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Angelo Mai (Schilpario, Bergamo, 1782 – Albano, Roma, 1854)

Nato da famiglia di origini modeste, ma benestante, Angelo Mai compì i primi studi fra Clusone e Bergamo. Dopo la chiusura del seminario da parte dei Francesi nel 1797, riparò in una casa dei Gesuiti a Colorno, in provincia di Parma, da dove fu inviato nel 1804 a Napoli a insegnare presso un collegio dell’Ordine, di cui prese l’abito.

Fuggiti i Borboni da Napoli, il Mai andò a Roma come docente presso il Collegio Romano, quindi a Orvieto, dove fu ordinato sacerdote nel 1806 e dove poté studiare l’ebraico e approfondire la tecnica di lettura dei palinsesti, antichi codici, per lo più in pergamena, raschiati e riscritti: mediante l’utilizzo di una spugna imbevuta di acido gallico era possibile infatti ravvivare l’inchiostro della scrittura primitiva e riscoprire testi classici ritenuti perduti.

Recatosi a Roma per sostenere gli esami di teologia e filosofia, il Mai dovette, ancora una volta, cambiare i suoi programmi di vita a causa degli eventi politici: un editto di Napoleone costringeva i sudditi del Regno Italico a risiedere nella provincia d’origine. Trasferitosi a Milano, entrò come dottore alla Biblioteca Ambrosiana, dove rimase fino al 1819. Nella ricchissima Biblioteca milanese, il Mai cominciò un’analisi sistematica dei manoscritti, mettendo a frutto le sue ormai mature competenze paleografiche e filologiche e giungendo a notevoli scoperte: orazioni di Isocrate e Cicerone, frammenti di Plauto, un codice di Terenzio del IX sec.; l’epistolario, pubblicato nel 1815 con grande risonanza, dell’oratore romano, precettore di Marco Aurelio, Marco Cornelio Frontone, contenente lettere dello stesso Marco Aurelio, di Antonino Pio, di Lucio Vero, di Appiano. Nel 1816 il Mai mandò alle stampe inoltre le Antichità romane di Dionigi di Alicarnasso.

L’importanza di queste scoperte cominciò a guadagnare fama allo studioso, anche se non senza polemiche sulla tecnica di lettura, per la lezione e l’attribuzione dei testi. Pur rimanendo un solitario, il Mai ebbe comunque rapporti con prestigiose famiglie milanesi proprietarie di grandi biblioteche e intensi scambi epistolari con filologi di tutta Europa.

Nel 1819 Pio VII convinse Angelo Mai a lasciare l’ordine dei Gesuiti e a diventare custode della Biblioteca Apostolica Vaticana. Lo stesso anno lo studioso annunciava la scoperta di ampi passi del De republica di Cicerone, fino ad allora conosciuto soltanto nel frammento del cosiddetto Somnium Scipionis. La scoperta suscitò l’entusiasmo del mondo intellettuale e valse al Mai un’ode scritta da Giacomo Leopardi, che vide in queste scoperte motivo di risveglio dell’orgoglio italiano anche sul piano politico.

Nominato nel 1833 segretario della Congregazione di Propaganda Fide e creato cardinale da Gregorio XVI nel 1838, fu membro dell’Istituto di Francia, dell’Accademia reale di Berlino, di Monaco, Stoccolma, Vienna e Amsterdam. Morì nel 1854 ad Albano e fu sepolto a Roma in Sant’Anastasia, di cui aveva il titolo presbiteriale. Nel suo testamento lasciò denaro ai poveri di Schilpario, suo paese natale, e volle che la ricchissima biblioteca fosse venduta al Papa per la metà del suo effettivo valore.

Nel centenario della sua morte, il Comune di Bergamo volle intitolargli la Biblioteca Civica. Il discorso ufficiale di intitolazione venne tenuto dal cardinale Angelo Giuseppe Roncalli, salito al soglio pontifico quattro anni dopo, nel 1958, come Giovanni XXIII.

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