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Nel settembre del 1820 l’avvocato Luigi Fantoni, discendente della dinastia dei celebri scultori di Rovetta, dava alle stampe una edizione della Divina Commedia nella tipografia allestita nella casa dei suoi avi.

Su consiglio del padre, consapevole del declino della professione di famiglia, Luigi conseguì la laurea in giurisprudenza ed esercitò per un breve periodo la professione forense. Appassionato bibliofilo, coltivò gli studi letterari, filosofici e storico-artistici. Durante un soggiorno a Parigi (1811-1814) trovò, fra i preziosi esemplari manoscritti e a stampa provenienti dalle spoliazioni francesi in Italia, un manoscritto della Divina Commedia, conosciuto come Vaticano 3199; il codice, confiscato dai Francesi nel 1797 e trasferito alla Bibliothèque nationale de France di Parigi, fu recuperato nell’ottobre del 1815 e restituito dalla Biblioteca parigina alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Si tratta di un codice membranaceo di 3+80 carte, scritto e decorato nelle iniziali negli anni 1351-1353, che la tradizione vuole di mano autografa di Giovanni Boccaccio e postillato da Francesco Petrarca. L’autenticità dell’autografia è stata messa in discussione già nel corso dell’Ottocento e oggi si ritiene che il codice non sia di mano di Boccaccio, bensì l’antigrafo di due (Toledano 104.6 e Riccardiano 1035) dei tre manoscritti autografi dello scrittore di Certaldo che contengono la Commedia.

Fantoni trascrisse diligentemente il codice e, rientrato a Rovetta, maturò dopo qualche anno la decisione di darlo alle stampe. Con l’acquisto di due torchi (uno per i tipi e l’altro per i rami) e l’invio di caratteri tipografici da Padova, allestì con l’aiuto di uno stampatore e di alcuni apprendisti una vera e propria tipografia nella propria casa. Dai suoi tipi uscirono nel 1820 tre tomi, uno per cantica, stampati in ottavo e in quarto, con edizioni successive poco differenti nella veste tipografica e nei materiali.

La maggior parte degli esemplari posseduti dalla Biblioteca Mai appartengono a questa prima edizione. Sulle copertine compaiono i tre titoli La prima cantica, La seconda cantica, La terza cantica seguiti da una elegante ‘F’ (iniziale di Fantoni) coronata da nove stelle; a piè di pagina è apposta la scritta «A Rovetta in provincia di Bergamo».

Nel frontespizio, presente solo nel primo tomo, il titolo La Divina Commedia di Dante Alighieri manoscritta da Boccaccio è seguito da una marca tipografica che rappresenta un elefantino bardato e circondato da nove stelle (probabile richiamo al patronimico Fantoni – De elefantonibus). Curiosamente le note editoriali in calce non riportano il nome di Luigi Fantoni: compare invece una scritta «Roveta (sic!), Negli occhi santi di Bice, nel 1820» che rimanda probabilmente ai versi del Paradiso riferiti a Beatrice «Sanza risponder, li occhi su levai, / e vidi lei che si facea corona / reflettendo da sé li etterni rai».
Il vero e proprio colophon è posizionato al termine del terzo tomo, dove si può leggere «XIII settembre MDCCCXX/ Pio VII santiss. e gloriosiss. Papa /Felicemente impresso/ nelle case dei Fantoni/».

Il primo tomo presenta anche un’antiporta calcografica con una incisione tratta da un disegno originale di Giuseppe Bossi, proprietà del marchese Trivulzio, raffigurante Dante, Petrarca e Boccaccio in ovali.
La cantica dell’Inferno è preceduta da un’introduzione intitolata Ai cultori del Divino Poeta, in cui Fantoni, dopo aver sostenuto che il testo sia tratto da un autografo di Boccaccio, aggiunge: «Quand’anche fosse quel Codice scritto da qual che siasi copista, preziosissimo tuttavia dovrebbesi riputare tanta ne è la correzione e la costanza dell’ortografia […] e tanto ricco di Lezioni sconosciute, e affatto proprie del Poeta». Le cantiche, una per tomo, sono pubblicate senza alcun commento; alla fine del terzo tomo tre carte non numerate presentano le «Emendazioni proponibili al Codice».

