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Metamorfosi e meraviglia: L’Adone 1623-2023

Venerdì 6 ottobre 2023, alle ore 18, presso l’Auditorium di piazza della Libertà, a Bergamo, si svolge l’incontro Metamorfosi e meraviglia: L’Adone 1623-2023. Musica, parole e immagini per i 400 anni del capolavoro della poesia barocca italiana, promosso dall’Università degli Studi di Bergamo in collaborazione con la Biblioteca Angelo Mai e l’Ateneo di scienze, lettere ed arti di Bergamo.

Oltre alla curatrice Clizia Carminati, intervengono Francesco Rossini, Giovanni Carlo Federico Villa, Marco Bernuzzi e Elisabetta Olivadese. A corredo dell’iniziativa, letture, intermezzi musicali e una mostra virtuale ospitata sul sito web della Biblioteca.

Ingresso libero. Scarica la locandina con tutte le informazioni.

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Marino e l’Adone alla Mai

400 anni tra metamorfosi e meraviglia

A distanza di quattro secoli dalla pubblicazione, l’Adone continua a essere una fonte di incanto per la sua ricchezza e per lo stile peculiare del suo autore. Questa mostra, nata in accompagnamento alla giornata dedicata al poema dall’Ateneo di Scienze Lettere e Arti e dall’Università degli studi di Bergamo, intende indagare la ricezione di Marino e la fortuna dell’Adone nei fondi della Biblioteca Angelo Mai attraverso i libri posseduti da personaggi di spicco della comunità locale e l’illustrazione del vasto patrimonio testuale e iconografico che fa da sfondo al poema più lungo della nostra letteratura.

La mostra è divisa in tre sezioni: una panoramica sulle opere di Marino, una sezione di approfondimento sull’Adone e una ricostruzione della polemica seicentesca sul poema.

Le opere di Giovan Battista Marino

Giovan Battista Marino (Napoli, 1569-1625) inizia la sua formazione letteraria a contatto con gli ambienti accademici e cortigiani della città partenopea, dove incontra anche un anziano Torquato Tasso e conosce quello che sarà il suo principale rivale, il poeta Tommaso Stigliani. In seguito a problemi giudiziari si rifugia a Roma, in un ambiente culturale ricco e vivace che gli permette di stringere importanti relazioni. Da lì prende avvio una fulgida carriera poetica, prima al servizio del cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di papa Clemente VIII, poi alle corti di Torino e di Parigi. Per vent’anni la sua officina letteraria è in continuo fermento e Marino è sempre pronto a cimentarsi con generi e stili differenti: dalla poesia amorosa a quella encomiastica, dalla prosa sacra al poema epico. Tuttavia, il progetto che accompagna gran parte della sua vita è l’Adone. Nella sua parabola poetica, Marino dimostra di possedere un ingegno versatile e una straordinaria capacità di padroneggiare il linguaggio, di sperimentare, di spingersi oltre i limiti imposti dalla tradizione e di attingere a un vasto patrimonio di letture e di generi. Tutto questo seguendo sempre un chiaro programma: «La vera regola, cor mio bello, è saper rompere le regole a tempo e luogo».

Il ritratto calcografico di Marino è stampato nella raccolta postuma delle Lettere (Venezia, Giacomo Scaglia, 1627). Il disegno è del pittore bolognese, e amico di Marino, Giovanni Luigi Valesio, che si ispirò al ritratto di Marino dipinto da Simon Vouet.

La Lira

L’esordio poetico di Marino è del 1602 con la pubblicazione delle due parti delle Rime, che riscuotono un largo successo di pubblico. La prima parte della raccolta è divisa in sezioni tematiche: rime amorose, boscherecce, marittime, eroiche, lugubri, morali, sacre e varie, con una parte conclusiva di Proposte e risposte, cioè di scambi con altri poeti. La seconda invece raccoglie Madriali e canzoni senza distinzioni di temi. La raccolta poetica così strutturata si poneva in netta rottura con la tradizione avviata dal Canzoniere petrarchesco, mettendo da parte la forma-racconto e privilegiando i temi e le occasioni. A distanza di più di un decennio, nel 1614, Marino pubblica la terza parte delle rime con il titolo di Lira, aggiungendo ulteriore materiale alla raccolta originaria. Già nel giudizio dei contemporanei la poesia mariniana brillava per «arguzie», «vivezze» e «ardimenti», per l’acuta capacità di servirsi dei prelievi dalla tradizione dando loro un nuovo significato e di ricamare immagini ardite attraverso l’uso sapiente della metafora.

Lontananza

Ove ch’io vada, ove ch’io stia talora,
in ombrosa valletta o in piaggia aprica,
la sospirata mia dolce nemica
sempre m’è innanzi, onde convien ch’io mora.
Quel tenace pensier che m’innamora
per rinfrescar la mia ferita antica
l’appresenta a questi occhi e par che dica:
«Io da te lungi, e tu pur vivi ancora?».
Intanto verso ognor larghe e profonde
vene di pianto, e vo’ di passo in passo
parlando ai fiori, a l’erbe, a gli antri, a l’onde.
Poscia in me torno e dico: «Ahi folle, ahi lasso!
E chi m’ascolta qui? Chi mi risponde?
Miser, che quello è un tronco e questo è un sasso».

Il volume reca in frontespizio il timbro del legato acquisito dalla Biblioteca Civica nel 1865. La libreria dei due abati bergamaschi contava 2750 opere (5000 volumi circa) che rispecchiavano le attività professionali e i vasti interessi culturali dei fratelli Bravi: Giuseppe (1784-1865), cultore delle scienze naturali e della filosofia e deputato nel primo Parlamento d’Italia; Carlo (1794-1860), che si dedicò sia a studi scientifici sia all’insegnamento della filosofia.

La Sampogna

La Sampogna è pubblicata a Parigi all’inizio del 1620 e raccoglie otto idilli «favolosi» o mitologici e quattro «pastorali». Il genere all’epoca godeva di larga fortuna, consacrato dalle pastorali di Torquato Tasso e Battista Guarini, perciò lo sperimentalismo di Marino non si esprime tanto nei contenuti, quanto sotto il profilo metrico e prosodico. Il successo della Sampogna è dovuto in larga parte ai suoi paratesti, in particolare a una celebre lettera che Marino indirizza a Claudio Achillini. Nella missiva il poeta si difende dalle calunnie diffuse da Tommaso Stigliani in varie forme ed esprime una compiuta dichiarazione di poetica: a questo testo è consegnata la distinzione tra tradurre, imitare e rubare, nonché l’efficace immagine del metodo con cui Marino si rapporta alla tradizione letteraria classica e moderna, una pesca con il «rampino» in mari che i suoi rivali non sono in grado di navigare.

Orfeo

Così l’amato pegno ottenne e tolse
da le branche di Morte il suo tesoro.
Euridice riebbe, e fuor de l’ombre
seco la trasse a rivedere il sole.
Ma con legge però dura e severa:
che tanto che non giunga a l’aria viva
mai non si volga a rimirarla a tergo.
Ahi, chi le voglie innamorate affrena?
Troppo è d’indugio impaziente, e raro
impetuoso Amor soffre ritegno.

Forse proveniente da una libreria gentilizia o acquistato dall’erudito bibliotecario Agostino Salvioni (Bergamo, 1768-1853), il volume non reca timbri e note di possesso. È certa tuttavia la sua presenza nelle raccolte già nell’Ottocento, come testimoniano il Registro topografico compilato dal 1897 e la sua attuale collocazione di ‘Sala 34 K’ che si è semplicemente sovrapposta a quella antica di ‘Galleria K’. Nel Palazzo della Ragione, nuova sede della Biblioteca dal 1843, il patrimonio librario era stato infatti disposto in un’antisala, nell’ampio Salone delle Capriate, in due piccole sale attigue e in una sovrastante galleria.

La Galeria

Nel corso degli anni, Marino frequenta alcuni dei maggiori artisti del primo Seicento, riuscendo a radunare anche una piccola raccolta personale di disegni e dipinti. Tuttavia, lungi dal riflettere una reale collezione di opere d’arte, la Galeria va considerata un museo immaginario in cui il poeta esprime il suo estro ecfrastico assumendo pitture e sculture come pretesto per il gioco concettistico. I componimenti, per la maggior parte madrigali, descrivono soggetti pittorici storici o mitologici, ritratti, statue, medaglie o incisioni. Il progetto originario prevedeva l’accostamento di versi e immagini, ma i costi proibitivi portarono Marino ad accantonare un’idea tanto ambiziosa. Ciononostante, la Galeria rimane un ideale simulacro dell’oraziano ut pictura poesis, dando forma all’unione delle arti poetiche e pittoriche che una lunga tradizione considerava sorelle.

Arianna di Lodovico Carracci

Del tuo Teseo ti lagni,
ma piangente non piagni,
fanciulla addolorata e sospirosa,
non però lagrimosa.
E pur vegg’io que’ begli occhi soavi
di perle umidi e gravi.
Perché dunque non bagni
de le lagrime belle il mesto viso?
O di saggio pittor ben sano aviso:
non pianger no, che da’ cadenti umori
foran guasti i colori.

Il frontespizio reca il timbro del Liceo di Bergamo. La biblioteca dell’Imperial Regio Liceo, ricca d’incunaboli, cinquecentine e pubblicazioni dei secoli XVII e XVIII e formatasi grazie alle sovvenzioni della Misericordia Maggiore e di due importanti legati (Stanislao Gorini, 1793, e Antonio Bonzi, 1801) fu assegnata alla Biblioteca Civica dal governo austriaco con decreto del 1825, ma effettivamente acquisita nel 1843, quando la sede venne trasferita nel Palazzo della Ragione. Fusa nel patrimonio librario della Civica, contava circa 9.000 volumi, afferenti sia alle discipline umanistiche sia alle materie scientifiche.

