Sguardi sulla ‘vergine guerriera’ nella tradizione iconografica
della Gerusalemme Liberata
Casa Suardi, 4 dicembre 2024 – 28 febbraio 2025
Viene inaugurata mercoledì 4 dicembre 2024, al termine della tradizionale Giornata Tassiana, la nuova mostra realizzata dal Centro di Studi tassiani in Casa Suardi, dal titolo Dietro l’elmo di Clorinda. Sguardi sulla ‘vergine guerriera’ nella tradizione iconografica della Gerusalemme Liberata, curata da Lorenzo Mascheretti e Alice Spinelli.
L’ingresso alla Giornata, che può essere seguita anche in modalità telematica, oltre che in presenza in Sala tassiana, è libero fino ad esaurimento posti. La mostra rimarrà allestita fino al 28 febbraio 2025 e potrà essere visitata durante gli orari di apertura di Casa Suardi.
Dietro l’elmo di Clorinda
Sguardi sulla ‘vergine guerriera’ nella tradizione iconografica della Gerusalemme liberata
Nel 1624 Claudio Monteverdi, ispirandosi ad alcune tra le pagine più alte e commoventi della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, sperimentò nel suo Combattimento di Tancredi e Clorinda soluzioni compositive inedite, di straordinario impatto sulla storia della musica barocca. Come tutte le ricorrenze, anche questo quarto centenario del madrigale monteverdiano offre un’occasione preziosa: soffermare lo sguardo su figure, temi e motivi che la nostra tradizione culturale ci consegna in eredità, verificandone la tenuta (e salvaguardandone il valore) alla prova del tempo.
Al centro di questo percorso espositivo si staglierà dunque il personaggio di Clorinda: abbandonata alla nascita e ignara delle sue origini cristiane, la ‘vergine guerriera’, campionessa dell’esercito pagano, morirà per mano del suo stesso nemico-amante (o meglio, spasimante non corrisposto), il crociato Tancredi, nell’episodio clou del XII canto, che suggella l’agnizione tragica della donna (lo svelamento della sua identità, prima celata all’eroe cristiano dietro un’inconsueta armatura) con il suo battesimo in extremis. L’intera vicenda di Clorinda, che raggiunge certamente in questa scena il suo culmine patetico (tradotto in musica dalla vibrante ‘grammatica degli affetti’ di Monteverdi e in pittura dalle ardite asimmetrie e dal cromatismo livido del Tintoretto), può essere sussunta sotto l’insegna di un oggetto simbolico (e polisemico): l’elmo. Schermo che nasconde la sua ‘diversità’ e la equipara esteriormente ai suoi compagni uomini, ma che poi, sbalzato dalla testa nell’infuriare della battaglia, libera le sue chiome dorate, petrarchescamente «al vento sparse» (GL III, 21, 8), lasciando Tancredi inebetito di fronte alla sua epifania, l’elmo diviene infine strumento dell’anagnòrisis tragica (‘riconoscimento’) e al tempo stesso viatico della salvazione provvidenziale della donna: lo choc di Tancredi alla vista della fronte scoperta dell’amata è infatti riscattato, almeno nell’ideologia controriformista del poema, dal rito battesimale che lo stesso eroe officia servendosi proprio del suo elmo per attingere l’acqua dal fiume.
Ricostruendo le peripezie testuali e intertestuali di una delle protagoniste più affascinanti della Liberata, anche con l’aiuto di alcune edizioni illustrate tratte dalla ricchissima Raccolta Tassiana della Biblioteca “Angelo Mai” di Bergamo, cercheremo dunque di scoprire quali modelli e quali ambiguità si celino dietro la corazza di Clorinda, e quali interrogativi possa sollevare ancora oggi – in un’epoca che tende sempre più a problematizzare i tradizionali stereotipi di genere – il suo sguardo indomito di donna guerriera.
- Madrigali gverrieri, et amorosi con alcvni opvscoli in genere rappresentativo, che saranno per brevi episodij frà i canti senza gesto, libro ottavo di Clavdio Monteverde, Venezia, appresso Alessandro Vincenti, 1638, p. 26.
