La pubblicità nelle riviste tra Otto e Novecento
nelle raccolte della Biblioteca Angelo Mai
8 luglio – 30 ottobre 2022
Visite guidate tutti i giovedì alle 16.30
Dall’insegna di barbiere nelle vie della Pompei romana alla finestra pop-up che si impone al navigatore del web, la pubblicità permea la nostra vita. La sua lunga storia transita attraverso appuntamenti importanti che ne hanno determinato lo sviluppo e la fisionomia: l’invenzione della stampa a caratteri mobili e il conseguente incremento di circolazione di libri e di periodici, che dalla seconda metà del Seicento si rivelano veicoli ottimali per le informazioni commerciali; la rivoluzione industriale, che con l’incremento della produzione di oggetti d’uso e di consumo in concorrenza tra loro favorisce un benessere economico esteso a fasce di popolazione sempre più ampie e genera nuovi mercati e potenziali acquirenti; l’evoluzione tecnologica avviata alla fine del XVIII secolo, che concretizza, grazie a una resa sempre più raffinata delle immagini a stampa, strumenti di comunicazione immediata in una società pervasa da rapide attività. Questa mostra non ambisce a illustrare la storia della pubblicità ma intende offrire un breve viaggio nella creatività e nell’inventiva, tra marchi sconosciuti e prodotti noti, senza l’assillo di dover resistere alla persuasione dell’acquisto o cedere al fascino del consumo. Le immagini selezionate sono tratte dal ricco patrimonio di periodici editi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento conservati presso la Biblioteca Civica Angelo Mai, in gran parte eredità e memoria della lunga e laboriosa storia dell’Istituto Italiano di Arti Grafiche.
L’illustrazione pubblicitaria per riviste tra Belle Époque e anni Venti
Tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento l’evoluzione della pubblicità a stampa si intreccia con la storia dell’arte e del costume dalle quali emergono nomi di illustratori, di editori e soprattutto di riviste che hanno saputo intercettare e a loro volta veicolare le ambizioni sociali della borghesia emergente durante la Belle Époque, per fissare poi criteri e simboli del progresso e del personalismo tra l’immediato dopoguerra e le soglie degli anni Trenta. Al pari di altre forme di rappresentazione, la pubblicità riflette e plasma sulla scorta degli accadimenti, non arrestandosi nemmeno di fronte agli orrori della guerra, i referenti e gli articoli esposti al bisogno dei consumatori. Il XX secolo si apre sull’onda lunga di una serie di innovazioni e invenzioni tecniche che migliorano sensibilmente la qualità della vita, specialmente della classe commerciale e imprenditoriale che più di ogni altra beneficia della seconda rivoluzione industriale. Anche l’Italia, nel pieno dell’età giolittiana e sull’onda delle innovazioni della scienza e della tecnica provenienti dall’Esposizione universale svoltasi a Parigi nel 1900, vede l’imporsi di riviste che promuovono l’Art Nouveau e diffondono il nuovo gusto liberty. Tra queste emerge “Novissima”, pubblicata con cadenza annuale tra il 1901 e il 1910 e della quale la Biblioteca Angelo Mai conserva tutti i fascicoli. Una gran parte di questi periodici coniuga decorazioni e illustrazioni in voga con testi affidati alla scrittura di autori e intellettuali di punta. Prose e versi di qualità, inquadrati in soluzioni grafiche originali, caratterizzano “La Riviera ligure di Ponente”, la testata sorta come diretta emanazione degli interessi culturali della famiglia Novaro, detentrice del celebre marchio oleario Sasso. In questo caso si assiste a un’iniziativa pubblicitaria volta all’esaltazione delle proprietà benefiche del prodotto di casa e delle sue peculiarità legate al territorio ligure, operazione a cui si prestano firme celebri, come Grazia Deledda, Giovanni Pascoli e Luigi Pirandello, e nomi meno noti di giovani che segneranno la cultura italiana delle stagioni successive, da Giuseppe Ungaretti ad Aldo Palazzeschi, da Umberto Saba a Camillo Sbarbaro. Nelle officine bergamasche dell’Istituto Italiano di Arti Grafiche, dal 1895, si stampa “Emporium” impresa che attraversa la prima metà del Novecento in un regime di reciproca influenza con altre importanti riviste artistiche e culturali coeve.