Il grande bibliografo e bibliofilo francese Paul Colomb de Batines così commenta la trascrizione di Luigi Fantoni: «I vocaboli latinamente scritti, le permutazioni di caratteri affini, i fiorentinismi, i raddoppiamenti e le mancanze di lettere, le aspirazioni per lo più trascurate, le moltissime afferesi ed apocopi, e gli errori stessi per fine che si leggono nel Codice, e si leggono pure nella stampa; e sono diligentemente notati dall’editore nella prefazione» e sottolinea poi come Fantoni abbia confrontato il manoscritto vaticano con altri conservati a Bergamo, a Milano, a Firenze, a Vienna e a Montecassino. L’edizione fantoniana in sostanza segue il criterio del codex optimus (il bon manuscript) che quasi cent’anni dopo sarà teorizzato da Joseph Bédier: la pubblicazione filologicamente attentissima di un manoscritto ritenuto all’epoca il più attendibile.

Pochi mesi dopo la prima esperienza editoriale, Luigi Fantoni si rese protagonista di un curioso esperimento tipografico realizzando la stampa delle stesse tirature con uguale formato ma su carte e con caratteri in diversi colori: carta marrone-viola con caratteri bianchi, giallo-oro e arancione; carta giallo scuro con caratteri bianchi; carta giallo scuro con caratteri rossi; carta viola con caratteri gialli. I tomi furono stampati su carta ruvida di scarsa qualità, con tagli non rifilati e coperte spesso prive di titolo, realizzate con fogli di riuso generalmente in carta grigio-verde scuro.

A differenza dell’edizione precedente, tutti e tre i tomi presentano il frontespizio. Fantoni così descrisse il proprio esperimento: «poiché fui sì fortunato che per le mie stampe si pubblicasse la Divina Commedia sul Codice Vaticano 3199… ho stabilito pel grande amore che porto al Divino Poeta, di ornarlo con ornamenti nuovi e svelare così a suo onore, una ricchezza finora nascosta di questa nobilissima arte tipografica che tuttavia indegnamente esercito».

Questi volumi, di cui la biblioteca conserva più di venti esemplari sia nella tiratura ‘classica’ sia in quelle ‘sperimentali’ con carte e inchiostri colorati, costituiscono oggi una preziosità antiquaria ma furono bollati dalla critica contemporanea ortodossa come una ‘edizione infernale’. Di sicuro interesse per gli studiosi anche il fascicolo posseduto dalla Biblioteca intitolato Esperimento calcografico dell’avvocato Fantoni di Rovetta, che contiene alcune prove di stampa e una bozza, con correzioni manoscritte, del testo All’amico dantista nel quale Fantoni annuncia l’edizione, i tempi e i costi dell’impresa.

La Divina Commedia di Dante Alighieri manoscritta da Boccaccio. – Roveta : Negli occhi santi di Bice, 1820 ([Rovetta] : felicemente impresso nelle case dei Fantoni, XIIII settembre 1820). – XXXI, [1], 612,[8] p. ; 8º. – Colophon a carta 39/5r. – Segnatura: [*]⁸ 2*⁸ [1]⁸ 2-13⁸ [14]⁸ 15-25⁸ 26⁶ [27]⁸ 28-39⁸; a carta [*]1v ritratto calcografico di Dante, Petrarca, Boccaccio.

Sfoglia la versione digitale realizzata dalla Biblioteca Nazionale di Firenze.

Alcune collocazioni degli esemplari della Mai:

  • Sala 3 D 8 16/1-3 edizione “classica”
  • Locatelli 6 460 edizione “classica”
  • Salone Cassapanco 3 B 3 1 edizione “classica”
  • Sala 3 B 10 22 edizione “classica”
  • Sala 24 D 9 7 edizione in-quarto
  • 15 R 9 edizione su carta verde
  • Sala 24 C 6 4 edizione su carta scura con caratteri bianchi
  • Sala 24 C 6 5 edizione su carta verde scuro con caratteri bianchi
  • Sala 24 C 6 6 edizione su carta scura con caratteri gialli
  • Salone P 3 18 edizione su carta verde scuro con caratteri bianchi
  • Salone P 3 19 edizione su carta viola con caratteri gialli
  • 15 R 13 edizione su carta viola con caratteri bianchi
  • 15 R 29 7bis fogli in bozza.