- Domenico Robusti detto il Tintoretto, Tancredi battezza Clorinda, olio su tela, 1586-1600; Houston, The Museum of Fine Arts
Un esercito di guerriere
Il tòpos dell’amazzone dal mito antico al romanzo cavalleresco
L’idea di affidare un ruolo da assoluta protagonista ad una donna guerriera, in grado di rivaleggiare ad armi pari con gli uomini e anzi di sbaragliare schiere di eroi, non è certo prerogativa di un Tasso ‘femminista’ ante litteram: la stessa tradizione epico-cavalleresca più prossima al poeta della Liberata offriva, in tal senso, modelli di grande successo. In questa vetrina si espongono alcune illustrazioni multisceniche tratte da pregiate edizioni cinquecentesche dell’Orlando furioso: vi sono ritratti episodi che coinvolgono a più riprese, risucchiate nel turbinoso entrelacement dispiegato dall’Ariosto, due donne guerriere di invenzione già boiardesca, ovvero Bradamante (eroina cristiana destinata a sposare Ruggiero e a fondare con lui la dinastia estense) e Marfisa. Quest’ultima mostra più di un punto di contatto con Clorinda, sia per la sua misteriosa infanzia che per la sua conversione: orfana cresciuta in terra straniera, scopre solo in medias res di essere gemella dello stesso Ruggiero, come lui di origine cristiana, e decide pertanto di abbracciare la fede dei suoi avi, compiendo la stessa scelta per cui opta la sua omologa tassiana – con un ben più accentuato effetto drammatico – in limine vitae.
Il tòpos della vergine guerriera affonda però le sue radici in un passato mitico: trova infatti il suo archetipo nella famigerata civiltà matriarcale delle Amazzoni. Anche nel destino della loro regina Pentesilea si intrecciano inestricabilmente eros e thanatos (‘amore e morte’): secondo la tradizione frammentaria del ciclo troiano post-omerico, Achille si sarebbe infatti innamorato di lei nell’atto stesso di vibrarle il colpo mortale. Per un classicista come Tasso sarà stato però imprescindibile il precedente virgiliano di Camilla: ed è interessante notare che le analogie tra i due personaggi sembrano aver prodotto negli illustratori qualche più o meno inconscia ‘intermittenza del cuore’ (o cortocircuito della memoria). La pelle di tigre indossata dalla guerriera dell’Eneide («tigridis exuviae per dorsum a vertice pendent», ‘per la schiena dalla testa le pendono spoglie di tigre’, Aen XI, 577) ricompare infatti come gualdrappa nei disegni tassiani di Doyle, in libera variatio rispetto al testo della Liberata, dove l’effigie della tigre che ha allattato Clorinda da neonata svetta invece sul suo cimiero.
- Maestro di Pentesilea, Achille uccide Pentesilea, Kylix attico a figure rosse proveniente da Vulci, 470-460 a.C.; Monaco di Baviera, Staatliche Antikensammlungen
- Bartolomeo Pinelli, Morte di Camilla (Ella morendo di sua man lo strale svellarsi tenta; ma la ferrea punta troppo alto siede tra le coste infissa) , acquaforte, 1811
- Jerusalem Delivered. A Poem, in twenty Cantos: translated from the Italian of Tasso by Annette Doyle. Illustrated by her brother James, manoscritto, 1840; Bergamo, Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici, Tass. L.2.7, p. 23r
Di padre in figlio
Duelli intertestuali tra Bernardo e Torquato Tasso
Un posto di primissimo piano tra i modelli ibridati e rinfunzionalizzati da Torquato Tasso nel suo raffinato ‘montaggio’ intertestuale va riservato all’Amadigi del padre, il meno noto Bernardo. Anche nel cast di quest’ipertrofico poema (pubblicato in cento canti nel 1560) – un poema che Torquato, non senza una nota di benevolenza filiale, definisce eufemisticamente “copioso” – spicca la figura di una donna guerriera, Mirinda: e la sua diretta parentela con Clorinda è testimoniata non soltanto dalla risonanza in rima tra i due nomi, ma soprattutto dal coinvolgimento di entrambe in duelli in incognito con i loro innamorati. Nell’Amadigi, come consueto all’ispirazione un po’ prolissa e ridondante di Bernardo, il duello si reduplica: la sfida tra Mirinda e Alidoro divampa una prima volta tra canto XXXI e canto XXXVII, frazionata in più tranches sulla falsariga dell’entrelacement ariostesco, per poi rinnovarsi secondo moduli analoghi nel canto LXXII.