La moda e il gusto nella stampa periodica del primo Novecento
La definizione di fasce di lettori sempre più circoscritte, unitamente alla crescita considerevole del numero di pagine pubblicitarie annesse a riviste di successo, comporta un significativo incremento dei titoli della stampa periodica. Le speranze e le illusioni di scalata nelle alte sfere della società accomunano i desideri della borghesia rampante in Europa e oltreoceano. Sulla scia delle norme di stile e rappresentanza dettate dalle classi agiate newyorchesi nasce nel 1892 la rivista “Vogue”. Attenzione per la bellezza e per il gusto segnano la vita della testata anche nei decenni successivi. Negli anni Dieci il numero di inserti promozionali tra le pagine del periodico e il suo costo di vendita superano di gran lunga quelli dei concorrenti, ma “Vogue” trasforma la galleria delle pubblicità nell’arma vincente in grado di attirare l’attenzione di lettori trasformatisi in consumatori. La moda e il costume segnano in Italia la nascita del mensile “Lidel”, sorto nel 1919 con l’intento esplicito di occuparsi di letture, illustrazioni, disegni, eleganze e lavoro. L’adesione alle istanze nazionalistiche del regime fascista allinea le pagine della rivista a dettami autarchici, che mirano a svincolare il mondo della moda italiana dalle influenze estere, specialmente d’Oltralpe. Non sono solo la ricerca di un vestiario al passo coi tempi o la prestanza dinamica di un’automobile a segnare la fioritura della réclame. Simboli di benessere si rivelano i nuovi oggetti di consumo quotidiano, dalle bevande alcoliche e analcoliche ideate dalle tante aziende di settore alla promozione delle delizie a base di cioccolato, come quelle disposte tra i colori sgargianti di Suchard, costantemente ripresi dalle pagine conclusive de “La Lettura”. In parallelo alla crescita reciprocamente sostenuta della stampa periodica e delle inserzioni pubblicitarie, si assiste a un aumentato interesse per le tecniche di stampa delle immagini: caso esplicativo è offerto da “The Printing Art”, magazine statunitense distribuito anche in Italia e in Europa agli esordi del XX secolo. La pubblicazione mensile si compone di articoli afferenti all’arte impressoria, come recita lo stesso titolo, intervallati da un numero consistente di pagine esemplificative, composte con norme tipografiche e illustrative differenti, destinate a reclamizzare marchi a vario titolo coinvolti nella diffusione della carta stampata, uniformate nel rispetto del «valore commerciale del buon gusto».
Tecniche e progresso della stampa illustrata
Le possibilità espressive della stampa illustrata ricevono un forte incremento tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. È l’innovazione tecnica offerta dalla litografia, ufficialmente messa a punto nel 1796, a fornire il contributo di maggior rilievo. L’arte litografica consiste in una forma di stampa chimica su pietra, a partire da una matrice piana generalmente calcarea, la cui impressione fornisce un determinato numero di copie. La preziosità degli esemplari litografici così ottenuti dipende dalla tiratura dei pezzi e dalla perizia tecnica e artistica dei disegnatori, i quali generalmente firmano e numerano in calce ogni singola copia del lavoro. Più nel dettaglio la litografia prevede la selezione di una pietra perfettamente liscia e compatta come matrice sulla quale stendere un inchiostro dall’aspetto oleoso; segue la stesura di una preparazione di natura acida e acqua che viene respinta in corrispondenza dei segni grassi. Prima di essere sottoposta al torchio, la matrice viene inchiostrata mettendo in rilievo il solo disegno, che rimane impresso sul foglio stampato. Le possibilità implicite di questa soluzione sono rivoluzionarie, dal momento che per la prima volta una tecnica di stampa delle immagini non si basa sull’incisione del materiale, ma sulla semplice stesura di un disegno. La litografia diventa popolare nel corso dell’Ottocento, scelta frequente di editori e artisti, in concomitanza con la diffusione di una stampa periodica fortemente caratterizzata dalla relazione tra parola e immagine, sempre più attenta alla moda e al gusto, che privilegia il rapporto tra il lettore-osservatore e l’illustrazione. A completare le possibilità espressive della tecnica litografica è la cromolitografia, estensione del procedimento a più colori la cui realizzazione più complessa e onerosa, prevede per ogni tintura d’inchiostro una propria matrice da combinare con quelle di altri inchiostri per ottenere un insieme coeso. Anche in Italia sono molti i nomi dell’illustrazione pubblicitaria figli di una formazione specifica in stabilimenti dediti alla litografia, come Leopoldo Metlicovitz e Giovanni Maria Mataloni. Per la riproducibilità meccanica delle immagini, xilografia e calcografia sono state impiegate a fianco alla litografia – e “L’Illustrazione Italiana”, in particolare, si distingue per il ricorso a incisioni in legno per la stampa al fine di ottenere risultati di pregio – fino agli anni Sessanta del Novecento, prima di essere progressivamente sostituite dai progressi della fotografia.