La Murtoleide

Intorno al 1608 Marino approda alla corte torinese dei Savoia ed entra ben presto in conflitto con il poeta Gasparo Murtola, che non è in grado di competere con le superiori capacità poetiche del rivale. Per diversi mesi i due si scambiano sonetti ingiuriosi che iniziano a circolare in forma manoscritta nelle Fischiate mariniane e nelle Risate di Murtola. Ma la disputa non si limita al piano poetico perché la sera del 1° febbraio 1609 Murtola attenta alla vita del rivale con diversi colpi di pistola che però non vanno a segno. I sonetti saranno pubblicati solo dopo la morte di Marino e con falsi dati di stampa per aggirare la censura.

Il volume, già annotato in frontespizio con la scritta ‘Franciscis Federighini Studentis Patavij Anno 1690’, reca anche la successiva nota d’acquisto manoscritta ‘Iacobus Carrara emit’. Il conte Giacomo Carrara (Bergamo, 1714-1796) erudito, storico dell’arte e collezionista, è noto per aver istituito in città una Scuola di pittura e una Galleria d’arte (oggi Accademia Carrara) destinata ad accogliere le sue raccolte. Parte della sua collezione libraria fu acquisita dalla Biblioteca Civica nel 1975 ma il volume della Murtoleide giunse in Mai agli inizi dell’Ottocento, poiché è contrassegnato dall’antica collocazione di ‘Salone Loggia’.

Le Lettere

Nonostante tra i progetti di Marino ci sia anche una raccolta epistolare ‘d’autore’, i molti altri cantieri poetici e poi la morte gli impediscono di darla alle stampe. Così nel 1627 l’agente editoriale Giacomo Scaglia, che già si era occupato della pubblicazione di diverse opere mariniane, coordina la stampa della prima raccolta di lettere, raccogliendole direttamente dai destinatari. L’obiettivo è quello di difendere la memoria e la fama di Marino, minacciate dalla proibizione dell’Adone e dagli attacchi di Tommaso Stigliani. Tra i destinatari compaiono letterati di fama, principi e cardinali. In apertura, il ritratto di Marino coronato d’alloro fronteggia la prima missiva che, non a caso, è il noto ragguaglio inviato al Duca Carlo Emanuele di Savoia all’indomani dell’attentato subito per mano di Gasparo Murtola. Coerentemente con gli obiettivi dell’operazione editoriale, in chiusura sono collocati una lettera di Giovan Francesco Busenello di lodi all’Adone e lo scambio epistolare tra Claudio Achillini e Girolamo Preti che piangono la morte di Marino con parole rimaste celebri: «Abbiamo perduto le delizie della Poesia, l’ornamento del secolo, il lume de gli ingegni».

La data e il titolo di acquisizione del volume non sono registrati negli atti della Biblioteca, ma è certa la sua presenza nelle raccolte già agli inizi dell’Ottocento, come testimonia la sua collocazione di ‘Salone Loggia P’. Il bibliotecario Agostino Salvioni, ideatore della prima sistemazione organizzata del patrimonio, dispose infatti i volumi nell’ampio Salone delle Capriate del Palazzo della Ragione, nuova sede della Biblioteca dal 1843, seguendo un ordinamento per materie a sua volta identificato da una sequenza alfabetica: dai testi sacri, alla filosofia, alle belle lettere, fino alla storia e alla geografia.

L’Adone

Marino inizia ad assemblare l’Adone già in giovane età. Le prime testimonianze ci dicono di un poemetto in tre canti che narra gli snodi principali del mito ovidiano di Venere e Adone: l’incontro, gli amori e la morte del giovane. Si tratta comunque in un primo momento di una prova ancora marginale, il cui peso cambierà di lì a pochi anni assumendo importanza maggiore a ridosso della partenza per la Francia, intorno al 1614. Nel periodo successivo, l’Adone cresce a dismisura in parallelo a una campagna promozionale che getta le basi per un’accoglienza entusiastica. Al momento della pubblicazione, l’esile trama è arricchita da favole d’ispirazione ovidiana, trame cavalleresche ed episodi tratti da Apuleio, Nonno e altri autori classici e moderni, punteggiati da sezioni encomiastiche, scientifiche e anatomiche. Il poema condensa dunque una materia amplissima servendosi di un ricco reticolo di fonti. La prima sontuosa edizione dell’Adone è pubblicata a Parigi nel 1623 in formato in folio. Sul frontespizio rubricato compare lo stemma di Luigi XIII, a cui il poema è dedicato, mentre gli incipit e gli explicit dei canti sono accompagnati da decorazioni ornamentali con motivi grotteschi.

Canto I, 1-3, invocazione a Venere

Io chiamo te, per cui si volge e move
la più benigna e mansueta sfera,
santa madre d’Amor, figlia di Giove,
bella dea d’Amatunta e di Citera;
te, la cui stella, ond’ogni grazia piove,
te, lo cui raggio lucido e fecondo
serena il cielo et innamora il mondo,

tu dar puoi sola altrui godere in terra
di pacifico stato ozio sereno.
Per te Giano placato il tempio serra,
addolcito il Furor tien l’ire a freno;
poiché lo dio de l’armi e de la guerra
spesso suol prigionier languirti in seno,
e con armi di gioia e di diletto
guerreggia in pace et è steccato il letto.

Dettami tu del giovinetto amato
le venture e le glorie alte e superbe;
qual teco in prima visse, indi qual fato
l’estinse, e tinse del suo sangue l’erbe.
E tu m’insegna del tuo cor piagato
a dir le pene dolcemente acerbe,
e le dolci querele e ’l dolce pianto;
e tu de’ cigni tuoi m’impetra il canto.

La scheda del catalogo storico della Biblioteca che registra questa splendida prima edizione dell’Adone è corredata dalla semplice nota “Dono Varisco”. Nel protocollo della corrispondenza si rintracciano numerose donazioni da parte di componenti di questa famiglia, a partire dal 1858 fino al 1943. È plausibile che questo specifico volume, già collocato nell’antica ‘Antisala’ di Palazzo Vecchio, sia stato donato nel maggio 1871 dal dott. Achille Varisco con “varie opere pregevolissime per rarità bibliografica”, come figura negli Atti della Commissione di Vigilanza. Il volume è particolarmente prezioso perché completo del foglio aggiunto da Marino in corso di stampa al canto VII e caduto in altri esemplari.

Il canto V: i cinque amori infelici e la tragedia di Atteone

Il poema si apre con l’incontro e l’innamoramento di Venere e Adone in una selva dell’isola di Cipro (canti I-IV). Poi gli amanti si dirigono verso il palazzo di Amore, dove il dio narra del suo legame con Psiche. In seguito interviene Mercurio che, attraverso alcuni inserti narrativi, si fa maestro di Adone, raccontando al giovane le storie di cinque amori infelici tra uomini e dei: Narciso, Ganimede, Ciparisso, Ila e Attide. Questi ‘racconti secondi’ hanno una funzione didascalica e ammonitrice, poiché indicano ad Adone qual è il comportamento da seguire quando si stringe un legame amoroso con una divinità.

Narciso (V, 26-27)

La ninfa Eco si innamora del giovane e bellissimo Narciso che, nella sua superbia, rifiuta la fanciulla. Con il cuore spezzato, Eco si rifugia in boschi e valli solitarie, piangendo il suo amore non corrisposto fin quando di lei non rimane che la voce. Impietosito dai lamenti, un gruppo di vergini implora Amore affinché Narciso provi lo stesso dolore. Così, quando si imbatte in uno specchio d’acqua e vi scorge il proprio riflesso, il giovane si innamora di sé stesso. Non pago di questo amore impossibile, Narciso si sporge nello stagno fino a cadervi dentro e a rinascere nella forma del fiore che porta il suo nome

La contempla e saluta e tragge, ahi folle,
da mentito sembiante affanno vero.
Egli amante, egli amato, or gela, or bolle,
fatto è strale e bersaglio, arco et arciero.
Invidia a quell’umor liquido e molle
la forma vaga e ’l simulacro altero
e, geloso del bene ond’egli è privo,
suo rival su la riva appella il rivo.

Mancando alfin lo spirto a l’infelice,
troppo a sé stesso di piacer gli spiacque.
Depose a piè de l’onda ingannatrice
la vita e, morto in carne, in fior rinacque.
L’onda che già l’uccise or gli è nutrice,
perch’ogni suo vigor prende da l’acque.
Tal fu il destin del vaneggiante e vago
vagheggiator de la sua vana imago.

Il volume da cui è tratta l’immagine è una silloge illustrata dei più celebri miti delle Metamorfosi di Ovidio. L’impostazione del testo, che reca un’illustrazione accompagnata da un distico in latino e in tedesco, si rifà alla tradizione degli emblemi, ovvero un particolare tipo di libro illustrato composto da immagini simboliche il cui significato veniva sciolto dal testo di accompagnamento. In questa edizione delle Metamorfosi manca il livello simbolico tipico degli emblemi, ma si conserva la struttura della pagina.

Ciparisso (V, 62-63)

Anche Ciparisso è un giovane bellissimo, amato da Apollo. La sua compagnia prediletta è un cervo docile e mansueto che un giorno egli uccide per errore mentre è a caccia. Affranto per la perdita, Ciparisso implora Apollo di poter piangere per sempre. Il dio lo trasforma quindi in un albero di cipresso, la cui resina ha la forma delle lacrime.

