniente dalla sagrestia vecchia dell’Incoronata di Martinengo.
Sul foglio 8r iniziale M (su 5 righe), in oro a foglio e tempera come il fregio con motivi vegetali o floreali stilizzati che circonda nel margine inferiore lo stemma Colleoni, con teste di leone (lo stesso apposto sulla tomba di Medea).
La decorazione alla ferrarese vicina al modello della Bibbia di Borso d’Este è attribuita a Giovan Pietro Birago, miniatore lombardo attivo per gli Sforza a Milano, che firma anche tre dei diciotto Corali del Duomo Vecchio di Brescia.

L’ingresso è libero durante gli orari di apertura della Biblioteca. Il codice può essere sfogliato in formato digitale sul portale della Biblioteca Digitale Lombarda.

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Curiosar nel Novecento

Cucina e convivialità tra pentole, utensili, menù e ricette

15 – 22 aprile 2023

Dal 15 al 22 aprile l’Atrio scamozziano della Biblioteca ospita la mostra Curiosar nel Novecento. Cucina e convivialità tra pentole, utensili, menù e ricette, proposta dalla Delegazione di Bergamo dell’Accademia Italiana della Cucina in occasione del Settantesimo anniversario della fondazione e curata da Annamaria Bisutti, Maria Elisabetta Manca e Clelia Chiarolini, in collaborazione con l’Associazione Amici della Biblioteca Angelo Mai e il Museo della Pentola Baldassare Agnelli. In esposizione stampe, litografie, affiche, menu, libri, riviste e altro.

Inaugurazione venerdì 14, ore 17.30. Ingresso libero durante gli orari di apertura della Biblioteca. Scarica la cartolina.

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Quando le montagne conquistarono gli uomini

Muoversi in sicurezza sulle Alpi
fra Ottocento e primo Novecento

MOSTRA PER I 150 ANNI DELLA SEZIONE BERGAMASCA DEL CAI
20 marzo – 11 aprile 2023

Dal 20 marzo all’11 aprile 2023 l’Atrio scamozziano della Biblioteca ospita la mostra Quando le montagne conquistarono gli uomini. Muoversi in sicurezza sulle Alpi fra Ottocento e primo Novecento, organizzata in collaborazione con il Club Alpino Italiano – Sezione di Bergamo per commemorare i 150 anni della fondazione.

Presentazione

A distanza di dieci anni dalla partecipazione della Biblioteca Angelo Mai alla mostra diffusa per i 150 anni dalla nascita del Club Alpino Italiano, si ripropone un’occasione per esporre libri e documenti legati al mondo della montagna, in concomitanza con i 150 anni della sezione bergamasca del CAI. Ecco la felice proposta di materiali che provengono sia dal patrimonio della Biblioteca Civica sia da quello della Biblioteca del CAI-Bergamo. Il titolo prescelto, Quando le montagne conquistarono gli uomini. Muoversi in sicurezza sulle Alpi fra Ottocento e primo Novecento, vuole ribaltare l’idea, comunemente accettata, dell’uomo che conquista, con le sue sole forze, vette sempre più alte e impegnative. Si vuole invece sottolineare come siano in realtà le montagne ad aver conquistato gli uomini, con il loro fascino, con le sfide che esse ci mettono davanti, con i limiti e i rischi che ci impongono di accettare. Questa prospettiva si è resa particolarmente evidente soprattutto a partire dall’Ottocento, da quando cioè la montagna è stata vissuta e affrontata non solo per necessità, ma anche per svago, per sport o come banco di prova per sfidare i propri limiti. Fin dai tempi più antichi gli uomini hanno percorso le montagne attraversando i valichi: si trattava di trasportatori, commercianti, studenti, studiosi, pellegrini, viaggiatori benestanti. Già nei secoli passati ci si preoccupava della sicurezza sia dei viaggiatori sia delle merci trasportate. E’ solo però a partire dall’Ottocento che il tema della sicurezza in montagna, e del soccorso alle persone in caso di necessità, si traduce in ‘scienza’ in conseguenza del progresso tecnologico e della medicina. In un’epoca di ormai piena espansione della produzione industriale del libro a stampa, ecco che troviamo pubblicazioni sia per gli specialisti sia, e soprattutto, per escursionisti, alpinisti e amanti della montagna in genere. Si tratta spesso di edizioni economiche, ma anche riccamente illustrate, grazie all’ampio utilizzo della litografia, della cromolitografia e della fotografia.

Oscar Bernhard medico samaritano (1861-1939).
«Famoso – incompreso – dimenticato»

Ingrato destino per un uomo che dedicò tutto sé stesso agli altri, impegnandosi innanzitutto come medico in aiuto dei malati. Figlio di un farmacista, si applicò nella ricerca medica, pervenendo alla cura della tubercolosi ossea, rivoluzionandola con il metodo dell’elioterapia che gli valse sei candidature al premio Nobel. A Samedan, sua cittadina natale, istituì il primo ospedale, ove fondò anche la Sezione dei Samaritani, divenendo poi quello che la Croce Rossa Svizzera considera il «fondatore del soccorso in montagna». Prodigandosi in generosissime azioni di filantropia e di mecenatismo, tanto che a lui si deve l’iniziativa di fondare il Museo di St. Moritz intitolato al pittore Giovanni Segantini ed al quale donò diciannove opere, fu anche collezionista esperto di monete antiche, guida alpina e presidente del Club Alpino Sezione del Bernina: un’esperienza da cui scaturì il progetto di affrontare con sistematicità professionale l’ormai più che incombente serie di problemi causati dai sempre più numerosi incidenti intervenuti in montagna.
Oscar Bernhard nel 1891 diede vita, all’interno del Club Alpino Svizzero, ad una serie di corsi dedicati alle «prime prestazioni di soccorso in caso di ferite e manifestazioni improvvise di malattie in montagna» e a questo scopo realizzò 55 tavole comprensive di 173 disegni, corredati di istruzioni chiare e precise, a cui seguì, nel maggio 1896, un manuale tascabile con un testo esplicativo tradotto anche in francese, inglese e italiano.
Le litografie qui esposte vennero regalate nel 1895 all’allora presidente del Club Alpino Italiano di Bergamo, Antonio Curò, il quale le esibì nel corso del XXVII° Congresso nazionale, dove venne affrontata (ed approvata), come primo Ordine del Giorno, la sua proposta dal titolo Sull’istruzione delle guide alpine pei casi di disgrazia in montagna. Fu un passo significativo per conciliare la passione degli uomini con i pericoli della montagna.