Pur compendiandoli in un unico episodio molto più denso e icastico, e pur rovesciando il rassicurante happy end dell’Amadigi in una catastrofe intrisa di pathos, Tasso junior mutua dal padre, nella Liberata, non solo e non tanto puntuali tessere lessicali, quanto soprattutto dinamiche narrative (l’escalation di furore guerriero che dissolve la tenzone schermistica dei primi approcci in un irruente corpo a corpo finale), suggestioni conturbanti (l’ambiguo abbraccio tra i due duellanti, misto di violenza e di latente erotismo), espedienti tecnici come l’apostrofe del narratore ai personaggi («Miseri e infelici, hor che farete?», Amadigi XXXII, 4, 5; «Ahi misero Alidor», Amadigi LXXII, 2, 1; «Misero, di che godi?», GL XII, 59, 1). Il riferimento traslato di Bernardo Tasso ad una «notte / o di tempo, o d’oblio» (Amadigi XXXI, 17, 6-7) sembra poi riaffiorare nell’invocazione di Torquato («Notte, che nel profondo oscuro seno / chiudesti e ne l’oblio fatto sì grande», GL XII, 54, 3-4), che ambienta il duello tra Clorinda e Tancredi nel suggestivo scenario di un notturno capace di colpire anche la fantasia di alcuni incisori (si veda la ‘finestra’ aperta su uno squarcio di cielo stellato nell’edizione Tozzi del 1628).
- L’Amadigi del s. Bernardo Tasso, Venezia, Gabriele Giolito De’ Ferrari, 1560
- Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Ritratto di giovane uomo con lettera (Ritratto di Ber-nardo Tasso?), olio su tela, 1538 circa; Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo
Due eroine a confronto
Clorinda e Sofronia nel II canto della Liberata
Nell’episodio di apertura del II canto della Liberata, sono protagonisti i giovani cristiani Olindo e Sofronia. Quest’ultima, seppure sia innocente, si auto-accusa di aver sottratto dalla moschea di Gerusalemme un’icona sacra della Madonna, che gli infedeli avevano tolto ai cristiani e ritenevano proteggesse la città dagli assalti dei nemici; Olindo, che è innamorato in segreto della compagna, si professa a sua volta colpevole ed è condannato con lei al rogo dal re Aladino. Di fronte alla nobile abnegazione di Sofronia sta un’altra forma di magnanimità: quella di Clorinda, che – commossa dalla fedeltà dei due amanti – interviene per liberarli, promettendo in cambio al re il suo aiuto in guerra.
Il paragone tra le due eroine e le rispettive virtù è evidente nell’illustrazione di Bernardo Castello che apre il canto nell’edizione genovese del 1617: Sofronia, legata al termine di una via che con i suoi palazzi ricorda la Strada Nuova della città ligure, fa da contrappunto visivo a Clorinda intenta a contrattare la liberazione dei prigionieri, segnalata dall’alta asta che svetta parallela al fusto della colonna carceraria. Quasi colte in un dialogo speculare sono le due donne nell’incisione che correda l’edizione padovana del 1628, dove Clorinda cela dietro le armi la sua femminilità, così spudoratamente esibita di contro da Sofronia ignuda, che con i capelli sciolti anticipa lo svelamento della vergine pagana narrato nel canto successivo.
La presenza di Clorinda nei panni della guerriera offre agli illustratori il pretesto per la descrizione analitica della sua armatura, prodotto dei migliori corazzai dell’età moderna: si veda il dettagliato disegno di Antonio Tempesta nell’edizione del 1735, con la resa precisa degli spallacci antropomorfi e del cimiero a foggia di tigre, in ricordo dell’animale che accudì la donna.
Più che nella marziale Clorinda, il secolo delle rivoluzioni si sarebbe identificato in un’eroina del popolo quale Sofronia: nella ragazza raffigurata nell’edizione francese del 1771 si potrebbe addirittura individuare una precoce immagine dell’allegoria della Marianne, consegnata alla storia cinquant’anni più tardi dalla celebre rappresentazione pittorica di Eugène Delacroix.