Poi che perfido io stesso e malaccorto
di propria man d’ogni tesor m’ho privo
e perduta ogni gioia, ogni conforto,
lieti oggetti e giocondi aborro e schivo,
fa’, prego, o ciel, senza il mio ben ch’è morto,
ch’io fra tanto dolor non resti vivo;
fa’ ch’io non senta almeno e che non miri
se non feretri e lagrime e sospiri».

Apena egli ha vigor d’esprimer questo,
che la pelle gl’indura e ’l busto ingrossa.
Sorge piramidal tronco funesto,
rozo legno si fan le polpe e l’ossa.
Verdeggia il crin frondoso e quanto al resto
tutta da lui l’antica forma è scossa.
Funeral pianta e tragica diviene
e, quant’uom desiava, arbore ottiene.

Atteone (V, 143)

Il canto V si chiude con una rappresentazione teatrale che inscena il mito di Atteone: il giovane cacciatore ha l’ardire di spiare Diana al bagno. La dea, irata, lo trasforma in un cervo. Atteone però non si accorge della metamorfosi finché non si specchia nell’acqua, dove viene raggiunto dai suoi cani che, non riconoscendolo, lo sbranano. Lo spettacolo messo in scena da Mercurio per completare la sua opera di ammonizione è ricco di macchine e intermezzi; ciononostante, Adone si addormenta prima della fine, apparentemente senza cogliere il messaggio.

Ciò fatto, il bel teatro ancor si chiude,
poi si vede sgorgar vaga fontana,
dove tra molte sue seguaci ignude
stassi Atteone a vagheggiar Diana.
Et ella con le man leggiadre e crude
gli toglie dopo il cor la forma umana;
con pelo irsuto e con ramose corna
il miser cacciator cervo ritorna.

I canti VI e VII: il giardino del piacere

In questa sezione del poema Venere e Adone attraversano le cinque parti del giardino del palazzo della dea, propedeutiche all’unione matrimoniale e carnale che avverrà nel canto VIII. Ogni sezione è dedicata a uno dei sensi umani, tratteggiati da Marino con precise riprese lessicali dai trattati scientifici dell’epoca e intervallati da digressioni descrittive che fanno da pendant con il senso corrispondente.

Il giardino della vista (VI, 32-33)

Il primo giardino attraversato dagli amanti è quello della vista, dove Mercurio illustra il ruolo dell’occhio e il suo funzionamento. Il linguaggio usato da Marino per descrivere l’occhio è preciso e tecnico, con ripresa puntuale del più aggiornato lessico scientifico: termini quali membrana, tunicas, humores, angulus oculi, crystallinus, uvea et choroide tunica sono prelevati dal trattato De visione di Fabrizio D’Acquapendente. Dopo l’elogio dell’occhio, Adone e Venere ammirano le pareti dipinte della loggia che circonda il giardino, offrendo il pretesto per una digressione elogiativa dedicata ai maggiori pittori contemporanei. La carrellata dei dipinti raffiguranti i miti antichi si conclude con la storia di Pavone e Colomba.

O quanto studio o quanta industria mise
qui l’eterno maestro, o quante accoglie
vene, arterie, membrane e ’n quante guise
sottile aragne e dilicate spoglie.
Per quanti obliqui muscoli divise
passano e quinci e quindi e fila e foglie,
quante corde diverse e quanti e quali
versano l’occhio et angoli e canali!

Di tuniche e d’umori in vari modi
havvi contesto un lucido volume,
et uva e corno e con più reti e nodi
vetro insieme congiunge, acqua et albume;
che son tutti però servi e custodi
del cristallo, onde sol procede il lume;
ciascun questo difende e questo aiuta,
organo principal de la veduta.

Il trattato anatomico da cui è tratta l’immagine è forse uno dei più noti lavori del medico Girolamo Fabrici. In questo lavoro tripartito Fabrici riordina le conoscenze anatomiche sulla vista, la voce e l’udito dai tempi antichi alla modernità, soffermandosi in particolare sulla descrizione degli organi e sulla loro funzione. Ciascuna delle tre sezioni si chiude con una serie di tavole illustrate che rappresentano non solo gli organi umani, ma anche quelli animali.

L’elogio della passiflora (VI, 141-142)

Il giardino successivo è quello dell’odorato. Anche qui Mercurio descrive con minuzia di particolari il funzionamento dell’organo preposto, ovvero il naso. Poi Venere e Adone ammirano la varietà dei fiori profumati che popolano il giardino: rose, violette, tulipani, gigli, fiordalisi e ogni genere di pianta odorosa. La sezione culmina con l’elogio della granadiglia, o passiflora, fiore all’epoca associato con la passione di Cristo, soprattutto nella tradizione agiografica ispanica. Il fusto ricordava infatti la colonna della fustigazione; gli stilli i chiodi della croce e la raggiera la corona di spine.

Ahi, qual pennello in te dolce e pietoso
trattò la man del gran pittore eterno?
E con qual minio vivo e sanguinoso
ogni suo strazio espresse et ogni scherno?
Di quai fregi mirabili pomposo
al sol più caldo, al più gelato verno
dentro le tue misteriose foglie
spieghi l’altrui salute e le sue doglie?

Qualor bagnato da’ notturni geli
con muta lingua e taciturna voce,
anzi con liete lagrime, riveli
de’ tuoi fieri trofei l’istoria atroce,
e rappresenti ambizioso ai cieli
l’aspra memoria de l’orribil croce,
per gran pietate il tuo funesto riso
dà materia di pianto al paradiso.

L’opera è una corposa silloge di memorie storiche e ascetiche sulla croce. L’immagine che correda queste ottave è tratta dal secondo libro, nel quale sono raccolti i segni della crocifissione che Dio ha sparso nei cieli, negli animali e nelle piante.

Il giardino dell’udito: l’orecchio e l’usignolo (VII, 15-16, 32-33)

Anche l’ingresso nel giardino dell’udito è accompagnato da una digressione anatomica dedicata all’orecchio, l’organo indispensabile per apprezzare la poesia e la musica: anche in questo caso Marino si serve di un lessico preciso, con ripresa dei termini latini che indicano le parti anatomiche incus, malleus, tympanum. Segue poi una rassegna della famiglia degli uccelli, entro la quale si trova la celebre storia dell’usignolo.

Scorre là dov’è poi tesa a quest’uso
di sonora membrana arida tela;
quivi si frange e purga e quivi chiuso,
agitando sé stesso, entro si cela,
e tra quelle torture erra confuso
finch’al senso commun quindi trapela,
de la cui region passando al centro
il caratter del suon vi stampa dentro.

Concorrono a ciò far d’osso minuto
et incude e triangolo e martello,
e tutti son nel timpano battuto
articolati et implicati a quello;
et a quest’opra lor serve d’aiuto
non so s’io deggia dir corda o capello,
sottil così che si distingue apena
se sia filo o sia nervo, arteria o vena.

Ma sovr’ogni augellin vago e gentile
che più spieghi leggiadro il canto e ’l volo,
versa il suo spirto tremulo e sottile
la sirena de’ boschi, il rossignuolo,
e tempra in guisa il peregrino stile
che par maestro de l’alato stuolo.
In mille fogge il suo cantar distingue,
e trasforma una lingua in mille lingue.

Udir musico mostro, o meraviglia,
che s’ode sì, ma si discerne apena,
come or tronca la voce, or la ripiglia,
or la ferma, or la torce, or scema, or piena,
or la mormora grave, or l’assottiglia,
or fa di dolci groppi ampia catena,
e sempre, o se la sparge o se l’accoglie
con egual melodia la lega e scioglie.

Ulisse Aldrovandi è stato il più celebre naturalista del Rinascimento, noto soprattutto per aver fondato uno dei primi musei di storia naturale. L’Ornithologiae, da cui è tratta l’illustrazione dell’usignolo, è una sezione dell’ampio progetto di enciclopedia naturale a cui si dedicò per buona parte della sua vita e che solo parzialmente fu pubblicata dopo la sua morte.

Il canto XIX: Adone trasformato in anemone (XIX, 416-417, 420)

Dopo una lunga serie di peripezie, il tragico destino di Adone si appresta a compiersi: Marte, geloso dell’amore di Venere per il giovane, con l’aiuto di Diana suscita la furia di un cinghiale che, innamoratosi di Adone, lo azzanna nel tentativo di baciarlo. Venere assiste impotente alla morte dell’amato e per rendere immortale la sua memoria ne trasforma il cuore in anemone. Si realizza così l’annuncio fatto nel primo canto del poema: «smoderato piacer termina in doglia».

«Farò dunque al mio ben l’istesso onore
che fece Apollo al suo fanciullo ucciso,
che non fu certo il mio gentile ardore
di Giacinto men bel né di Narciso.
E poich’ei fu d’ogni bellezza il fiore,
e di fiori ebbe adorno il seno e ’l viso,
e mi fu tolto in su l’età fiorita,
vo’ che, cangiato in fior, ritorni in vita.

Tra i fiori, o fiore, il primo pregio avrai,
torrai lo scettro a la mia rosa ancora;
vinti saran da te quanti giamai
Clori in terra ne sparse, in ciel l’Aurora;
ornamento immortal de’ miei rosai,
perpetuo onor de la vezzosa Flora,
nova pompa del prato e del terreno,
novo fregio al mio crine et al mio seno».

[…]

Poi che così parlò, di nettar fino
pien di tanta virtù quel core asperse,
che tosto, per miracolo divino
forma cangiando, in un bel fior s’aperse,
e nel centro il piantò del suo giardino
tra mille d’altri fior schiere diverse.
Purpureo è il fiore et anemone è detto,
breve come fu breve il suo diletto.