A cura di Marcello Eynard e Massenzio Salinas

Comune di Bergamo
Giorgio Gori, Sindaco
Nadia Ghisalberti, Assessore alla Cultura
Elena Pasini, Dirigente Direzione Cultura, BGBS23, Sport, Eventi, Partecipazione e Commercio
Maria Elisabetta Manca, Responsabile Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici

Club Alpino Italiano – Sez. Begamo
Paolo Valoti, Presidente

Si ringraziano
Luca Guaschetti
Giuseppe Malfitano
Giuseppe Redolfi

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«Con le vostre divine lettere»

Gli epistolari di Bernardo, Torquato ed Ercole Tasso tra manoscritti e stampe

18 novembre 2022 – 28 febbraio 2023

I. I libri di lettere nel Cinquecento

Alla metà del Trecento, Francesco Petrarca, riallacciandosi alla grande tradizione latina e ciceroniana, ridefinisce la scrittura della lettera come una vera e propria opera letteraria; ma è soltanto nel corso del Cinquecento che la produzione epistolare, rimasta essenzialmente fino a quel momento un fatto privato e un mero strumento pratico di comunicazione, fa il suo ingresso in tipografia. Alcuni scrittori di fama, come Pietro Aretino, Annibal Caro e lo stesso Bernardo Tasso, decidono infatti di pubblicare i propri epistolari, che diventano così modelli di scrittura e veicoli di contenuti morali e politici, dando anche una tangibile testimonianza al lavoro di “segretario”: una figura professionale che prende appunto il nome dall’opera di Francesco Sansovino Il Segretario, pubblicata nel 1564. Così, Sansovino, fedele alle logiche di convenienza della corte rinascimentale, vera e propria fucina di “segretari”, istruiva al compito di scrivere lettere: «dobbiamo aver in mente chi scrive, a chi si scrive, ciò che noi siamo rispetto a colui al qual si scrive, e ciò che sia colui in sé medesimo cui noi scriviamo».

II. Lettere di Bernardo Tasso: edizioni cinquecentesche

I Tre libri delle lettere, alli quali nuovamente s’è aggiunto il quarto libro (Firenze, 1559) e il Secondo Volume (Venezia, 1560) di Bernardo Tasso sono le fondamentali raccolte di lettere, attentamente sorvegliate dal loro autore che in esse riassorbe e ristruttura tutte le lettere sparsamente pubblicate in precedenza, in volumi miscellanei. Tali raccolte constano infatti di testi dotati di un evidente contenuto morale e di un esemplare valore linguistico e letterario, che varranno a Tasso la fama europea di grande epistolografo e di modello di lingua in Italia e all’estero.
La vasta mole di lettere, escluse a suo tempo dalle raccolte, riguarda «piuttosto il servizio e l’attività diplomatica del Tasso o le relazioni d’amicizia e di famiglia». (G. Arbizzoni). Il meccanismo di selezione messo in pratica da Bernardo appare infatti fondato sulla possibilità di esibire contenuti filosofici ed universali, non solo scrivendo a principi e imperatori, ma anche quando i destinatari sono i suoi famigliari: nota è per esempio la dolcissima lettera alla moglie Porzia sull’amore e la fedeltà oppure quella indirizzata alla giovane Cornelia, in cui un padre raccomanda alla figlia il matrimonio e la virtù femminile.

Vetrina 1 – Edizioni cinquecentesche di Bernardo Tasso

Bernardo Tasso
Le lettere […] intitolate a Monsignor D’aras
Venezia, Valgrisi, 1549
Tassiana F 3 43
*****
Lettere scritte al signor Pietro Aretino, da molti signori, comunità, donne di valore, poeti, & altri eccellentissimi spiriti
Venezia, Marcolini, 1551
Cinq 1.2208-9
*****
Bernardo Tasso
I tre libri delle Lettere […] alli quali nuovamente s’è aggiunto il quarto Libro
Venezia, Giglio, 1559
Tassiana A 6 9
*****
Bernardo Tasso
Delle lettere […], secondo volume
Venezia, Giolito de’ Ferrari, 1560
Tassiana A 6 3
*****
Approfondimenti
Notizie su Bernardo Tasso
Bernardo Tasso (Venezia 1493 – Ostiglia 1569), di famiglia bergamasca, dopo aver intrapreso a Padova prima studi giuridici e poi letterari, trascorse la maggior parte della sua vita a corte, fatto piuttosto comune per i letterati tra Quattro e Cinquecento. Al servizio del conte Guido Rangoni, di Renata d’Este e dal 1532 di Ferrante Sanseverino, principe di Salerno, ebbe modo di viaggiare molto. Caduto in disgrazia il Sanseverino, Bernardo andò peregrinando per diversi luoghi e corti di signori e prelati, finché nel 1569 ottenne il non gravoso, ma modesto incarico di podestà di Ostiglia, nei pressi di Mantova.
La sua fortuna letteraria si lega soprattutto al poema in 100 canti, in ottave, Amadigi, pubblicato nel 1560, rielaborazione del poema cavalleresco spagnolo Amadís de Gaula, a cui aggiunse ex novo numerosi episodi, con l’intenzione di innalzare il poema cavalleresco alla dignità di poema eroico, seguendo i precetti aristotelici. Da uno degli episodi dell’Amadigi trasse spunto per un poema autonomo, il Floridante, che rimase incompiuto, e fu rivisto, corretto e pubblicato dal figlio Torquato nel 1587. Autore di odi, egloghe, elegie, sonetti e canzoni, raccolte nel 1560 in libro di Rime.
Lettera familiare, discorsiva, di negozio
Parlando delle prime pubblicazioni delle lettere di Torquato, si avrà modo di sottolineare l’importanza delle Lettere familiari allestite da Licino, proprio per la particolarità dei testi editi.
Ma cosa sono le lettere familiari e in cosa si distinguono dalle altre? Si definisce “lettera familiare” una missiva inviata ad amici e familiari di contenuto quotidiano e relativo al vissuto di chi scrive. Diverse è la “lettera di negozio”, con cui i corrispondenti scambiano informazioni relativamente a pratiche, affari e attività di loro competenza o interesse. Un’altra tipologia è la “lettera discorsiva”, dove il testo ha solo le caratteristiche retoriche di una missiva, ma per contenuto è un piccolo trattato, una breve prosa argomentativa. Cicerone, con il suo epistolario, offre un modello letterario per distinguere le diverse tipologie, ma è tra Cinque e Seicento, quando scrivere lettere diventa un’arte, che le differenze vengono non solo formalizzate, ma anche moltiplicate. [e.o.]