Il percorso espositivo
Vetrina 1
Forse il più antico esempio di pubblicità contenuta in un periodico presente in Biblioteca è quello riportato nel “Protogiornale veneto perpetuo”, almanacco pubblicato a Venezia nel 1690. Al termine delle caratteristiche informazioni fornite da questo tipo di pubblicazioni – lunazioni, alba e tramonto del sole, calendario dei santi e suggerimenti per le colture – l’ultima pagina del “Protogiornale” si rivolge al «benigno lettore» per esaltare «le Virtù ammirabili dell’Aqua della Regina d’Ongaria fabricata dal Sig. Niqueuert profumiere», con l’indicazione del luogo di vendita e del prezzo.
A distanza di un paio di secoli, la pubblicità o réclame, ormai evolutasi nel linguaggio e nella forma, cattura l’attenzione anche come fenomeno artistico, che ispira studi specifici dei quali si espongono due monografie, edite tra il 1907 e il 1912, e tre numeri della rivista “Emporium” che riflettono sul tema dei cartelloni illustrati tra Europa e America.
Vetrina 2
“Novissima”, che sia nel titolo sia nell’anno di avvio (1901) esplicita una propensione a valorizzare le novità artistiche del secolo appena iniziato, ospita significative tipologie di réclame, tra le quali emerge quella musicale delle Officine grafiche Ricordi. Per il marchio lavorano artisti del manifesto come Adolf Hohenstein, Leopoldo Metlicovitz – illustratore della immagine pubblicitaria per Madama Butterfly – Marcello Dudovich e Leonetto Cappiello. Autore dagli esiti suggestivi è Franz Laskoff, illustratore per manifesti emblematici dallo stile essenziale, privo di chiaroscuri e con uno spiccato slancio verticale. Diverso è il contributo di Virgilio Costantini per la casa dolciaria Vaccari, con la forte predilezione per soggetti femminili, còlti nei molteplici aspetti del quotidiano. La réclame del Fernet-Branca viene elaborata partendo dall’immagine simbolo dell’amaro: l’aquila con le ali spiegate che tiene tra gli artigli la bottiglia del liquore.
Vetrina 3
Caso singolare di catalogo pubblicitario con velleità culturali, “La Riviera Ligure” è distribuita gratuitamente insieme alle lattine di olio Sasso: il foglio, color verde oliva, abbina alla descrizione e ai prezzi dei prodotti dell’oleificio, testi inediti ispirati alle bellezze della Liguria e alle virtù alimentari e salutistiche dell’olio di oliva puro. All’inizio del nuovo secolo la rivista affida a Giorgio Kienerk e a Plinio Nomellini la costruzione di un corredo elaborato di fregi, insegne e capilettera in stile Art Nouveau e l’ideazione di un marchio a partire dalla bottiglia di olio Sasso, riprodotta nella rivista in un gioco di sovrapposizioni tra immagine ed etichetta.
Nella parte superiore della vetrina, la breve serie di réclame tratte da “Emporium”, consente di cogliere l’evoluzione storica del gusto e della cultura nell’arco di un decennio: il manifesto di Giuseppe Cappadonia per gli Impermeabili Pirelli è del 1921, qui in una versione in bianco e nero; il disegno pubblicitario di Plinio Codognato per la Fiat, con il solido marchio che funge da piedistallo per un leone alato ruggente, sul quale è issata l’automobile emblema del dinamismo italico di matrice fascista, è pubblicato in un fascicolo del 1926; allineata all’etica nazionalista del risparmio propria del regime è l’immagine del 1929 per l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, che inneggia al valore dell’unità familiare e del lavoro.
Pannello 1
Caratterizzata dal formato quadrato, impiegato anche nella sezione della réclame, la rivista “Ver Sacrum” rappresenta l’ultima incarnazione dello Jugendstil. La suddivisione simmetrica in più colonne di testo e immagini, l’inversione di bianchi e di neri nel rapporto fra figura e sfondo, la fusione nell’arte floreale di disegni geometrici anticipatori del Simbolismo sono solo alcune delle peculiarità ricorrenti lungo le pagine destinate alla pubblicità, ispirate dalla Wortkunst, binomio di arte e parola che ambisce a raggiungere tutti. I fascicoli esposti provengono dal fondo dell’Istituto Italiano di Arti Grafiche, donato alla Biblioteca Civica tra il 1973 ed il 1974, che offre una campionatura molto ampia della produzione periodica di pregio italiana, europea e statunitense tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo attraverso periodici illustrati, testate specialistiche dedicate alle tecniche di stampa e, soprattutto, riviste d’arte e di architettura provenienti da ogni parte del mondo.