La condanna e la polemica

Nello stesso anno in cui l’Adone è pubblicato a Parigi, Marino ne fa stampare un’altra edizione a Venezia, intervenendo su alcune sezioni nel tentativo di attenuare i rischi che sarebbero derivati dai passaggi più problematici agli occhi dell’Inquisizione. Il problema principale del poema non era tanto la presenza pervasiva della lascivia, ma l’aver trattato talvolta la materia profana con un lessico sacro: ad esempio, Venere è invocata come «santa madre d’Amore» con evidente richiamo alla Madonna e il tempio della dea è descritto come una chiesa. In seguito alla denuncia alla Congregazione dell’Indice, il poema viene proibito donec corrigatur (cioè fino alla correzione) il 17 luglio 1625. Nel frattempo Marino era morto nel marzo di quell’anno, dunque non poteva farsi carico della correzione. I membri della romana Accademia degli Umoristi, di cui il poeta era stato principe, si assumono l’onere della revisione, ma il tentativo è ritenuto insufficiente e il 4 febbraio 1627 l’Adone è giudicato incorreggibile e definitivamente iscritto nell’Indice dei libri proibiti.

L’Indice dei libri proibiti, compilato dalla Congregazione dell’Indice, raccoglie i libri e gli autori proibiti dalla Chiesa per la pericolosità del loro contenuto dal punto di vista dottrinale e morale.

L’Occhiale

Sempre nel 1627, Tommaso Stigliani pubblica la prima opera critica contro l’Adone. Stigliani era stato legato a Marino da una giovanile amicizia, sfociata in aperta e agguerrita rivalità all’incirca nel 1619, in seguito alla pubblicazione da parte dello stesso Stigliani di alcune stanze offensive contro l’avversario nel poema il Mondo nuovo, dedicato alla scoperta dell’America. Dopo aver letto l’Adone e averlo trovato pieno di errori, Stigliani prepara nel suo Occhiale un’analisi minuta del poema di Marino, mettendo in luce tutte quelle che a suo giudizio erano trasgressioni alla norma poetica. Stigliani organizza il discorso con una struttura in tre parti ben precisa: nella prima sezione riassume i precetti che regolano il buon poema eroico sulla base della tradizione aristotelica e dimostra che l’Adone non rispetta alcuna di queste regole; nella seconda sezione, passa in rassegna le singole ottave e ne individua gli errori (furti, incoerenze nel comportamento dei personaggi, uso di parole non toscane, passaggi eccessivamente lascivi, …); la terza sezione è infine composta da una serie di tavole lessicali in cui sono elencate tutte le parole che non rispecchiano l’uso toscano e i versi «bassi», che provocano un abbassamento dello stile. Stigliani non guarda l’Adone con occhi liberi da pregiudizi ed è perciò inevitabile che nell’Occhiale si sovrappongano il piano letterario e quello personale, dando al lettore l’impressione di una critica spesso pretestuosa ed eccessivamente intransigente. Tuttavia l’intervento di Stigliani non è privo di intelligenza e acume: a lui si deve infatti il riconoscimento di fonti e modelli narrativi, nonché una lucida messa a fuoco degli snodi problematici che furono alla base della condanna del poema da parte della Congregazione dell’Indice.

Erede della poetessa e accademica Paolina Secco Suardo e sodale di Carlo Marenzi nel suo viaggio in Italia, il conte Leonino (1798-1878) fu personaggio di rilievo della vita culturale bergamasca dell’Ottocento, attivo nell’ambito delle principali istituzioni cittadine. Con la Commissione di vigilanza della Biblioteca Civica, partecipò ai lavori di trasferimento e di riordino delle raccolte librarie nel passaggio alla sede ottocentesca del Palazzo della Ragione e s’impegnò nella redazione del Regolamento e del primo catalogo generale della Biblioteca. Elargì donazioni in vita di monete antiche e di opere rare, tra le quali spicca il Taccuino di disegni di Giovannino de’ Grassi, e provvide a una donazione testamentaria di volumi a stampa e manoscritti.

Le difese dell’Adone

L’attacco di Stigliani provoca la pronta reazione dei sostenitori di Marino che si impegnano a difenderne la memoria e la fama. Il primo a pubblicare la sua Difesa dell’Adone in due parti nel 1629-1630 è l’erudito Girolamo Aleandro. Seguono nei medesimi anni l’Occhiale appannato di Scipione Errico (1629) e le due risposte sotto pseudonimo di Nicola Villani, l’Uccellatura di Vincenzo Foresi (1630) e le Considerazioni di Messer Fagiano (1631).

Giuseppe Locatelli (1872-1951), teologo, storico e bibliofilo, direttore della Biblioteca Civica dal 1927 al 1938 e priore della basilica di Santa Maria Maggiore, lasciò a quest’ultima la sua ricchissima biblioteca personale. Per la sua preziosità bibliografica, la raccolta fu posta sotto tutela ministeriale e acquistata dal Comune di Bergamo nel 1958. Formata da circa 30.000 volumi editi nel Seicento e nel Settecento, con una prevalenza di testi di religione e filosofia, di classici greci e latini e di letteratura italiana, la preziosa raccolta conteneva anche 24 manoscritti, 197 incunaboli e 1.700 cinquecentine.

Dell’estensore della nota di possesso che appare in frontespizio non si conoscono i dati biografici ma, dall’antica segnatura del volume, si può dedurre che la presenza in biblioteca dell’opera del Villani risalga all’Ottocento avanzato. Nella Sala 1° del Palazzo della Ragione, originariamente destinata ad accogliere le opere di giurisprudenza e gli incunaboli (edizioni del XV secolo), trovarono posto successivamente anche opere di altre discipline ed epoche che vennero collocate nella loggia sovrastante.

L’opera è conservata nella pregiata Raccolta Tassiana poiché contiene un approfondimento critico sulla Gerusalemme Liberata (pp. 669-688). Iniziata già nel XVIII secolo grazie a un nucleo di opere tassiane del cardinale Giuseppe Alessandro Furietti, la raccolta speciale si arricchì nei secoli successivi con il fondo dell’abate Pier Antonio Serassi, acquistato nel 1869, e con il fondo dell’avvocato e colto bibliofilo Luigi Locatelli, ricevuto in dono nel 1922 e nel 1932. Il volumetto, stampato con bella varietà di caratteri (corsivo, ebraico, greco e romano), è mancante delle ultime otto pagine a stampa, il cui testo è stato tuttavia risarcito con una puntuale redazione manoscritta.

Giovanni Capponi e Andrea Barbazza scrivono invece Le Staffilate (1629) e Le Strigliate (1630 ca.), due raccolte di composizioni in versi, assai violenti e ingiuriosi, che colpiscono personalmente Stigliani più che l’Occhiale.

Negli ultimi anni del XVIII secolo, in seguito alle soppressioni napoleoniche delle congregazioni religiose, furono aggregati alla biblioteca pubblica della città i libri delle rispettive biblioteche «e quella specialmente, assai ragguardevole, e tutta intiera, de’ monaci Benedettini di San Paolo d’Argon». Così scrive il bibliotecario Agostino Salvioni che s’incaricò di riordinare, catalogare e conservare nelle migliori condizioni il copioso e ricco patrimonio delle biblioteche monastiche e conventuali del territorio. È importante infine ricordare che Angelo Grillo, poeta contemporaneo a Marino, cui si deve una importante lettera sulle prime Rime, fu abate di San Paolo d’Argon e vi dimorò dal 1617 al 1620.esto

In anni più tardi si collocano invece gli ultimi interventi di Angelico Aprosio, a cui si devono la Sferza poetica (1643), l’Occhiale stritolato (1642), il Buratto (1641) e il Veratro (1645-1648). La polemica imperversa quindi per diverso tempo, sempre seguita da vicino da Stigliani, che studia attentamente i testi dei suoi avversari apponendo numerose postille agli esemplari in suo possesso (e oggi conservati alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma). Il frutto di queste letture è un tentativo di risposta che però è rimasto manoscritto e inedito. Nel complesso non si può dire che l’abbondanza di testi corrisponda anche a un pari apporto critico, tuttavia l’Occhiale, insieme alle risposte, costituisce la prima linea interpretativa del poema e il punto di partenza per comprenderne la fortuna e la sfortuna.

Mostra virtuale a cura di
Federica Chiesa
Lorenza Maffioletti

Promossa da

Università degli Studi di Bergamo (Dipartimento di Lettere, Filosofia, Comunicazione)
Progetto finanziato nell’ambito del bando di Ateneo per iniziative di Public Engagement 2023


Ateneo di Scienze, Lettere, Arti di Bergamo

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Mercatino vintage

Domenica 1 ottobre 2023, dalle 10 alle 19, il portico antistante la Biblioteca ospita un nuovo appuntamento con il ‘mercatino vintage‘ organizzato da Inner Wheel Bergamo con lo scopo di raccogliere i fondi necessari al riallestimento del giardino interno della Biblioteca, che si affaccia sul lato nord dell’edificio.

Dopo il successo delle due precedenti edizioni, torna quindi l’opportunità di acquistare manufatti di qualità offerti dalle associate del Club bergamasco. Ma non solo: all’interno dell’Atrio scamozziano, che rimarrà aperto per l’occasione, a fronte di una modica offerta a favore dell’Associazione Amici della Biblioteca Angelo Mai, sarà possibile prelevare un pacco a sorpresa contenente libri doppi che la Biblioteca non conserva.

Nell’Atrio è allestita fino al 7 ottobre la mostra Che tipi a Bergamo e Brescia! I più antichi libri a stampa testimoni di una rivoluzione, realizzata in parallelo con analoga esposizione alla Biblioteca Queriniana di Brescia.

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Che tipi a Bergamo e Brescia!