III. Libri di lettere di Bernardo Tasso (secoli XVII-XIX)

Dopo la fortunata stagione tardo-cinquecentesca, nel Seicento poche sono le edizioni dell’epistolario di Bernardo Tasso, in alcuni casi allestite per fornire modelli di scrittura ai segretari dei principi. Inizia invece l’interesse per le lettere familiari, utili per approfondire la biografia del poeta, come attesta un manoscritto bergamasco, con documenti diplomatici ed epistolari che ricostruiscono le vicende dell’intera famiglia Tasso.
Con il XVIII secolo riprendono gli studi sull’epistolario di Bernardo: il veneziano Anton Federigo Seghezzi, assiduo degli Zeno e dei Gozzi, pubblica per i tipografi padovani Gaetano e Giovanni Antonio Volpi due volumi con le sue lettere, corredate dalla sua biografia. Il volume fornisce a un giovanissimo studioso bergamasco, Pierantonio Serassi, lo spunto per ricercare ulteriori documenti epistolari e dimostrare la nascita bergamasca di Bernardo, negata da Seghezzi, che lo vuole – non senza ragione – nato a Venezia.
Nell’Ottocento numerosi sono i ritrovamenti di piccoli nuclei epistolari, spesso pubblicati in eleganti plaquette come dono per nozze.

Vetrina 2 – Edizioni settecentesche di Bernardo Tasso

Ara Turriano-Taxiorum originis nobilitatis actorum Maiestati a Paulo Bonetto S.T.D. Prothonotario Apostolico debitae observantaie ergo dicata
Manoscritto seicentesco
Tassiana D. 7.10
*****
Bernardo Tasso
Delle lettere […] corrette, e illustrate […] dal Sig. Anton-Federigo Seghezzi
Padova, Giuseppe Comino, 1733, vol. I
Tassiana A 9 45
*****
Bernardo Tasso
Delle lettere […] Accresciute, corrette, e illustrate […]. Si premette il Parere dell’Abate Pierantonio Serassi
Padova, Giuseppe Comino, 1751, vol. III
Tassiana C 5 10
*****
Pierantonio Serassi
Trascrizioni delle lettere di Bernardo Tasso in preparazione dell’edizione cominiana e della Vita di Torquato Tasso
R 68 1 (6)
*****
Approfondimenti
Ara Turriano-Taxiorum
In Biblioteca Angelo Mai sono numerosi i documenti che si conservano relativi alla famiglia Tasso, inclusi svariati alberi genealogici, a dimostrazione di un discreto interesse da parte della famiglia stessa per la propria storia, sin dal tardo Cinquecento; nei secoli si aggiungono poi i materiali frutto dell’interesse degli studiosi, rivolto non solo ai due poeti, ma in generale al ramo della famiglia Tasso che diede origine al sistema postale.
Tra questi materiali manoscritti si segnala un codice seicentesco, «eminentemente interessante», come dichiara la scheda di possesso ottocentesca che lo accompagna, che ha per titolo Ara Turriano-Taxiorum…, dedicato alle nobili origini della famiglia Tasso. Come spesso accade in questo genere di opere, si principia da un elenco di tutti gli autori che hanno fatto cenno alla famiglia, per poi passare a notazioni specifiche su alcuni esponenti illustri: il vescovo Luigi Tasso, zio di Bernardo e suo tutore dopo la morte dei genitori; il filosofo Ercole Tasso; un abate Girolamo Tasso. Vengono poi trascritte alcune lettere di Bernardo e Torquato Tasso, indirizzate per lo più a parenti bergamaschi, e quindi di carattere familiare, come quella che si espone in mostra, indirizzata al cavaliere Domenico Tasso, «cugino di Bernardo dal lato di madre», come ricorda Pierantonio Serassi, che pubblica questa lettera per la prima volta nell’edizione cominiana del 1751 delle lettere di Bernardo e poi la ripropone tra i documenti utilizzati per compilare la sua Vita di Torquato Tasso.
Il manoscritto, tirato in bella copia, non raccoglie certo materiali di studio, ma ripropone documenti e notizie utili alla storia della famiglia Tasso; in Biblioteca giunse non tramite gli eredi dei Tasso, ma attraverso il lascito del collezionista e studioso di archeologia e di protostoria della bergamasca Paolo Vimercati Sozzi (1801-1883). Piace immaginare che nel 1835, quando da Milano Vimercati si trasferì a Bergamo, stabilendo la propria dimora nel Palazzo Tasso in via Pignolo, vi trovasse anche questo manoscritto; più probabile, invece, che la curiosità per la nobile famiglia, la quale per secoli aveva abitato la sua dimora bergamasca, spingesse lo studioso ad acquistare un manoscritto sull’origine dei Tasso. [c.c.]