- Eugène Delacroix, Olindo e Sofronia, olio su tela, 1856; Monaco di Baviera, Bayerische Staatsgemäldesammlungen
«Giovane donna in mezzo al campo apparse».
Clorinda nello scontro con Tancredi
Dopo l’apparizione in flashback nel I canto della Liberata (quando Tancredi, in un momento di riposo dalla battaglia, aveva visto Clorinda armata, ma con il volto scoperto vicino a una fonte), nel III canto i due si incontrano nuovamente e si affrontano armati, come nemici, sotto alle mura di Gerusalemme. Durante lo scontro, Tancredi scalza l’elmo dalla testa di Clorinda e scopre di avere dinanzi a sé non un uomo, ma una donna: così resta impietrito ed incapace di proseguire nel combattimento («Ei ch’al cimiero, ed al dipinto scudo / Non badò prima, or, lei veggendo, impetra»; GL XXIII, vv. 177-178). Nell’edizione del 1625, Francesco Valegio incide proprio il momento immediatamente precedente alla rivelazione della donna, quando la punta della lancia di Tancredi tocca l’elmo di Clorinda, ma già alcune ciocche si sono scomposte per l’irruenza.
L’illustrazione della prima edizione del 1590 aveva restituito soprattutto la generale concitazione dello scontro armato, con la conseguenza che – nella cascata di corpi umani e animali che invade la scena e sembra travolgere l’osservatore – quasi passa inosservata la presenza dell’eroina in secondo piano, con la chioma voluminosa e lo scudo alzato per proteggersi dai colpi avversari. Due edizioni più tarde, pubblicate nello stesso anno 1626, si focalizzano invece maggiormente sull’incontro tra i due contendenti, con un’aderenza variabile al racconto: se in quella veneziana di Giovanni Battista Combi, anche dopo la caduta dell’elmo di Clorinda, Tancredi è insolitamente aggressivo e battagliero e il duello è alla pari, in quella stampata a Francoforte – più in sintonia con il testo tassiano – è la guerriera a comparire in una posa intimidatoria, con i capelli al vento e la spada sguainata, di fronte a un nemico completamente inerme.
Lo sbigottimento si fa palese sul volto di Tancredi con la lancia spezzata nell’edizione francese del 1786, mentre è eloquente nella pubblicazione napoletana del 1841 il confronto tra l’immagine di Clorinda in sella al suo destriero rampante e quella del mesto Tancredi, opera di Luigi De Luise, che avanza su un cavallo mal ridotto e spossato.
- Gerusalemme liberata di Torquato Tasso pubblicata e ornata di stampe litografiche da Antonio Zezon, Napoli, Antonio Zezon, 1841; Bergamo, Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici, Tass. D.7.16/2, tav. 6
- Gerusalemme liberata di Torquato Tasso pubblicata e ornata di stampe litografiche da Antonio Zezon, Napoli, Antonio Zezon, 1841; Bergamo, Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici, Tass. D.7.16/2, tav. 5
L’elmo rovesciato
Il battesimo e la morte di Clorinda
L’episodio finale della vicenda di Clorinda si compie nel XII canto. La giovane guerriera, nonostante abbia appreso da Arsete delle sue origini cristiane, prende parte in incognito insieme ad Argante a una sortita notturna per bruciare le torri d’assedio costruite dagli avversari fuori dalle mura di Gerusalemme, travestita con un’insolita armatura; rimasta chiusa all’esterno nel corso di un inseguimento, tenta invano di rientrare nella città, ma viene avvistata da Tancredi, con cui ingaggia l’ultimo, spettacolare e tragico duello. Dopo aver resistito a lungo, Clorinda – trafitta al petto mortalmente – si accascia e chiede di ricevere il battesimo: Tancredi glielo amministra prendendo dell’acqua da un rivo con il suo elmo, ma rimane scioccato nel vedere il volto finalmente scoperto della sua amata.
Per via della ricchezza di contenuti di questo canto, le illustrazioni che accompagnano il testo nelle diverse edizioni dal Cinquecento all’Ottocento sono un compendio di temi iconografici variegati, attinti dalla tradizione pagana classica e da quella cristiana insieme. Così, se nell’edizione del 1590 la tematica amorosa ha la meglio e il gesto affettuoso di Tancredi nei confronti di Clorinda può ricordare inaspettatamente l’abbraccio di Armida e Rinaldo nel giardino incantato, nelle pubblicazioni successive diviene centrale il momento battesimale.