I più antichi libri a stampa testimoni di una rivoluzione

Atrio scamozziano
30 giugno – 7 ottobre 2023

Ingresso libero durante gli orari di apertura della Biblioteca

Inaugurazione venerdì 30 giugno ore 18.00

Visite guidate giovedì 31 agosto, 7, 14, 21, 28 settembre, 5 ottobre, ore 16.30-17.30

In questo anno 2023 di Bergamo-Brescia Capitale italiana della cultura, le principali biblioteche di conservazione delle due città, la Biblioteca Angelo Mai e la Biblioteca Queriniana, nate entrambe nel Settecento, propongono al visitatore un duplice itinerario nel mondo dei libri del secondo Quattrocento, alle origini della stampa a caratteri mobili, indubbiamente uno dei periodi più vivaci per la storia del libro e delle biblioteche.
La Biblioteca Angelo Mai, ricca di un patrimonio di 1700 incunaboli – così sono chiamati i libri pubblicati nel XV secolo – intende qui valorizzare questa cospicua eredità, acquisita grazie alle antiche soppressioni di conventi e monasteri locali, ma anche a trasferimenti istituzionali, donazioni, acquisti oculati.
Si vuole mettere in luce la ricca circolazione di libri a stampa avvenuta a quell’epoca nel territorio bergamasco, che vede fra i principali protagonisti l’erudito Giacomo Filippo Foresti, un frate agostiniano che pubblicò importanti monografie e fu attivissimo nella compravendita di libri dando così slancio alla biblioteca del Convento di S. Agostino, all’epoca una delle più ricche in città.
Attraverso questo percorso il visitatore è invitato a esplorare le tecniche di produzione del libro antico: l’utilizzo dei caratteri mobili e del torchio, la stampa e la fascicolazione dei fogli, la realizzazione della decorazione e il confezionamento della legatura, fino a comprendere cosa significhi leggere, scrivere, fare cultura con la nuova rivoluzionaria arte tipografica che lo stesso Foresti non esitò a definire «non humana ma più presto divina et da Dio mandata».

Gli incunaboli della Biblioteca Civica Angelo Mai

Il cardinale Giuseppe Alessandro Furietti, nel 1760, lascia alla città di Bergamo la propria libreria che si aggiunge al nucleo di libri presente nella sede municipale di Palazzo Nuovo. La Biblioteca apre al pubblico attorno al 1770.
Il 22 maggio 1797 la municipalità di Bergamo incamera la biblioteca del Capitolo della Cattedrale e forma un’unica biblioteca cittadina, che si arricchisce ulteriormente con le soppressioni degli enti ecclesiastici in età napoleonica.
Nel 1800 al bibliotecario Agostino Salvioni viene affidato il compito di risolvere il disordine in cui la biblioteca si trova, e prende forma la collezione di incunaboli, presenti in biblioteca, già allora, in circa milleduecento esemplari.
In questi anni partecipa attivamente alla vita della biblioteca Leonino Secco Suardo che con l’aiuto del cugino Bartolomeo compila il Catalogo generale della Pubblica Biblioteca Comunale della Regia Città di Bergamo, completato nel 1856.
Sono opera di Luigi Chiodi, direttore dal 1957 al 1978, il riordino e la catalogazione del patrimonio, la pubblicazione nel 1966 dell’Indice degli incunabuli della Biblioteca Civica di Bergamo.
Allo “storico catalogo” a schede si aggiungono a partire dal 1977 le acquisizioni nella base dati SBN (Catalogo collettivo delle Biblioteche italiane).
L’accesso al documento, che in passato avveniva attraverso la consultazione di cataloghi cartacei, oggi si realizza anche tramite strumenti informatici che ne consentono il raggiungimento in modo sempre più preciso e puntuale.

Le origini della stampa a caratteri mobili

La stampa a caratteri mobili è stata inventata nella cittadina tedesca di Magonza da Johannes Gutenberg nei primi anni ’50 del Quattrocento. Gutenberg era alla ricerca di un metodo che gli consentisse di riprodurre meccanicamente un elevato numero di copie di uno stesso testo mantenendosi fedele all’aspetto del libro manoscritto. Dopo varie esperienze completò la stampa, entro l’autunno del 1454, di una monumentale bibbia detta Bibbia delle 42 linee, in ca. 180 esemplari, parte dei quali su pergamena. Nel giro di una quindicina di anni, l’arte tipografica si diffuse in molte città europee: in Italia troviamo le primissime testimonianze già a partire dal 1463. La tecnica consiste nel creare dei punzoni in acciaio temperato con, all’estremità, i singoli caratteri sporgenti e perfettamente a livello fra loro. Essi vengono poi impressi con forza in matrici di rame in modo da lasciarvi dei solchi, riempiti a loro volta da una lega metallica fusa che, a solidificazione avvenuta, dà origine ai singoli caratteri mobili. In fase di stampa, questi vengono allineati in parole e frasi in un’apposita forma destinata a contenere il testo – in una o più colonne – di ogni lato del foglio da stampare. Dopo l’inchiostrazione con appositi mazzi, la forma e il foglio teso in un telaio di legno sono portati al torchio e fatti scorrere fino a posizionarsi sotto la platina che, con un colpo di leva, comprime il foglio sulla forma lasciando l’impronta dei caratteri sulla carta (più raramente sulla pergamena). A fine giornata, si riuscivano a produrre ca. 300-350 fogli per ogni torchio. Dalla fine del XV secolo il sapere universale, sia umanistico sia scientifico, assunse la veste del libro a stampa. Per testimoniare appieno la produzione culturale nelle lingue originali, furono prodotte anche serie di caratteri diversi dall’alfabeto latino come l’ebraico e il greco.

  • Aristotele, Ethica ad Nicomachum, in latino, Strasburgo, Johann Mentelin, prima del 10 IV 1469 – segnatura: INC 4 329
  • Giovanni Crastone, Lexicòn katà stoichéion, in greco e latino, Modena, Dionigi Bertocchi, [1499-1500] – segnatura: INC 4 215
  • Johann Engel, Astrolabium planum, in latino, Augusta, Erhard Ratdolt, 1488 – segnatura: INC 3 98

L’allestimento del libro: bifogli, fascicoli, legature

Agli albori della stampa il torchio manuale consentiva di imprimere testo e immagini su di un solo foglio per volta, tante volte quante le copie da realizzare. I primi prodotti tipografici furono semplici fogli volanti di questo tipo, da affiggere, distribuire o conservare come documenti personali: cedole di indulgenza e bandi ufficiali, prove di stampa e cataloghi librari, lunari e immagini sacre, stampati talvolta sulla sola metà di un foglio.
Il foglio piegato a metà, o bifoglio, era l’unità elementare su cui si articolava la struttura del libro: più bifogli sovrapposti e ripiegati formavano il fascicolo. Dato che testi lunghi occupavano più bifogli, per garantire la corretta successione del testo ogni bifoglio era contrassegnato da una lettera – indicante la posizione del fascicolo nel volume – e da un numero progressivo – che indicava quella del bifoglio nel fascicolo. Per i volumi di piccolo formato, ottenuti piegando ulteriormente il bifoglio di partenza, la rifilatura oltre a eliminare le irregolarità della carta lungo i bordi (le barbe) recideva anche i margini esterni in corrispondenza delle piegature, rendendo le carte sfogliabili (intonsi, non tagliati, sono propriamente gli esemplari che non conobbero mai questa fase di lavorazione).
Di norma i libri erano venduti in forma di fascicoli sovrapposti in successione ordinata: erano gli acquirenti ad affidare la legatura ad atelier specializzati. In genere, il legatore univa i fascicoli tramite cuciture realizzate su supporti in cuoio, pelle o fibra vegetale, chiamati nervi, a loro volta ancorati ai piatti (i quadranti in legno o carta che aderendo alle carte esterne del volume gli davano corpo e protezione); all’esterno poteva poi essere applicata la coperta, un rivestimento in pelle, carta, pergamena o persino in tessuto, spesso decorata.
Grazie alla natura artigianale dell’operazione, all’interno di una stessa legatura si potevano riunire più edizioni oppure far convivere parti a stampa e manoscritte.

  • Tommaso da Vaprio, Littera indulgentiarum Hospitalis sanctorum Nicolai et Bernardi, Milano?, s.n.t., non post 13 III 1478 – segnatura: INC 1 205
  • Paolo Olmi, Regula S. Augustini, in latino e in italiano,  Roma, Francesco Cinquini, 1479 – segnatura: INC 5 8/3

Illustrazione e musica nel libro a stampa nel secondo Quattrocento

La nascita della stampa a caratteri mobili fu ben presto seguita da quella del libro a stampa illustrato: il primo esempio è una raccolta di favole stampata in Germania nel 1461.
Per i libri di maggior pregio si continuò talvolta ad applicare la tecnica della miniatura, nata per la decorazione del codice manoscritto. Si trattava però di un procedimento piuttosto raffinato e costoso, quindi difficile da riproporre su centinaia di copie. Se si volevano ottenere immagini a colori con un metodo più semplice, si poteva ricorrere all’acquerello. Ciò comportava comunque la necessità di un intervento manuale su ogni esemplare. Un’altra tecnica decorativa ereditata dal manoscritto era quella delle iniziali filigranate, che prevedeva l’utilizzo di inchiostri di due o tre colori diversi: solitamente il nero, il blu e il rosso. Tipica anche l’alternanza di iniziali in blu e in rosso o l’utilizzo dell’inchiostro rosso per interi titoli, le rubriche.
Una tecnica largamente utilizzata per la decorazione del libro a stampa dei primi decenni fu la xilografia, che consiste nell’utilizzo di un blocco di legno nel quale si scavano i contorni dell’immagine con scalpelli e lime in modo da far emergere il disegno in rilievo. A questo punto si cosparge la tavoletta di inchiostro in modo da lasciare l’impronta del disegno desiderato sul foglio, con possibilità di ripetere agevolmente l’operazione. La xilografia fu anche spesso utilizzata per gli esempi in notazione musicale nei metodi e trattati teorici sull’argomento. Molte furono infatti le difficoltà tecniche che si presentarono ai primi stampatori di musica. Per ciò che attiene alla notazione quadrata su tetragramma, tipica della musica monodica, troviamo già soluzioni diversificate che vanno dalla scrittura a mano alla stampa del rigo con l’aggiunta manuale delle sole note, fino alla sperimentazione di caratteri mobili musicali veri e propri, eventualmente in duplice impressione, con la stampa in momenti separati del rigo e delle note.