Vetrina 3 – Edizioni ottocentesche di Bernardo Tasso

Bernardo Tasso
Lettere inedite […] per cura di G[iuseppe] Campori
Bologna, Romagnoli, 1869
Tassiana A 8 17
*****
Bernardo Tasso
Lettere inedite […], a cura di Augusto Panizza. Per Nozze Taxis-Panizza
Trento, Monauni, 1869
Tassiana D 5 30/9
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Bernardo Tasso
Lettere inedite […] per Attilio Portioli
Mantova, Segna, 1871
Tassiana C 5 6
*****
Bernardo Tasso
Lettere inedite […] a Marcantonio Tasca. Per nozze Solerti-Saggini
Bergamo, Cattaneo, 1889
Tassiana D 5 11/12
*****
Bernardo e Torquato Tasso
Lettere inedite […], a cura di Giuseppe Ravelli
Bergamo, Bolis, 1895
Tassiana C 8 4/15
*****
Bernardo Tasso
Lettere inedite, a cura di Giuseppe Bianchini
Verona – Padova, Fratelli Drucker, 1895
Tassiana K 5 12/8
*****
Approfondimenti
Venezia o Bergamo, un mistero sulla nascita di Bernardo
Nel 1733, quando Anton Federigo Seghezzi pubblicò due volumi di Lettere di m. Bernardo Tasso, corredati da una vita del medesimo, dove si indicava Venezia quale suo luogo di nascita, Pierantonio Serassi pubblicò un Parere intorno alla patria di Bernardo Tasso, e Torquato suo figliuolo (Bergamo, 1742), con l’intento di dimostrare la nascita bergamasca di Bernardo, identificandone la madre in una nobildonna della famiglia dei Cornaro.
Il problema del luogo di nascita fu a lungo dibattuto, anche attraverso il ricorso a documenti epistolari, in cui però Bernardo era spesso ambiguo, rivendicando la sua origine bergamasca, o ricordando la sua nascita veneziana, a secondo dell’interlocutore e dell’occasione.
Serassi, ricorrendo a lettere inedite trovate presso gli eredi bergamaschi della famiglia Tasso, ne sancì la nascita a Bergamo; non era solo una mera questione anagrafica: Seghezzi pareva voler ascrivere Bernardo agli scrittori veneziani, o così almeno aveva inteso – o frainteso – l’erudito bergamasco, che tassativamente lo ricollocò, insieme al figliolo, tra gli scrittori della sua città.
La questione, però, trovò nuova eco sul finire del secolo successivo, anche grazie ai molti ritrovamenti epistolari, che alcuni studiosi come Mazzoleni, Fiammazzo, Campori e Ravelli utilizzarono e lessero, a volte con qualche forzatura, per stabilire il luogo di nascita a Bergamo o a Venezia, a seconda delle preferenze.
Ravelli, nella sua edizione di Lettere inedite di Bernardo e Torquato Tasso, alluse all’esistenza di «nuove fortissime ragioni» che attestavano la nascita bergamasca di Bernardo, in contrapposizione a quanto ritenuto da Campori, sulla base delle lettere inedite che quest’ultimo aveva pubblicato. Ravelli non pubblicò mai i documenti cui alludeva, preferendo «di seguire il sistema adottato […] dal Serassi», cioè di «non dire più parola su questo argomento». Il mistero, taciuto già a suo tempo dall’abate Serassi, viene alluso anche da Angelo Solerti, celebre biografo ottocentesco di Torquato, che scrisse: «troppo mi hanno accusato di aver vilipesa la memoria di Torquato, perché sveli io anche questo mistero; pur credendo che, se fosse svelato, nessuna offesa ne potrebbe venire alla memoria di Bernardo e di Torquato. È da ritenere dunque che, sebbene Bernardo dica e ripeta di essere nato a Venezia, egli è nato invece a Bergamo».
Il “mistero” trova forse una spiegazione nella biografia di Bernardo Tasso di Edward Williamson (1951) che, dopo aver ricostruito la diatriba sulla sua patria, si spinse a sostenere che fosse figlio illegittimo di monsignor Luigi Tasso, vescovo di Recanati, che per questo motivo volle Bernardo presso di sé quando rimase orfano, all’età di 15 anni, mentre le due sorelle, Lucia e Bordilisia, vennero affidate al cugino Domenico Tasso. [c.c.]

IV. Le prime lettere a stampa di Torquato Tasso

Torquato Tasso pensò alla pubblicazione delle proprie lettere tardi, in risposta alle edizioni uscite senza la sua supervisione. Il progetto personale, tuttavia, non ebbe seguito, e così la conservazione e la diffusione del suo epistolario si devono all’opera di raccolta di suoi conoscenti, come Giovanni Battista Licino, che pubblica le Lettere poetiche (Ferrara, Vasalini, 1587) e poi le Lettere familiari (Bergamo, Comino Ventura, 1588), due volumi che consegnano per la prima volta ai torchi circa 300 lettere familiari del poeta. Un altro gruppo di missive è raccolto dall’amico Antonio Costantini, in parte su incarico del poeta stesso. Ne derivano due pubblicazioni: le Lettere… non più stampate (Bologna, Cochi, 1616), con ben 421 missive; e le Lettere familiari… non più stampate (Praga, Tobia Leopoldo, 1617) che conta 244 lettere. Queste prime edizioni, sebbene non accuratissime, sono tuttavia fondamentali, poiché conservano testi di lettere di cui oggi non abbiamo altra testimonianza.

