La Biblioteca Mai conserva un esemplare della prima edizione italiana dell’opera Monarchia: si tratta di un’elegante e illustrata edizione veneziana del 1758 per l’editore Antonio Zatta. La Monarchia è inserita nella seconda parte del quarto tomo di un’edizione dedicata all’opera omnia del sommo letterato con il titolo Prose, e rime liriche edite ed inedite di Dante Alighieri, con copiose ed erudite aggiunte. Tomo quarto. Parte seconda, In Venezia, appresso Antonio Zatta, 1758.
Come noto, la pubblicazione di Monarchia inclusa nell’edizione dell’Opera omnia di Dante dell’editore veneziano Pasquali (1739-41) riporta in frontespizio le false indicazioni: Dantis Aligherii florentini Monarchia, Coloniae Allobrogum, apud Henr. Albert. Gosse & Soc., 1740. Colpisce la data piuttosto tarda per una prima edizione italiana di un’importante testo dantesco conosciuto e dibattuto dagli intellettuali già dagli anni Venti del Trecento: Dante scrisse infatti quest’opera in un periodo non ben precisato ma collocabile tra gli ultimi anni del Duecento e la sua morte.
La Monarchia affronta temi di filosofia politica riallacciandosi a riflessioni già precedentemente espresse nel Convivio. Dante dedica i tre libri nei quali è suddivisa l’opera ad altrettante questioni. La prima è se la monarchia sia necessaria per la migliore condizione del mondo; la seconda se sia uno stato di diritto il fatto che il popolo romano attribuì a se stesso il compito di monarca; la terza se l’autorità del monarca derivi direttamente da Dio o sia mediata da un ministro o vicario di Dio. Alle prime due questioni la risposta è affermativa: la monarchia è necessaria alla migliore condizione del mondo; il popolo romano attribuì a sé con diritto l’impero. La terza questione è risolta a favore della prima alternativa: l’autorità del monarca deriva direttamente da Dio, e non vi è alcun altro soggetto che sia intermediario (e in particolare non lo è il pontefice).
Dante intende dimostrare che la monarchia universale è il miglior ordine politico per l’intero genere umano, il cui fine, voluto da Dio e conforme al disegno della natura, è quello di raggiungere la realizzazione completa delle sue potenzialità conoscitive e condizione necessaria perché ciò avvenga è che il genere umano si trovi unito in pace e libertà. Ciò che avviene tra gli uomini è conforme al diritto quando coincide con la volontà di Dio. Allo scopo di mostrare che l’autorità del monarca universale deriva direttamente da Dio, si assume che Dio non vuole ciò che è contrario al disegno complessivo della natura. Dante si interroga sulle caratteristiche fondamentali della natura umana ponendosi su un piano filosofico morale prima ancora che politico.
L’editio princeps, ovvero la prima edizione assoluta dell’opera, uscì nel 1559 a Basilea a cura di Johannes Herbst col titolo De monarchia, poi rimasto nella tradizione fino al Novecento. Si tratta di un’edizione importante perché, ci dicono gli studiosi moderni, basata su una fonte manoscritta antica diversa dai 21 manoscritti trecenteschi che riportano l’opera oggi accreditati con valore filologico.
Come si spiega l’assenza di edizioni italiane per i successivi due secoli?
La Monarchia di Dante trattando questioni ‘scottanti’ in relazione al potere spirituale e temporale è stata inserita negli indici dei libri proibiti (cioè di libri che non si potevano leggere e neppure possedere) pubblicati dalla Chiesa di Roma nel corso della seconda metà del Cinquecento a partire da quello di Venezia del 1554 cui seguirono quelli del Sant’Offizio del 1559, 1564 (Indice del Concilio di Trento), 1590 e 1593 ai quali dobbiamo aggiungere quello di Parma del 1580.
L’edizione veneziana del 1758, oltre ad essere di assai pregevole fattura (per la mise en page, la scelta dei caratteri, la qualità della carta, l’apparato decorativo) esplicita anche le fonti di riferimento e il necessario confronto fra di esse a testimonianza di un precoce intento filologico: nell’introduzione si fa riferimento infatti ad una sua edizione comparsa in una vasta opera del filologo, giurista, storico e traduttore tedesco Simon Schard intitolata Syntagma tractatuum De imperiali iurisdictione, authoritate et præeminentia, ac potestate ecclesiastica […] citata in un’edizione postuma di Strasburgo del 1609, ma in realtà già pubblicata a Basilea nel 1566, messa a confronto con un altro antico manoscritto non meglio precisato «in hac nostra locupleti Editione desiderari non sivissemus, auctum non paucis ex antiquissimo perinsigni Codice variantibus lectionibus».
L’edizione è impreziosita da pregevoli incisioni calcografiche talvolta anche a piena pagina come accade con la scena d’insieme scelta per l’antiporta al piede della quale campeggia una terzina tratta dal capitolo diciassettesimo del Paradiso: «Le sue magnificenze conosciute/ saranno ancora sì che i suoi nimici/ non le potran tener le lingue mute» che è un elogio all’imperatore Enrico VII che discese in Italia nel 1311 prima favorito, poi osteggiato dal papa.
L’esemplare della Biblioteca Angelo Mai (segnatura Sala 24 B 8 19/5) si presenta con legatura dell’epoca in cartone ricoperto da un’elegante carta marmorizzata. Il dorso è caratterizzato da doratura in corrispondenza dei nervi in rilievo e dall’enunciazione sommaria di autore, titolo generale della raccolta e indicazione del numero di tomo e volume.