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Delle quindici edizioni della Commedia dantesca venute alla luce nel XV secolo a partire dal 1472, risulta di particolare interesse quella di grande formato (in folio) pubblicata a Venezia nel 1497 da Pietro Quarengi, della quale si conserva un esemplare presso la Biblioteca Donizetti (segnatura: Museo Donizettiano VI 3° 15): La Commedia, comm. Cristoforo Landino; Credo che Dante fece quando fu accusato per eretico all’inquisitore.

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L’edizione è corredata da novantasette illustrazioni in xilografia che si trovano solitamente all’inizio di ogni canto, ad eccezione delle tre presenti a piena pagina.

La xilografia, incisione su legno che lasciava in rilievo il disegno da inchiostrare e imprimere sulla pagina, costituì la tecnica prevalente di illustrazione del libro a stampa dalle origini alla seconda metà del Cinquecento.

A corredo del testo dantesco, l’edizione contiene il commento di Cristoforo Landino, reso evidente dalla carattertistica mise en page, ereditata dalla tradizione dei manoscritti basso medievali, che prevede il testo dell’autore principale al centro, circondato a gabbia dal ricco commento.

Cristoforo Landino fu un umanista fiorentino del Quattrocento che pubblicò per la prima volta il suo commento alla Commedia nel 1481. L’interpretazione letterale e allegorica sono qui affiancate e precedute da un lungo proemio ricco di informazioni sulla storia civile e culturale fiorentina nelle sue diverse manifestazioni. Il commento di Landino ebbe una grande fortuna fino a tutto il Cinquecento.

Personaggio degno di nota è anche l’artefice di questa edizione: Pietro di Giovanni de Quarengi (Petrus de Quarengiis) che iniziò la sua attività di stampatore a Venezia nel 1492 presentandosi con il nome di «Petrus Bergomensis»: era infatti originario di Palazzago, paese della provincia di Bergamo. L’Incunabula Short Title Catalogue riporta ben 61 sue edizioni con 479 esemplari segnalati nelle biblioteche di tutto il mondo. La sua attività continuò poi fino al 1517.

Un altro spetto che rende questo esemplare particolarmente prezioso è dato dalla legatura antica in assi di legno con rivestimento in cuoio a rinforzo del dorso e strisce trasversali in pelle decorata in oro. Le tracce dei fermagli per le bindelle con aggancio sul piatto posteriore ne attestano la produzione italiana.

L’incunabolo della Biblioteca Musicale ha un rilievo tutto particolare, in quanto appartenne a Gaetano Donizetti, il quale, come compositore, si interessò a Dante mettendo in musica, fra l’altro, il canto del Conte Ugolino (XXXIII dell’Inferno) e un’Ave Maria creduta per lungo tempo opera di Dante e pubblicata proprio nell’edizione in questione in aggiunta alla Commedia.

Il prezioso incunabolo fu regalato al grande musicista da un suo allievo, Adelson Piacezzi, un magistrato colto, amante dei libri, patriota, la cui famiglia era originaria di Piazza Brembana. La donazione avvenne nel 1844, come attesta la lettera di ringraziamento che lo stesso Donizetti inviò a Piacezzi da Vienna il 9 gennaio 1844.

Alla morte di Donizetti l’esemplare passò al nipote Andrea, quindi al di lui figlio Giuseppe. Di quest’ultimo ci rimane un biglietto autografo che attesta la donazione «alla gloriosa città di Bergamo» avvenuta il 20 luglio 1912.

Sfoglia una versione digitale dell’incunabolo sul sito delle Stanford Libraries.

Adelson Piacezzi è ricordato oggi solo per aver donato a Donizetti questo prezioso incunabolo dal quale, come detto, il musicista trasse il testo di un’Ave Regina Vergine Maria, offertorio per due voci femminili e orchestra d’archi, messa in musica per la cappella imperiale austriaca («Ho fatta l’Ave Maria di Dante con accompagnamento di quartetto a due voci (Sop. e Cont.). La si va ad eseguire nel primo Concerto Spirituale in Quaresima», scrive da Vienna Gaetano Donizetti ad Antonio Dolci, in una lettera del 29 gennaio 1844). Donizetti, riconoscente, oltre ai ringraziamenti epistolari inviò a Piacezzi anche un insolito omaggio musicale:

«Dal 1815 – al 1844 –
Nel 1815 io maestrino di cembalo, tu mio allievo.
[pentagramma con notazione]
Nel 1844 tu Consigliere di Giustizia, io M.o de’ concerti
di S. M. l’Imp. d’Austria. –
Salve Adelson Piacezzi
il tuo Donizetti»

Originario della Valle Brembana, anche se nato a Bergamo il 19 gennaio 1798, Piacezzi ebbe modo di frequentare in gioventù Donizetti e, per un breve periodo, fu suo allievo dilettante di pianoforte: oltre all’omaggio donizettiano appena citato, a conferma di ciò esiste anche una sinfonia per pianoforte solo scritta nel 1815 dal giovane Donizetti poco prima di partire per Bologna e a lui dedicata.

Laureatosi in legge all’Università di Pavia nel 1819, Piacezzi fu nominato Consigliere dell’I. R. Tribunale Provinciale di Lodi, ove svolse con successo attività di magistrato. Sposatosi a Verona nel 1830 con Angela Auregio (Verona, 1805 – Bergamo, 1868) ne ebbe quattro figli. Molto operoso nella vita culturale della sua città adottiva sia come organizzatore di eventi, sia come cronista sulla stampa locale, Adelson fu attivo anche in campo patriottico. La pubblicazione di un suo libello intitolato Un pensiero sulla dominazione austriaca in Italia, avvenuta a Lodi nel 1848, gli costò il prestigioso posto di lavoro: nell’agosto del 1850 fu infatti sollevato dal pubblico servizio da parte del Ministro di Giustizia austriaco. Un successivo scritto edito a Milano nel 1863 col titolo Riflessioni sui doveri civili proposte al popolo italiano, è invece opera altamente morale ed educativa e ben lontana, quindi, dal carattere ‘ribelle’ del fascicolo che gli costò la perdita del posto di lavoro. Fu un po’ il suo canto del cigno: Adelson morì nella sua città natale due anni dopo, nel 1865.