Vetrina 4 – Edizioni cinque-seicentesche di Torquato Tasso

Torquato Tasso
Rime
Venezia, Aldo Manuzio, 1581
Tassiana 6 29
*****
Torquato Tasso
Discorsi […] dell’arte poetica […] Et insieme il primo libro delle lettere scritte a diversi suoi amici
Ferrara, Vasalini, 1587
Tassiana B 5 8
*****
Torquato Tasso
Delle lettere familiari […], nuovamente raccolte e date in luce
Bergamo, Comino Ventura, 1588
Tassiana B 7 15
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Torquato Tasso
Lettere del signor Torquato Tasso non più stampate
Bologna, Cochi, 1616
Tassiana B 5 18
*****
Torquato Tasso
Lettere familiari […] non più stampate con un dialogo dell’imprese
Praga, Leopoldi, 1617
Tassiana B 5 45
*****
Torquato Tasso
Lettera a Giulio Guastavini
Bergamo, 14 agosto 1587
Codice Falconieri – Cassaforte 6 15
*****
Approfondimenti
Cenni intorno alla vita di Torquato Tasso
Torquato Tasso (Sorrento 1544 – Roma 1595), tra i maggiori poeti italiani del Cinquecento, è noto in Italia e in Europa soprattutto per aver composto la Gerusalemme Liberata, un poema ambientato durante la prima Crociata, l’unica che si conclude con la vittoria dei Cristiani.
Figlio di Bernardo e di Porzia de’ Rossi, a 10 anni raggiunse il padre a Roma; fu quindi a Bergamo, presso la famiglia paterna e, di nuovo al seguito del genitore, a Pesaro, Urbino e a Venezia. A Padova (e per due anni a Bologna) studiò diritto e poi filosofia ed eloquenza; intanto componeva il Rinaldo (1562), un poema in ottave in 12 canti. Nel 1565 si stabilì a Ferrara al seguito del cardinale Luigi d’Este, entrando subito nelle grazie della famiglia.
La fortuna del suo dramma pastorale, Aminta (1573), gli fruttò l’incarico, solo nominale, di lettore di geometria e, più tardi, l’ufficio di storiografo ducale.
Il difficile rapporto con la corte e l’accanimento compositivo per il suo poema maggiore, sottoposto alla revisione di amici e censori religiosi, che ne dovevano attestare l’ortodossia, furono probabilmente tra le cause di un episodio clamoroso: nel 1579, a Ferrara, durante la festa per le terze nozze di Alfonso con Margherita Gonzaga, poiché nessuno badava a lui, diede in clamorose escandescenze contro il duca e la corte e fu messo alla catena, come pazzo, e rinchiuso nell’ospedale di S. Anna, trattato più come prigioniero che come infermo; vi rimase sette anni, continuando a dedicarsi all’elaborazione delle sue opere.
Nacque sin da subito la leggenda che la pazzia di Tasso non fosse reale, ma fosse un’espediente di Alfonso d’Este per punire il poeta, colpevole di essersi innamorato della sorella del duca stesso, Eleonora: leggenda che diventò tema letterario molto frequentato per tutto l’Ottocento.
‘Liberato’ grazie all’intervento di Vincenzo Gonzaga, cognato di Alfonso, nel 1586 fu a Mantova, a Roma e a Napoli, ospite del monastero di Monte Oliveto, alle cui origini dedicò l’omonimo e incompiuto poema in ottave.
Gli ultimi anni di Tasso sono caratterizzati dalla riscrittura del poema maggiore, pubblicato in una versione molto diversa dall’originale, la Gerusalemme conquistata (1593), e dalla composizione di opere di argomento religioso, Le lagrime di Maria Vergine, Le lagrime di Gesù Cristo e le Sette giornate del mondo creato.
Le prime due lettere a stampa di Torquato
Abbiamo visto che le prime importanti edizioni che raccolgono le lettere di Torquato risalgono agli anni Ottanta del Cinquecento. Prima di allora qualche breve lettera del poeta si trova a stampa in apertura di altre sue opere, nella funzione di “dedicatoria”, ossia della lettera con cui un autore dedica un proprio scritto a un signore, solitamente di rango superiore e suo mecenate. Eppure le due prime lettere di Tasso ad andare a stampa non sono di questo tipo: nel 1581, a Venezia, Aldo Manuzio il Giovane stampa una raccolta di rime e prose del poeta (Rime del sig. Torquato Tasso. Parte prima) che conclude con due lettere, una “lettera discorsiva”, indirizzata a Ercole de’ Contrari, in cui Tasso mette a confronto Italia e Francia; e una “lettera familiare”, scritta al duca di Urbino Francesco Maria II della Rovere, con cui il poeta chiede protezione e sostegno al destinatario. [e.o.]
Gli interventi editoriali sui testi delle lettere
Nonostante gli stretti rapporti che legano rispettivamente Licino e Costantini a Torquato, entrambi non ebbero molte remore nel pubblicare i testi delle lettere del poeta con qualche modifica, eliminando nomi scomodi e brani poco lusinghieri, oppure sostituendo alcune parole: spesso a uscirne esaltata è la figura del curatore stesso della stampa, che si propone così al pubblico di lettori come un amico intimo del famoso poeta. Come accade in molte edizioni epistolografiche del Cinquecento, inoltre, in alcuni casi le missive tassiane sono prive della sottoscrizione (luogo e data di invio della missiva), al fine di dare al testo maggiore letterarietà e slegarlo dall’occasione concreta di scrittura. Un esempio di questi interventi editoriali è offerto dalla lettera in cui Torquato si lamenta della poca generosità della famiglia Grillo (a Giulio Guastavini, Bergamo, 14 agosto 1587): le parole piccate del poeta che si possono leggere nella lettera riprodotta dal Codice Falconieri vengono infatti cassate dal Licino nella sua stampa. [e.o.]

V. Torquato Tasso attraverso le lettere (secoli XVIII-XIX)

Nel Settecento alcune lettere inedite di Torquato, ritrovate da Ludovico Antonio Muratori, vengono pubblicate nell’edizione delle sue opere (Venezia, Monti, 1735-42), accanto alla silloge delle già note lettere ‘familiari’.
Approfondite ricerche di missive inedite vengono condotte da Pierantonio Serassi; molti di questi documenti epistolari, raccolti dallo studioso in oltre quarant’anni, vengono utilizzati per la stesura dell’importante Vita di Torquato Tasso.
Un manoscritto di lettere allestito da Serassi viene utilizzato da Giovanni Rosini, romanziere e docente a Pisa di Eloquenza, per pubblicare nel 1827 una raccolta di Lettere inedite (il manoscritto si trova ora nella Nazionale di Firenze, Pal. 223).
A metà Ottocento si colloca la fondamentale edizione dell’epistolario tassiano, oggi ancora in uso, curata da Cesare Guasti, in cinque volumi, composta da più di mille e cinquecento missive (Firenze, Le Monnier, 1852-1855).
Come per il padre, anche per Torquato, edizioni di esigui manipoli di lettere inedite, o presunte tali, divengono nel XIX secolo nuptialia.