  • Quinta e sesta allegrezza da Le sette allegrezze di Maria, Ascensione di Cristo e Pentecoste, Italia, fine secolo XV – segnatura: INC 3 339
  • Missale Romanum, Venezia, Giorgio Arrivabene, 1499 – segnatura: INC 1 186

  • Nicolò Burzio, Opuscolum musices, Bologna, Benedetto Faelli, 1487 – segnatura: INC 2 257

Vestire i libri: la legatura a Bergamo tra Quattro e Settecento

In epoca pre-industriale le legature dei libri erano realizzate con un complesso procedimento artigianale, effettuato da mani esperte con svariate tecniche e materiali. Differenti i risultati, costante la funzione: tenere unito il blocco dei fascicoli e proteggere i fogli durante la lettura e quando il volume era riposto – poggiato di piatto – in casse, armadi o scaffali.
Come in molte altre località sono noti centri di realizzazione di legature artistiche, ciascuna caratterizzata da una particolare tecnica o decorazione, anche a Bergamo furono attivi, nel corso dei secoli, atelier specializzati. Nel XV secolo erano diffuse essenziali legature su piatti lignei parzialmente rivestiti di cuoio o pelle allumata, provviste di fermagli di chiusura, comunemente dette monastiche.
Ma poiché spesso le legature tradiscono una fattura anche di molto successiva a quella della stampa dei libri, fra gli incunaboli diverse sono cinquecentesche o hanno comunque subito modifiche nel corso del tempo per iniziativa dei vari proprietari. Nel XVI secolo il rivestimento tende a ricoprire interamente i piatti e ricorrono alcuni elementi decorativi peculiari, soprattutto il ferro di cavallo e una placchetta con un profilo virile. I libri più preziosi erano dotati di elementi metallici (borchie, umboni, cantonali) che proteggevano la coperta dallo sfregamento con altri volumi o con le superfici di appoggio.
Nel Settecento si fa preponderante l’uso dell’oro nella decorazione, che si concentra sui dorsi, a testimonianza dell’ormai consueta collocazione dei libri a scaffale in posizione verticale. A Bergamo un ampio nucleo di incunaboli è ben identificabile dalla presenza di una coperta in carta rossa o marmorizzata a più colori con il dorso decorato a fioroni in oro realizzati con tre o quattro ferri diversi, circostanza questa che tradisce una probabile unica committenza. Fioroni molto simili ricorrono anche nella legatura settecentesca dell’esemplare del Supplementum chronicarum che a suo tempo Giacomo Filippo Foresti vendette al canonico Carlo Boselli, esposto al centro della bacheca grande.

  • Battista Spagnoli detto Mantovano, De patientia, Brescia, Bernardino Misinta, 30 V 1497 – segnatura: INC 5 82
  • Graziano, Decretum, Venezia, [Andrea Torresano], 26 VI 1498 – segnatura: INC 2 2
  • Bonino Mombrizio, Sanctuarium sive Vitae Sanctorum, [Milano, Tipografo del Mombrizio, ca. 1477] – segnatura: INC 1 203
  • Marziano Capella, De nuptiis Philologiae et Mercurii, Modena, Dionigi Bertocchi, 15 V 1500 – segnatura: INC 1 161
  • Orazio, Opera, Venezia, Filippo di Pietro, 18 IX 1479 – segnatura: INC 4 177

Libri interattivi, di scuola e proibiti

I libri quattrocenteschi oggi più spesso conservati – in latino, di tema impegnato e destinati a un pubblico di uomini nobili altamente istruiti, capaci tanto di comprendere i contenuti quanto di apprezzare la decorazione o un’importante legatura – non esauriscono le più variegate manifestazioni della circolazione e dell’uso del libro tra Medioevo e Rinascimento.
Con questa cultura d’élite, in cui si colloca anche il Supplementum chronicarum del Foresti attorno cui si dipana la mostra, convissero tipologie librarie di più largo consumo, veri best-seller della loro epoca che oggi sopravvivono in pochissimi esemplari, come libri liturgici, testi devozionali o romanzi cavallereschi. Ne sono un esempio i libri animati, provvisti di parti mobili con cui il lettore interagisce a fini ludici o pratici: i flap, alette che nascondono una parte del testo o del disegno sottostante, le volvelle, dischi mobili sovrapposti che ruotano attorno a un perno, o ancora strumenti portatili con parti metalliche per misurazioni astronomiche.
Anche i testi di scuola di rado superano le ingiurie dei secoli (e degli studenti!): annotazioni, appunti, il nome di una ragazza, ghirigori e schizzi abbozzati nella noia tradiscono l’insofferenza con cui erano seguite le lezioni dei maestri. I libri passavano poi di mano in mano, all’interno di una stessa famiglia o circolando sul mercato, prima di essere gettati via. Fiorenti botteghe dove si potevano acquistare libri nuovi e usati (come quella di Lorenzo Zambelli in Porta Dipinta dal 1498 al 1527) sono note a Bergamo quando ancora non vi era una stabile tipografia.
Infine, a ridurre i testimoni superstiti, va ricordato che nel Cinquecento la scure della censura ecclesiastica si abbatté sui testi ritenuti non ortodossi. Quelli iscritti nell’Index librorum prohibitorum non potevano essere nè letti nè posseduti: molti andarono distrutti, alcuni vennero conservati illegalmente, altri furono epurati parzialmente, come il Masuccio Salernitano qui esposto, che sopravvisse mutilo e marchiato dalla lapidaria nota manoscritta «proibito».

  • Johannes Müller von Königsberg (Regiomontanus), Kalendarium, Venezia, Erhard Ratdolt , 15 X 1485 – segnatura: INC 5 23

  • Gaspar Veronensis, Grammatica Latina, Brescia, Stazio Gallo, 1475 – segnatura: INC 2 312

  • Masuccio Salernitano, Il Novellino, Venezia, Giovanni e Gregorio de Gregori, 1492 – segnatura: INC 4 184

La sintesi delle fonti nelle opere di Giacomo Filippo Foresti

Negli ultimi decenni del Quattrocento l’agostiniano bergamasco Giacomo Filippo Foresti scrive e affida alla stampa tre opere apparentemente diverse per genere, impostazione e finalità, ma accomunate da un analogo metodo di composizione, tipicamente medievale, che prevede un’accurata lettura delle fonti, una selezione dei contenuti e un loro ampliamento, da cui deriva una summa dello scibile su un dato argomento, per la comune utilità.
Il 7 gennaio 1483, a Bergamo, il frate incarica il tipografo Bernardino Benaglio di stampare una sintesi della storia universale denominata Supplementum chronicarum, in 650 copie (lui stesso ne avrebbe acquistate circa 200, da rivendere in Lombardia). L’opera vide la luce a Venezia il 23 agosto 1483 e riscontrò un successo notevole, tanto che godette di varie edizioni successive, tra cui una illustrata con vignette xilografiche (Venezia 1486) e una ampliata dall’autore con gli eventi degli ultimi decenni (Venezia 1503). Il tedesco Hartmann Schedel vi si ispirò per il suo celebre Liber chronicarum (Norimberga 1493), considerato uno dei libri più belli di sempre.
Il De claris mulieribus (Ferrara 1497) è una raccolta di biografie femminili composta presso la corte estense e dedicata a Beatrice d’Aragona, in cui il Foresti propone una rassegna di 192 profili di donne esemplari del mito, dell’agiografia, della storia e della sua epoca, di cui evidenzia sia le virtù tradizionali, come fede, carità e coraggio, sia, con sensibilità tutta umanistica, la doctrina.
L’ultima opera, probabilmente composta negli ultimi anni del XV secolo a Bergamo, nel convento di S. Agostino, è una guida per l’esame di coscienza intitolata Confessionale, che ebbe varie ristampe fra Quattro e Cinquecento, in latino e in volgare.

