«Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e gli occhi no l’ardiscon di guardare».
Questa celeberrima quartina apre il sonetto che Dante colloca nel ventiseiesimo capitolo della Vita nuova, opera parte in prosa e parte in versi, scritta prevalentemente fra il 1283 e l’inizio degli anni Novanta ripercorrendo l’esperienza autobiografica dal primo incontro con Beatrice – avvenuto nel 1274, quando il poeta aveva nove anni – all’8 giugno 1290, data di morte di lei. In questo sonetto il sommo poeta rappresenta Beatrice come l’incarnazione di un miracolo d’amore, che dona una beatitudine così intensamente dolce da risultare inarrivabile.
La Vita nuova venne definitivamente organizzata nel suo contenuto e nella sua sequenza fra il 1292 e il 1294 ed ebbe una vasta circolazione soprattutto dalla metà del Trecento come attestato dalla presenza di decine di manoscritti dell’epoca contenenti l’opera completa o parziale.
Giovanni Boccaccio, considerato l’iniziatore della filologia italiana, allestì egli stesso alcuni manoscritti di opere dantesche. In due di essi inserì proprio la Vita nuova: si tratta del manoscritto Toledano 104.6 conservato nell’Archivio e Biblioteca Capitolare di Toledo in Spagna e del manoscritto Vaticano Chigiano LV 176 della Biblioteca Apostolica Vaticana.
Anche nell’era del libro a stampa l’opera ha conosciuto un buona diffusione editoriale.
La Biblioteca Mai ha la fortuna di possedere ben due esemplari della prima edizione, anche se parziale, della Vita nuova, di piccolo formato, pubblicata a Venezia nel 1527 dagli eredi del celebre editore Filippo Giunta.
L’opera è contenuta in un’antologia di componimenti di diversi autori (Dante, Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, Guittone d’Arezzo) dal titolo Sonetti e canzoni di diversi antichi autori toscani in dieci libri raccolte nella quale la Vita nuova è proposta con ampio spazio dato alla parte poetica rispetto a quella in prosa.
Si tratta, comunque, dell’unica edizione di interesse filologico, utile quindi, in mancanza di fonti autografe, alla ricostruzione di un testo che sia il più possibile vicino alla volontà dell’autore.
Basti pensare che l’edizione successiva, la prima integrale dell’opera (l’Editio princeps), uscì solo nel 1576 a Firenze per l’editore Bartolomeo Sermartelli, ma in una versione purgata, in linea con i dettami della Controriforma, per evitare l’inclusione nell’Indice dei libri proibiti: ecco che, ad esempio, vengono qui eliminate le allusioni al Padre Eterno ritenute blasfeme.
I due esemplari della Biblioteca Mai, con coperta in carta pressata rivestita in pergamena, hanno come collocazione ‘Cinquecentine 1.1919 e 2.920’. Quest’ultimo esemplare fece parte della biblioteca femminile circolante di Antonia Suardi Ponti, la nobildonna che nel 1897 aprì in città una biblioteca destinata a fornire libri in prestito alle donne bergamasche alle quali, in quegli anni di fine Ottocento, non era consentito l’ingresso alla Civica.
La provenienza è attestata dall’ex-libris presente al verso del piatto anteriore che contiene il motto «Leggere le buone opere e osservarle».
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