Vetrina 5 – Edizioni settecentesche di Torquato Tasso

Torquato Tasso
Opere […] colle controversie sopra la «Gerusalemme liberata»
Firenze, Tartini e Franchi, vol. V, 1724, Lettere familiari
Tassiana D 7 9
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Torquato Tasso
Delle opere […] con le controversie sopra la «Gerusalemme liberata»
Venezia, Monti, vol. IX, 1738
Tassiana C 8 13
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Pierantonio Serassi
La vita di Torquato Tasso […]. Seconda edizione corretta ed accresciuta
Bergamo, Locatelli, 1790
Tassiana C 7 11
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Approfondimenti
Pierantonio Serassi, studioso dei Tasso
Il bergamasco Pierantonio Serassi (1721-1791) è ancora oggi considerato tra i più importanti studiosi di Torquato e di Bernardo Tasso.
Formatosi a Milano, Serassi a lungo insegnò a Bergamo e ivi condusse ricerche sulle biografie dei letterati bergamaschi, avvalendosi principalmente di materiali d’archivio e di documenti epistolari.
Interessato alla vita e alle opere di Bernardo e Torquato Tasso, come dimostrano il Parere sulla patria e l’edizione delle Rime (1749) e delle Lettere (1751) di Bernardo, nella rinnovata Accademia degli Eccitati di Bergamo, della quale il Serassi venne eletto segretario perpetuo, recitò prolusioni di argomento tassiano.
Nel 1754 si trasferì a Roma, dove era stato nominato rettore del Collegio della Nobile Nazione bergamasca, detto Ceresoli dal nome del suo fondatore; come testimonia il ricco epistolario, la città gli era assai congeniale, perché gli forniva la possibilità di progredire negli studi. Lasciato l’insegnamento per divenire segretario del cardinale Alessandro Furietti, anche lui bergamasco, Serassi si avvalse delle aderenze del cardinale e degli altri ecclesiastici per i quali lavorò in seguito, per avere un accesso privilegiato alle biblioteche pubbliche e private di Roma, dove ebbe modo di trovare documenti e manoscritti inediti, anche e soprattutto relativi ai Tasso.
Nel 1785 portò a termine il lavoro forse più noto e impegnativo della sua carriera: la Vita di Torquato Tasso (Roma, 1785; poi Bergamo, 1790). La biografia, riscritta alla luce di nuovi documenti, in particolare di lettere, doveva sostituire quella romanzata di Giovan Battista Manso. L’opera ricevette molti consensi: anche Goethe la lesse durante il soggiorno a Roma (1788), essendone a tal punto colpito da riscrivere gran parte della sua tragedia dedicata al poeta della Liberata.
Inviando al governo di Bergamo un esemplare della Vita di Torquato Tasso, Serassi manifestò l’intenzione di donare alla città la propria raccolta libraria, in particolare la collezione di opere rare e pregiate tassiane. In realtà dopo la morte improvvisa, tenuta nascosta per diverse ore, a quanto risulta per saccheggiare la sua casa e la sua libreria, quel che rimase passò agli eredi, che nel 1869 vendettero alla biblioteca di Bergamo parte del carteggio e della preziosa Raccolta tassiana; il materiale venne poi implementato da Giuseppe Ravelli, vicebibliotecario dal 1893 al 1897. [c.c.]

Vetrina 6 – Edizioni ottocentesche di Torquato Tasso

Torquato Tasso
Lettere familiari, con annotazioni istoriche e critiche di Cristiano Giuseppe Jagemann
Lipsia, Schumann, 1803
Tassiana H 5 26
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Torquato Tasso
Lettere inedite […] poste insieme dall’abate Pier’Antonio Serassi, […] illustrate dal professore Gio. Rosini
Pisa, Capurro, 1827
Gambirasio 1463
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[Torquato Tasso]
Le più belle lettere che s’abbia l’Italia
Bologna, Marsigli e Rocchi, 1846
Tassiana B 3 32
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Torquato Tasso
Le lettere […] disposte per ordine di tempo ed illustrate da Cesare Guasti
Firenze, Le Monnier, 5 volumi, 1854-1855
Tassiana L 4 39
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Torquato Tasso
Lettere scelte […] proposte alla gioventù da Cesare Guasti
Firenze, Barbera, 1860
Tassiana F 3 7
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Torquato Tasso
Lettere scelte e commentate dal professore Achille Mazzoleni
Bergamo, Corti e Ronzoni, 1895
Tassiana B 4 17
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Lettere di Torquato Tasso
Plaquette per nozze
Lettere e versi di Torquato Tasso che si pubblicano la prima volta per le nozze di Carlo Kramer e Teresa Berra
Milano, Bernardoni, 1821
Tassiana D 4 10/8/.3
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Dodici lettere di Torquato Tasso, delle quali una per la prima volta pubblicata […], a cura di Filippo Lanzoni e Angelo Ubaldini, Per le nozze Zambrini-Della Volpe
Faenza, Marabini, 1868
Tassiana C 8 29/7
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Lettere inedite di Giambattista Guarino e di Torquato Tasso tratte dagli autografi Per nozze Bernini-Zilli
Mantova, Eredi Segna, 1878
Tassiana C 8 29/16
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Cinque lettere inedite di Torquato Tasso ad Aldo Manuzio, a cura di Angelo Solerti, Pubblicate per nozze Renier Campostrini
Innsbruck, [s.n.], 1887
Tassiana H 6 1/12/.1
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Approfondimenti
L’edizione Guasti delle lettere di Torquato Tasso
«Offro agli studiosi della nostra letteratura […] quella parte degli scritti del Tasso in cui […] meglio che negli altri si rivelò quell’anima mesta. È ora la prima volta che le Lettere di Torquato vengono disposte per ragion di tempo e divise per epoche come portavano le varie e dolorose vicende della sua vita». Con queste parole, in pieno clima romantico nel 1852, Felice Le Monnier, il celebre editore fiorentino, presentava per la prima volta al pubblico una edizione complessiva delle lettere di Torquato Tasso, organizzata secondo l’ordine cronologico e riscontrata rigorosamente sui testimoni manoscritti e a stampa. Il dato abbastanza stupefacente è che ancora oggi, a distanza di ormai 170 anni, quella uscita in cinque volumi per Le Monnier, curata da Cesare Guasti, costituisce l’unica edizione completa dell’epistolario tassiano.
Un’edizione che, senza poter essere definita “critica” secondo gli attuali criteri delle scienze filologiche, consta tuttavia di un’impresa editoriale imprescindibile non solo per la semplice lettura delle lettere, documenti fondamentali per la ricostruzione della biografia del poeta e della tormentata redazione delle sue opere, ma anche per lo studio dell’epistolario come opera a sé stante. Notevoli sono stati, nel corso del Novecento, i risultati che hanno raggiunto le ricerche filologiche anche sull’epistolario, sia alla ricerca di lettere ancora sconosciute, sia per la ricostruzione genealogica dei testi, siano essi singoli testi o gruppi omogenei di lettere: in particolare si devono ricordare gli studi di Gianvito Resta del 1957 e quelli di poco successivi di Luigi Poma. Negli ultimi anni, Emilio Russo e la sua équipe di ricerca molto hanno aggiunto; l’auspicio per il futuro è che si possa presto disporre di una nuova edizione critica e complessiva delle lettere tassiane, che vada a sostituire la pur benemerita, ma inevitabilmente invecchiata fatica ottocentesca del Guasti. [m.c.]