L’elmo, che è stato simbolo per eccellenza della forza militare, non solo è levato dal capo dei contendenti, perdendo immediatamente la sua funzione e inaugurando un contesto pacifico, ma è anche dotato di un nuovo significato, attraverso un rovesciamento – simbolico e pratico nella realtà – con cui si trasforma in contenitore concavo dell’acqua. Lo vediamo, in questa veste, recato da Tancredi nelle edizioni del 1604 e del 1607 e nell’illustrazione di Giovanni Battista Piazzetta del 1745, in cui il protagonista agisce in un’ambientazione bucolica di gusto pittoresco, alla presenza di una Clorinda che sembra una santa mistica in estasi.
Ancora diversa appare Clorinda nell’edizione del 1771, accasciata a terra con il braccio puntato sullo scudo, come a rinnovare la posa della nota statua ellenistica del Galata morente. Anche il tema classico del Trasporto di Meleagro, derivato dalle decorazioni dei sarcofagi romani e ripreso dalla tradizione cristiana nella scena della Deposizione di Cristo, è rievocato nell’illustrazione dell’edizione del 1617, in cui i due feriti sono trasportati da un drappello di soldati cristiani. Di più, nell’immagine multiscenica di Antonio Tempesta del 1735 il racconto assume i toni di un novello Calvario, con uno degli armigeri che addirittura alza le mani nel gesto patetico tipico di Maria Maddalena. Infine, si tramuta quasi in una Vesperbild il gruppo di Tancredi e Clorinda nell’edizione parigina del 1786, dove l’eroe accoglie su di sé, a braccia aperte, il corpo esanime dell’amata.
- La Gervsalemme liberata di Torqvato Tasso. Con le annotationi di Scipion Gentili, e di Givlio Guastauini, Et li argomenti di Oratio Ariosti, Genova, Giuseppe Pavoni, 1617; Bergamo, Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici, Tass. C.7.4, p. [132]
- La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Tomo Secondo, Parigi, Agostino Delalain, Pietro Durand, Giovanni Claudio Molini, 1771; Bergamo, Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici, Tass. D.4.9/2, immagine di apertura del canto XII
Tra virtù “virtù feminile” e “virtù donnesca”
L’esempio di Clorinda nella querelle des femmes cinquecentesca
In un secolo come il Cinquecento, dominato da donne potenti e colte (che siano le signore di eleganti corti rinascimentali o circoli intellettuali come Isabella d’Este e Vittoria Colonna oppure regine e reggenti leader in Europa come Elisabetta I d’Inghilterra e Caterina de’ Medici in Francia), torna ad imperversare un’annosa quaestio su cui si erano esercitati i maestri della dialettica fin dall’antichità greco-romana: la disputa sull’uguaglianza o disuguaglianza tra i sessi, e in particolare sulla presunta inferiorità delle donne. Rinfocolata dal trattato filogino De nobilitate et praeecelentia foeminei sexus di Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim (1529), la querelle des femmes infervora anche scrittori del rango dell’Ariosto, che nel Furioso oscilla tra entusiastici elogi e violente invettive.
Iscrivendosi al dibattito col suo discorso De la virtù feminile e donnesca, composto durante la reclusione a Sant’Anna e pubblicato in editio princeps per i tipi di Giunti nel 1582, Torquato Tasso cerca di trovare un equilibrio tra istanze diverse: se da un lato ribadisce, sulla scorta di Aristotele, la subordinazione della donna all’uomo, identificando in una mite e obbediente pudicizia la “virtù feminile” par excellence, dall’altro ammette l’esistenza di eroine eccezionali, dotate di una “virtù donnesca” che le pone sullo stesso livello delle loro controparti maschili. Benché l’autore della Liberata eviti elegantemente di autocitarsi, l’ombra di Clorinda incombe nitida: a dire il vero, l’eroina tassiana sembra assommare e sublimare in sé entrambe le tipologie di virtù, in quanto «vergine gloriosa» (GL, II, 47, 3) e in quanto «guerriera ardita» (GL, XII, 2, 5). D’altronde, la stessa Clorinda viene addotta esplicitamente ad exemplum del valore femminile nell’agguerrito trattato Della nobiltà ed eccellenza delle donne, con i difetti e i mancamenti degli uomini (Venezia, G. B. Ciotti, 1600) con cui Lucrezia Marinella risponde agli acrimoniosi attacchi di Giuseppe Passi (Dei donneschi diffetti, 1598).