  • Giacomo Filippo Foresti, Supplementum chronicarum, Venezia, Bernardino Benaglio, 23 VIII 1483 – segnatura: INC 4 128
  • Giacomo Filippo Foresti, Supplementum chronicarum, Venezia, Bernardino Benaglio, 23 VIII 1483 – segnatura: INC 4 316
  • Giacomo Filippo Foresti, Supplementum chronicarum, Venezia, Bernardino Benaglio, 15 XII 1486 – segnatura: INC 1 88
  • Hartmann Schedel, Liber chronicarum, Norimberga, Anton Koberger per Sebald Schreyer e Sebastian Kammermeister, 12 VII 1493 – segnatura: INC 1 21

  • Giacomo Filippo Foresti, Supplementum supplementi cronicarum, Venezia, Albertino da Lessona, 4 V 1503 – segnatura: CINQ 5 563
  • Giacomo Filippo Foresti, De claris mulieribus, Ferrara, Lorenzo Rossi, 29 IV 1497 – segnatura: INC 4 131
  • Giacomo Filippo Foresti, Confessionale, in latino, Venezia, Bernardino Benaglio, [ca. 1497] – segnatura: INC 2 284/1
  • Giacomo Filippo Foresti, Confessionale, in latino, Venezia, Pietro Quarenghi, [ca. 1510] – segnatura: INC 5 105/1

Jacopo da Balsemo: un miniatore per la città

La data di nascita di Jacopo da Balsemo (o Balsamo) si colloca intorno al 1425. La forma Balsemo potrebbe essere un toponimo indicante l’origine dalla località Balsamo, presso Cinisello, oppure un cognome che non ha alcuna attinenza con il luogo di provenienza.
Il primo riferimento a Jacopo è del 1451, nel Libro degli Estimi, in cui lo si dichiara abitante a Bergamo nella vicinia di S. Andrea e nel 1453 è documentato quale «magistrum miniatorem». Le sue prestazioni artistiche per il Consorzio della MÎA sono molto soddisfacenti e nella sua produzione, oltre ai Libri liturgici per il Coro di S. Maria Maggiore in Bergamo (custoditi presso la Biblioteca Civica Angelo Mai), spicca la decorazione, tra il 1483 e il 1486, di quattro esemplari a stampa del Supplementum chronicarum di Giacomo Filippo Foresti, frate del convento di S. Agostino.
La sua formazione artistica avviene nelle officine milanesi, molto probabilmente nella bottega del maestro delle Vitae Imperatorum, il più famoso miniatore del periodo tardo visconteo.
Caratteristica della sua arte è l’attaccamento alla tradizione: contorna i margini delle pagine con arcaiche foglie d’acanto, contenendo le scene entro un’unica lettera capitale grande che funge da cornice.
Balsemo risulta inserito anche nel circuito di stampatori e librai della città, probabilmente nella sua bottega ci si occupa anche di scrittura e vendita di libri. Tra gli esemplari miniati dal Balsemo del Supplementum chronicarum rimane alla Biblioteca Civica di Bergamo l’incunabolo appartenuto al canonico Carlo Boselli e da lui affidato al Balsemo per la miniatura (INC 4 128), qui esposto nella bacheca grande.

  • Statuta Bergomi, Bergamo, 1453, manoscritto membranaceo – segnatura: Sala I D 9 8
  • Statuta Bergomi, Brescia, Angelo e Jacopo Britannico, [18 XII] 1491 – segnatura: INC 3 36
  • Statuta Bergomi, Brescia, Angelo e Jacopo Britannico, [18 XII] 1491 – segnatura: INC 4 238
  • Marco Fabio Quintiliano, Institutiones oratoriae, Milano, Antonio Zarotto, [9 VI] 1476 – segnatura: INC 4 30
  • Antonino Fiorentino, Summa theologica, parte II, Venezia, Giovanni da Colonia e Johann Manthen, 1477 – segnatura: INC 3 226
  • Bonifacio VIII, papa, Liber sextus Decretalium, Venezia, Nicolas Jenson, [23 XI] 1479 – segnatura: INC 1 15

Bernardino Benaglio: un’eccellenza bergamasca nella tipografia veneziana

Disponibilità economica, intraprendenza e spirito imprenditoriale sono gli ingredienti che portano il giovane bergamasco Bernardino Benaglio a cercare fortuna a Venezia con l’arte tipografica, dove avvia una propria tipografia attorno al 1480 (la prima edizione datata è il Supplementum chronicarum del Foresti, del 23 agosto 1483).
La sua produzione è vastissima ed estesa su un lungo arco temporale, che lo vede licenziare l’ultima edizione nel 1543 e traghettare così, almeno idealmente, la tipografia bergamasca sino a un passo dalle prime edizioni stampate in città da Michele Gallo (1555) e dalle più stabili tipografie di Vincenzo da Sabbio (1577) e Comino Ventura (1578).
Aperto alle innovazioni, Benaglio stampa prodotti di ogni genere: dai classici alle opere devozionali, dai libri liturgici con brani musicali alle xilografie artistiche, da voluminose opere giuridiche e filosofiche a splendide edizioni illustrate.
Inizialmente impiega come contrassegno una marca tipografica che riporta la sua iniziale «B», dal 1494 adotta in modo più sistematico una marca che raffigura san Girolamo, protettore degli studiosi e dei librai.
Tra il 1493 e il 1494 realizza anche quella che può essere considerata la prima collana editoriale della storia: una decina di diversi opuscoli in volgare di contenuto devozionale presentano sulla prima e sull’ultima carta due identiche xilografie che raffigurano in modo simbolico il mistero della Trinità di Dio – Padre, Figlio, Spirito Santo – e della Verginità perpetua di Maria, mentre una terza illustrazione richiama il contenuto specifico di ogni edizione.
Un bell’esempio della sua capacità di interpretare le esigenze di un mercato non solo locale è la società con l’editore Francesco Cartolari, libraio di Perugia che si riforniva a Venezia di libri da vendere nella sua città, centro universitario vorace, ma privo di un’officina tipografica.

  • Eusebio di Cesarea, De evangelica praeparatione, in latino, Venezia, Bernardino benaglio, 31 V 1497 – segnatura: INC 3 143/1
  • Giardino de oratione fructuoso, [Venezia, Bernardino Benaglio], 1494 – segnatura: INC 2 163
  • Lorenzo Giustiniani, Dottrina della vita monastica, [Venezia, Bernardino Benaglio], 20 X 1494 – segnatura: INC 5 27

L’antica biblioteca del Convento di S. Agostino

Con l’arrivo della Congregazione osservante di Lombardia in città (1443), il convento di S. Agostino di Bergamo incontra una stagione di rinascita artistico-architettonica e culturale di cui Giacomo Filippo Foresti è il promotore più attivo e originale. Come lui, compongono opere che finiranno sotto i torchi di città italiane ed europee anche i confratelli Ambrogio da Calepio, autore del celebre Dictionarium, e Paolo Olmi, che già nel 1479 si servì dell’ars imprimendi per garantire circolazione alla sua Apologia religionis fratrum Heremitarum.
Grande impulso deriva dalla fondazione nel convento di uno studium (1460), in cui insieme a logica, filosofia e teologia diventano discipline di studio le arti liberali: i frati possono ora ambire a divenire docti, ma non doctores, alimentando l’attitudine pastorale più che quella speculativa.
Le nuove materie necessitano di testi specifici (fra cui le summae, sintesi e via d’accesso agli argomenti più complessi di ogni disciplina) e così gli Agostiniani allestiscono la loro libreria: quando, tra il 1766 e il 1767, frate Tommaso Verani su incarico della Congregazione di Lombardia lavorerà al riordino dell’antica biblioteca di Bergamo, vi troverà 215 edizioni del XV secolo, numero di poco inferiore alle circa 250 edizioni censite nei conventi di Crema e Milano.
A S. Agostino la tradizione aristotelica convive con quella umanistica: accanto alle auctoritates dottrinali dell’Ordine (Egidio Romano, Alberto da Padova, Giordano di Sassonia e Paolo Veneto) sono ben rappresentati trivio e quadrivio, ma amplificati dalla nuova visione pedagogica umanistica che riabilita la poesia e il teatro, valorizza il ruolo della storia, dell’etica e della politica. Ne sono espressione i libri acquisiti dal Foresti, dei quali lo stesso Foresti risulta lettore, come la Biblioteca storica di Diodoro Siculo e il De orthographia di Tortelli, che connettono il convento alla nuova ratio studiorum dell’Umanesimo, con il ritrovamento di manoscritti perduti, le traduzioni dal greco e la condivisione di un ideale che vede nella conoscenza della storia un elemento di valore che rende l’uomo libero.

  • Alessandro Sermoneta, Super consequentiis Strodi commentum, Padova, N.T.S.P., 20 VIII 1477 – segnatura: INC 2 338
  • Paolo Veneto, Logica, Milano, Domenico da Vespolate e Jacopo da Marliano, 20 X 1478 – segnatura: INC 2 342
  • Giovanni Tortelli, Orthographia, Vicenza, Stephan Koblinger, 13 I 1479 – segnatura: INC 3 23

Mostra a cura di
Maria Giuseppina Ceresoli
Marcello Eynard
Roberta Frigeni
Eleonora Gamba

Comune di Bergamo
Giorgio Gori, Sindaco
Nadia Ghisalberti, Assessora alla Cultura
Elena Pasini, Dirigente Direzione cultura BGBS23,
sport, eventi, partecipazione e commercio
Francesca Giupponi, Responsabile
Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici

Organizzazione e allestimento
Maria Giuseppina Ceresoli
Marcello Eynard
Eleonora Gamba

Progetto grafico
#cartadesign — Dario Carta

Si ringrazia
Maria Elisabetta Manca

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Edizione digitale del Glossario Bergamasco Medievale

Il Glossario Bergamasco Medioevale, costituito da quattro quaderni manoscritti, conservati in Biblioteca con segnatura MMB 23-26, registra oltre 1500 lemmi organizzati alfabeticamente. E’ stato redatto da Antonio Tiraboschi (1838 – 1883), una delle figure più attive e prolifiche sulla scena culturale bergamasca nella seconda metà del XIX secolo, conosciuto soprattutto per il Vocabolario dei Dialetti Bergamaschi Antichi e Moderni, pubblicato nel 1873, strumento di documentazione del patrimonio lessicale bergamasco non più eguagliato per mole, completezza e ricchezza delle fonti.

Il Glossario, che può essere ritenuto l’ideale continuatore del Vocabolario, è rimasto inedito fino ad oggi. Ora, grazie ad un finanziamento Progetto PRIN 2017, coordinato a livello nazionale dalla professoressa Piera Molinelli dell’Università degli Studi di Bergamo, è stata resa disponibile una edizione digitale, interamente consultabile sul web, ad opera di Federica Guerini e Francesco Lo Conte, che si sono avvalsi della riproduzione fornita dalla Biblioteca.