VI. Ercole Tasso

Figlio del “magister” delle Poste Pontificie Giangiacomo, Ercole Tasso (Bergamo 1540 circa – Bergamo 1613) fu “filosofo”, specializzato nei discorsi atti a “confortare” i morenti e i condannati a morte, ma si distinse anche come poeta e, nell’ambito dell’epistolografia, nel “sotto-genere” delle lettere dedicatorie. Nel corso del Cinquecento, la dedica, sovente sotto forma di lettera, ebbe infatti la fondamentale importanza di tutelare e promuovere le opere grazie al prestigio del dedicatario sia sul piano letterario che su quello politico, condizionando significativamente la fortuna dell’autore.
Ercole Tasso svolse inoltre una brillante carriera nelle istituzioni bergamasche: dal 1577 fino al 1586 ricoprì l’incarico di “nunzio” e “oratore di Bergamo in Venezia”. A tale periodo risalgono le lettere inviate a Bergamo dalla capitale veneta che, pur documentando trattative politico-diplomatiche, contengono anche alcune notazioni estranee al registro della corrispondenza formale, come quando definisce un suo collega, il «cavalier Girolamo», un «asino» e «il più insolente» di tutti i bergamaschi!

Vetrina 7 – Lettere e lettere dedicatorio di Ercole Tasso

Ercole Tasso
Lettera
Venezia 13 novembre 1577 – autografo
Archivio storico comunale. Sezione antico regime, 1.2.6.1-18
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Ercole Tasso
Lettera
Venezia, 1 dicembre 1578 – autografo
Archivio storico comunale. Sezione antico regime, 1.2.6.1-18
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Il primo libro di lettere dedicatorie di diversi
Bergamo, Comin Ventura, 1601
Salone loggia P 8 70-73
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Approfondimenti
Ercole Tasso letterato e filosofo
Ercole Tasso nacque a Bergamo intorno al 1540, quartogenito di Gian Giacomo e di Pace de’ Grumelli.
Nel 1580 venne istituita a Bergamo una commissione di censura composta da tre ‘deputati’, della quale Tasso fece parte insieme a Gian Gerolamo Grumelli, il Cavaliere in rosa di Giovan Battista Moroni, e a Giorgio Passo. A tale cerchia va aggiunto il nome di Isotta Brembati, moglie di Grumelli e anch’essa soggetto moroniano, per la cui morte venne allestita una raccolta di Rime funerali di diversi illustri ingegni… (1587), tra i quali Ercole e Torquato Tasso, Angelo Grillo e altri autori di ambito lombardo e veneto.
Ne1585 Ercole sposò Lelia Agosti, dalla quale nacquero, fra altri, un Torquato e due gemelle, morte di peste nel 1630. A eccezione dei periodi trascorsi a Venezia, Tasso abitò stabilmente a Bergamo: in città, nella casa di famiglia, e in una vicina casa di campagna, dove fece apporre l’iscrizione Villula Herculi Tassi philosophi.
Nel 1592 l’editore bergamasco Comin Ventura gli dedicò il volume in piccolissimo formato della Nuova scielta di rime di Torquato Tasso, definendolo, sia pure a scopo celebrativo, un «tal filosofo, poeta e letterato […] che pochi sono al mondo che l’agguaglino»; nel 1601 gli dedicò invece il Primo libro di lettere dedicatorie, che ne attesta due dello stesso Ercole, insieme ad altre di Bernardo, Torquato e di vari autori di area bergamasca e bresciana: protagonista di una élite, ancorché provinciale, tra le più avanzate nell’Italia tra Cinque e Seicento, Ercole Tasso, mediante il ruolo rivestito nell’affermazione della stampa a Bergamo, contribuì in modo incisivo a orientare l’indirizzo culturale e politico di quella società.
Nel 1593 uscì la «piacevole contesa fra i due moderni Tassi» sul tema Dell’ammogliarsi, in cui la Declamazione di Ercole, scritta probabilmente entro la data delle sue nozze, ma di argomento contrario, va così a inserirsi nel topico filone misogino e viene giustapposta alla Difesa di Torquato. Sempre del 1593 sono poi le Poesie, suddivise in tre libri e completate da un’orazione finale: una raccolta articolata che completa il corpus di alcuni sonetti già dedicati all’amore giovanile per la bella Virginia Bianchi con commenti e prose in funzione esegetica. Del 1612 è infine il trattato Della realtà e perfezione delle imprese nel quale è illustrata con esempi la ‘quiddità’ dell’impresa, che è «simbolo […] di figura e […] parole» (p. 84). L’opera, edita a Bergamo, suscitò la polemica del gesuita Orazio Montalto (1612), cui Tasso fece in tempo a reagire pubblicando le sue Risposte (1613).
Morì a Bergamo il 6 agosto 1613. [m.c.]