Pur non ergendosi a paladino delle donne, Torquato evita di assecondare vieti stereotipi misogini anche nella disputa uxoria che lo oppone al cugino Ercole Tasso in una «piacevole contesa» pubblicata per la prima volta nel 1593, sotto il titolo Dell’ammogliarsi, presso l’editore bergamasco Comin Ventura. Paradossalmente, mentre Ercole, che pure si appoggia ad illustri auctoritates classiche per denigrare le donne e lanciarsi in un’accalorata apologia del celibato, finirà per prendere moglie, lo sventurato Torquato, molto più indulgente nei confronti del genere femminile, non riuscirà mai ad accasarsi: ma questa è solo una delle tante contraddizioni che costellano la sua vita travagliata…
- La nobilta, et l’eccellenza delle donne, co’ diffetti, et mancamenti de gli Huomini. Discorso di Lucretia Marinella, in due parti diviso, Venezia, Giovanni Battista Ciotti, 1601
- Pittore lombardo, Ritratto di Ercole Tasso, seconda metà del XVI secolo, collezione privata
Clorinda oggi
La figura della ‘principessa guerriera’ nella cultura contemporanea
Nella figura di Clorinda si può individuare uno dei prototipi della ‘principessa guerriera’, personaggio che ha guadagnato una crescente popolarità nella cultura contemporanea, rappresentando un’affascinante fusione tra nobiltà e forza. Questo archetipo si distacca dalle tradizionali immagini passive e romantiche della ‘principessa’, incarnando invece il potere, il coraggio e l’autonomia.
In film, serie TV e letteratura, le principesse guerriere si presentano come leader forti, abili combattenti e strateghe, in grado di sfidare le aspettative di genere. Personaggi come Mulan, che si traveste da uomo per combattere al posto del padre, o la principessa Éowyn (Il Signore degli Anelli), che allo stesso modo indossa un’armatura maschile per difendere ciò che le sta a cuore, rappresentano questa nuova tipologia e sono degne eredi della Clorinda di Tasso. Le loro storie non solo offrono modelli di comportamento, ma mettono anche in discussione le norme sociali, spingendo verso un’idea di femminilità più inclusiva e potente.
Nel panorama videoludico, giochi come The Legend of Zelda: Breath of the Wild e Horizon Zero Dawn presentano rispettivamente protagoniste come Zelda e Aloy, che affrontano avventure epiche e al tempo stesso complessi dilemmi morali e relazioni interpersonali, mostrando una gamma di emozioni e motivazioni che le rende figure più tridimensionali e sfaccettate.
La principessa guerriera è spesso associata a temi della resilienza e dell’autodeterminazione: le lotte per la giustizia e l’uguaglianza che il personaggio ingaggia nella fantasia rispecchiano le battaglie contemporanee e reali per i diritti delle donne e l’inclusione sociale. Molte storie mettono inoltre in evidenza l’importanza della solidarietà e della comunità, delle alleanze e delle relazioni tra donne, enfatizzando che la forza non deriva solo dall’individualismo, ma anche dal sostegno reciproco.
- Mulan, travestita da uomo, nell’omonimo film d’animazione Disney del 1998
- L’attrice australiana Miranda Otto interpreta la principessa Éowyn, personaggio dell’universo immaginario fantasy creato dallo scrittore inglese John R. R. Tolkien, nel riadattamento cinematografico Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re del 2003
Curatori
Lorenzo Mascheretti, Alice Spinelli
Comune di Bergamo
Elena Carnevali, Sindaca
Sergio Gandi, Assessore alla Cultura
Elena Pasini, Direzione Cultura, Musei, Biblioteche, UNESCO, Turismo, Partecipazione, Commercio, Sport
Cristiana Iommi, Direttrice della Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici
Centro di Studi tassiani
Cristina Cappelletti, Presidente
Si ringrazia
Cristina Cappelletti, Marcello Eynard, Luca Guaschetti