Ampio il repertorio delle fonti, molte delle quali ancor oggi inedite, impiegate a conferma ed esemplificazione dei lemmi del Glossario. Le citazioni sono soprattutto ricavate da pergamene d’archivio, nonché da documentazione statutaria e notarile tardomedievale della città di Bergamo e delle valli bergamasche. Molte annotazioni sono esplicitamente provvisorie: è evidente che lo studioso si proponeva di riprenderle in seguito, completandole e riformulandole ove necessario. La complessiva sistematizzazione del materiale raccolto sarà poi impedita dalle ristrettezze economiche e dal repentino peggioramento delle condizioni di salute del Tiraboschi, che avrà per esito la sua scomparsa, all’età di 45 anni, dopo solo quindici giorni di degenza presso una casa di cura alle porte di Bergamo.

Consulta l’edizione digitale del Glossario.

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Insolita visione

La bibliochiesa di San Michele all’Arco

 

In occasione di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023, l’Associazione Amici della Biblioteca Angelo Mai propone l’iniziativa Insolita visione. La bibliochiesa di San Michele all’Arco, serie di visite guidate gratuite alla ex Chiesa affiancata al lato nord-ovest di Palazzo Nuovo, patrimonio cittadino poco conosciuto, non accessibile al pubblico, che accoglie la maggior parte delle riviste conservate dalla Biblioteca Civica.

Le visite sono settimanali, il sabato mattina dalle 10.30 alle 12.30 a giugno e da settembre a novembre; il venerdì pomeriggio dalle 15 alle 17 nei mesi di luglio e agosto; hanno una durata di circa 30/35 minuti (tre visite ogni giorno per un massimo di 36 persone) e prevedono l’ingresso alla ex Chiesa, dove verrà raccontata la storia dell’edificio, saranno illustrati gli affreschi della cupola realizzati a metà Settecento da Carlo Innocenzo Carloni e, con l’aiuto di un video realizzato appositamente, sarà valorizzata l’insolita visione della spettacolare struttura metallica che occupa l’intero ambiente e di alcune tra le migliaia di riviste ospitate.

Saranno inoltre esposti in visione tre manoscritti dei secoli XIV e XV e due incunaboli, recentemente restaurati grazie al contributo dei Lions Club bergamaschi, preziosa testimonianza del mecenatismo civico della nostra città.

La prenotazione è consigliata: scrivere a info@bibliotecamai.org oppure telefonare al numero 035-399430, indicando nome, cognome, numero di persone, giorno e orario prescelto. Saranno accettati visitatori aggiuntivi, anche privi di prenotazione, fino al raggiungimento del numero massimo di presenze consentite. Questo il calendario:

  • sabato 17 giugno, partenze ore 10.30, 11.10, 11.50
  • sabato 24 giugno, partenze ore 10.30, 11.10, 11.50
  • venerdì 30 giugno, partenze ore 15.00, 15.40, 16.20
  • venerdì 7 luglio, partenze ore 15.00, 15.40, 16.20
  • venerdì 14 luglio, partenze ore 15.00, 15.40, 16.20
  • venerdì 21 luglio, partenze ore 15.00, 15.40, 16.20
  • venerdì 28 luglio, partenze ore 15.00, 15.40, 16.20
  • venerdì 4 agosto, partenze ore 15.00, 15.40, 16.20
  • venerdì 25 agosto, partenze ore 15.00, 15.40, 16.20
  • sabato 2 settembre, partenze ore 10.30, 11.10, 11.50
  • sabato 9 settembre, partenze ore 10.30, 11.10, 11.50
  • sabato 16 settembre, partenze ore 10.30, 11.10, 11.50
  • sabato 23 settembre, partenze ore 10.30, 11.10, 11.50
  • sabato 30 settembre, partenze ore 10.30, 11.10, 11.50
  • sabato 7 ottobre, partenze ore 10.30, 11.10, 11.50
  • sabato 14 ottobre, partenze ore 10.30, 11.10, 11.50
  • sabato 21 ottobre, partenze ore 10.30, 11.10, 11.50
  • sabato 28 ottobre, partenze ore 10.30, 11.10, 11.50
  • sabato 4 novembre, partenze ore 10.30, 11.10, 11.50
  • sabato 11 novembre, partenze ore 10.30, 11.10, 11.50
  • sabato 18 novembre, partenze ore 10.30, 11.10, 11.50
  • sabato 25 novembre, partenze ore 10.30, 11.10, 11.50

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#maididomenica. Antichi libri di medicina e farmacopea

L’apertura straordinaria al pubblico della Biblioteca Civica Angelo Mai per il consueto appuntamento con #maididomenica, nel mese di settembre coincide con le Giornate europee del patrimonio (sabato 23 e domenica 24 settembre 2023), il cui tema, quest’anno, è Patrimonio InVita con un invito alla riflessione su un “patrimonio vivo”.

Alla consueta visita alle sale del Palazzo aperte al pubblico, verrà affiancata un’esposizione guidata di antichi libri di medicina e farmacopea, organizzata in collaborazione con l’Ordine dei Farmacisti della Provincia di Bergamo. Le visite guidate sono due, con partenze alle ore 10.00 e alle ore 11.30: questa seconda, tuttavia, è già al completo, per cui invitiamo il pubblico a prenotarsi per tempo alla prima. Scrivere a info@bibliotecamai.org o telefonare allo 035/399430 – 399431 indicando nome e cognome e numero di partecipanti. Saranno accettati visitatori aggiuntivi anche non prenotati fino al raggiungimento del numero massimo delle presenze consentite.

Grazie a un ricco patrimonio di testi scientifici, la Biblioteca è in grado di offrire in visione opere manoscritte e a stampa che raccontano la storia della farmacopea erboristica e della medicina naturale. Tra di esse, esempio straordinario della felice unione di sapere botanico e splendore delle illustrazioni è il codice di Antonio Guarnerino, noto con il titolo Herbe pincte, redatto nel 1441 nell’ambito della scuola medica dell’Università padovana. 

Scarica il pieghevole di #maididomenica con il programma dei prossimi appuntamenti.

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#maididomenica 2023

Viaggio tra i Tesori della Biblioteca Angelo Mai

Visite guidate gratuite

Nell’anno di Bergamo Brescia Capitale della Cultura non poteva mancare la riproposta di #maididomenica, le visite guidate gratuite alla Biblioteca Civica Angelo Mai offerte al pubblico le ultime domeniche di ogni mese.

Dal 29 gennaio al 10 dicembre, sostenute dall’Associazione Amici della Biblioteca e in dialogo ideale con analoga iniziativa organizzata dalla Biblioteca Queriniana di Brescia, le visite sono suddivise in due parti: nella prima i Bibliotecari, coadiuvati da Volontari e Soci dell’Associazione Amici, illustrano la storia di Palazzo Nuovo, delle sue ornamentazioni e delle sue opere d’arte, e riassumono le vicende della formazione e dello sviluppo della Biblioteca Civica; nella seconda sono offerti in visione diretta, di volta in volta diversi, esemplari rari e di pregio dell’immenso patrimonio librario e documentario conservato dalla Biblioteca.

Due le visite mattutine, della durata di circa un’ora, con partenze alle 10 e alle 11.30. E’ consigliata la prenotazione scrivendo a info@bibliotecamai.org, indicando nome, cognome, recapito telefonico, numero di partecipanti, data e orario prescelto; oppure telefonando allo 035-399430. Sono accettati visitatori aggiuntivi anche non prenotati fino al raggiungimento del numero massimo delle presenze consentite.

Si inizia domenica 29 gennaio con il Viaggio tra i Tesori della Biblioteca Angelo Mai, alla scoperta di alcuni pezzi tra i più preziosi e significativi, dai quali sono state tratte le immagini per il Calendario artistico 2023 curato dall’Associazione Amici. A conclusione della visita, sarà possibile approfittare della presenza dei curatori per una guida alla mostra allestita nell’Atrio scamozziano, dal titolo «Con le vostre divine lettere». Gli epistolari di Bernardo, Torquato ed Ercole Tasso tra manoscritti e stampe.

Scarica il programma con tutte le date.

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Millegradini 2023

Anche quest’anno si rinnova l’appuntamento con la Millegradini, la camminata culturale per le vie, le scalette e le bellezze di Bergamo, giunta alla tredicesima edizione..

La Biblioteca Angelo Mai apre al percorso l’Atrio scamozziano sabato 16 settembre, dalle 8.45 alle 13 e domenica 17, dalle 9 alle 17. I camminatori avranno l’opportunità di visitare l’Atrio e la mostra Che tipi a Bergamo e Brescia. I più antichi libri a stampa testimoni di una rivoluzione, allestita fino al 7 ottobre.

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Visite guidate alla mostra Che tipi a Bergamo e Brescia!

A partire dal 31 agosto 2023, i curatori bergamaschi della mostra Che tipi a Bergamo e Brescia! I più antichi libri a stampa testimoni di una rivoluzione organizzano visite guidate gratuite al percorso espositivo allestito nell’Atrio scamozziano.

Le visite, della durata massima di un’ora, si svolgono tutti i giovedì pomeriggio, dalle 16.30 alle 17.30. Per partecipare è sufficiente prenotarsi scrivendo a info@bibliotecamai.org indicando nome, cognome, recapito telefonico, giorno prescelto (31 agosto, 7, 14, 21, 28 settembre, 5 ottobre) e numero di partecipanti. Chi non possiede contatto e-mail può telefonare al numero 035-399430. Saranno accettati visitatori aggiuntivi fino al raggiungimento del numero massimo di presenze consentite (15).

In Biblioteca è disponibile il catalogo a stampa delle due mostre parallele allestite alla Civica di Bergamo e alla Biblioteca Queriniana di Brescia.