VII. Manoscritti di lettere tassiane nella Biblioteca Angelo Mai di Bergamo

Oltre a molti volumi a stampa, la Raccolta tassiana della Biblioteca Angelo Mai custodisce diversi manoscritti, alcuni dei quali conservano lettere sia di Bernardo che di Torquato, in copia e in originale. Cinque sono le missive autografe di Bernardo Tasso presenti in Biblioteca: una indirizzata a Sperone Speroni e datata 3 ottobre 1559 (ms. Cassaforte 6 6 22); altre quattro scritte a Marcantonio Tasca e raccolte nel prezioso Codice Falconieri. Di Torquato Tasso si possiedono gli autografi di due missive a Claudio Albani, entrambe di agosto ma di due anni successivi, 1587 e 1588 (Tassiana L 5 5). Di grande interesse risultano anche i manoscritti di copie di lettere dei Tasso, primo tra tutti il Codice Falconieri, un manoscritto miscellaneo donato alla Biblioteca nel 1938 e che da solo conserva circa 157 testi di missive tassiane.

Vetrina grande – Autografi e manoscritti

Bernardo Tasso
Lettera a Marcantonio Tasca
Roma, 14 settembre 1556 – autografo
Codice Falconieri – Cassaforte 6 15
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Bernardo Tasso
Lettera a Sperone Speroni
Venezia, 3 ottobre 1559 – autografo
Cassaforte 6 6 22
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Torquato Tasso
Lettera a Claudio Albani
Bergamo, 19 agosto 1587 – autografo
Tassiana L 5 5
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Torquato Tasso
Lettera a Claudio Albani
Napoli, 31 agosto 1588 – autografo
Tassiana L 5 5
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Bernardo Tasso
Amadigi
Ferrara, Giolito 1560
(ritratto di Bernardo Tasso)
Tassiana B 7 14
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[Ballany – G. Castagnola]
Ritratto di Torquato Tasso
Tassiana N 6 9
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Approfondimenti
I materiali di Marcantonio Foppa, un erudito appassionato dei Tasso
L’importanza del Codice Falconieri è legata anche alla sua origine e al suo allestimento: il manoscritto, infatti, appartiene ai materiali di Marcantonio Foppa, erudito del Seicento che dedicò parte dei propri studi proprio alla raccolta degli scritti di Torquato Tasso, con l’obiettivo di pubblicare l’opera omnia del poeta e soprattutto quanti più inediti possibili. Per fare ciò si fece aiutare da diversi collaboratori, che scavarono in diversi archivi copiando e inviando a Foppa tutto ciò che trovavano a nome di Torquato. Il Codice Falconieri, manoscritto miscellaneo, assembla insieme diversi di questi materiali e conserva circa 157 testi di lettere tassiane in copia, con importanti annotazioni dei copisti stessi relative agli originali da cui attinsero e che oggi, in alcuni casi, sono andati perduti. [e.o.]
Studi sulle lettere tassiane in Mai: da Luigi Locatelli ad ARCHILET
Il Codice Falconieri giunge nella nostra Biblioteca nel 1938, donato dallo zurighese Augusto Leopoldo Tobler, e viene subito inserito nella Raccolta tassiana, il ricco fondo bibliografico della Biblioteca interamente dedicato ai Tasso. Il primo a descriverne il contenuto e sottolineare l’importanza del Codice Falconieri è l’avvocato Luigi Locatelli, grande cultore della storia e della cultura bergamasca e tra le principali figure che arricchirono il patrimonio della Raccolta tassiana. Con tre contributi nella rivista «Bergomum» (prodromo dell’attuale rivista «Studi Tassiani»), lo studioso racconta la storia del codice fino al suo arrivo in Biblioteca e mette in risalto i materiali tassiani inediti presenti nel manoscritto: tra questi si contano quattro lettere di Torquato fino ad allora sconosciute, testimoni della preziosità del Codice anche nella ricostruzione dell’epistolario tassiano. Il progetto ARCHILET dell’Università degli Studi di Bergamo consente di visualizzare online le diverse carte del Codice con lettere di Torquato, offrendo una loro breve presentazione e sintesi. [e.o.]
Il progetto ARCHILET
Molte delle lettere manoscritte e a stampa presenti in mostra sono state schedate grazie al Progetto ARCHILET, portale digitale dedicato alle corrispondenze letterarie italiane di età moderna (secoli XVI-XVII).
Il progetto consente di consultare liberamente online le lettere scritte da intellettuali e letterati italiani, valorizzandone anche i rapporti con le altre culture e letterature europee.
L’archivio digitale si propone come strumento di studio: di ogni missiva si forniscono i principali metadati e un sunto, utile alla consultazione agile del contenuto. Il rimando al testo integrale viene offerto tramite rimando alla risorsa disponibile in open source o alla riproduzione fotografica digitale (come nel caso del Codice Falconieri). L’archivio, in costante aggiornamento, include corrispondenze letterarie edite (in edizioni antiche o moderne) e inedite.
Il progetto nasce dalla collaborazione tra tre atenei, sotto la direzione di Clizia Carminati (Università di Bergamo), Paolo Procaccioli (Università della Tuscia) ed Emilio Russo (Sapienza Università di Roma).
Per navigare in ARCHILET: http://www.archilet.it/Ricerca.aspx

Bernardo Tasso, Lettera a Marcantonio Tasca, Roma, 5 settembre 1556
Codice Falconieri – Cassaforte 6 15

Bernardo Tasso, Lettera a Marcantonio Tasca, Padova, 16 gennaio 1562
Codice Falconieri – Cassaforte 6 15

Bernardo Tasso, Lettera a Marcantonio Tasca, senza luogo, senza data
Codice Falconieri – Cassaforte 6 15

Con il patrocinio di
Archivio delle corrispondenze letterarie italiane di età moderna (secoli XVI-XVII)

Mostra a cura di
Cristina Cappelletti
Massimo Castellozzi
Elisabetta Olivadese

Un progetto di
Comune di Bergamo
Giorgio Gori, Sindaco
Nadia Ghisalberti, Assessore alla Cultura
Massimo Chizzolini, Dirigente Musei e Biblioteche
Maria Elisabetta Manca, Responsabile Biblioteca Civica Angelo Mai

Centro Studi Tassiani
Luca Bani, Presidente

Progetto grafico
#cartadesign – Dario Carta

Si ringraziano
Marcello Eynard, Giuseppe Malfitano