Vetrina grande
“L’Illustrazione italiana”, che tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso ottiene ampia popolarità negli ambienti della medio-alta borghesia, pubblica con regolarità un numero monografico riccamente illustrato in occasione delle festività natalizie, periodo dell’anno nel quale la réclame è monopolizzata dalle bevande. Il celebre manifesto realizzato nel 1929 dal pittore e vignettista Eugenio Colmo, noto come Golia, per il vermouth Gancia, effigia un uomo in maschera che brinda, in una stilizzazione caricaturale da Art déco. Di grande effetto è il logo a spirale dell’amaro Cora, qui esibito in un numero de “L’illustrazione italiana” del 1930, riproposto dal piemontese Mario Gros, ma ideato già nel 1928 da Nicolay Diulgheroff, artista bulgaro naturalizzato italiano e tra i fondatori del Secondo Futurismo torinese. L’immagine promozionale per il vermouth Cinzano del 1921 si distingue per il reimpiego del classico logo di casa, la zebra rossa cavalcata da una figura mitologica maschile creata da Leonetto Cappiello nel 1910, qui incastonato da Golia in un cartellone pubblicitario posto sopra uno skyline urbano dettato da luci notturne artificiali. Cappiello è ancora l’autore della réclame per il bitter Campari, datata 1928: un uomo suggerito da contorni semplici è appeso a un lampione e i suoi capelli rossi richiamano il colore della bevanda, quasi a comporre quell’«arabesco-idea» con cui l’artista è solito indicare la costruzione di pagine pubblicitarie che alludano al prodotto anziché ostentarlo. Marcello Dudovich, che vince il concorso indetto da Borsalino per il cappello Zenit nel 1919, rinuncia a un’esplicita raffigurazione della presenza umana, che resta fuori campo, presagibile dal cappello, dai guanti e dal bastone abbandonati in anticamera, lasciando con raffinatezza all’immaginazione del lettore ciò che avviene nella stanza accanto. Generalmente più modesti i contenuti pubblicitari nei numeri regolari de “L’illustrazione italiana”, come la grafica in un azzurro ton sur ton che reca a caratteri cubitali il marchio del liquore Strega.
La galleria più in alto vede esposti quattro numeri de “L’Illustration”, rivista francese particolarmente attenta alle innovazioni grafiche e al nuovo linguaggio offerto dalla fotografia in apertura di Novecento. Emblematica la pubblicità della Belle Jardinière, marchio d’abbigliamento che si dimostra al passo con i tempi durante la Grande Guerra, allestendo vestiari ed equipaggiamenti a uso militare. Foriere di un’adesione alla contemporaneità, nella ritrovata prosperità post-bellica degli anni Venti, sono le réclame per prodotti di consumo e oggetti del desiderio come l’automobile Citroën.
Pannello 2
“Blanco y negro” è un periodico culturale fondato a Madrid nel 1891 da Torcuato Luca de Tena. Pubblicato dalla Prensa Española, il settimanale è diretto a un pubblico femminile e si occupa di arte, letteratura e stili di vita. È la prima rivista spagnola a impiegare carta colorata e patinata e a utilizzare tecniche tipografiche innovative come la fotoincisione, che catturano l’interesse di Paolo Gaffuri, il fondatore dell’Istituto Italiano di Arti Grafiche e della rivista “Emporium”. “Blanco y negro” vanta il primato di aver pubblicato, nel 1912, la prima fotografia in quadricromia in Spagna. Il periodico gode per molti decenni di notevole prestigio per il valore letterario dei contributi, dovuti alla collaborazione con autori di prim’ordine, che orchestrano testi tra le illustrazioni curate da artisti quali Cecilio Pla e Ramon Cilla. Nel corso degli anni Venti la rivista pubblica stabilmente inserti pubblicitari e la facciata posteriore della copertina è destinata con regolarità alla réclame dei prodotti per l’igiene Calber, raffigurati con cromie vivaci dai migliori illustratori spagnoli.
Vetrina 4
All’inizio del Novecento sono le riviste femminili a divulgare le novità in fatto di abiti, accessori e calzature grazie a splendide illustrazioni. La moda protagonista è quella francese, malgrado i tentativi per una maggiore autonomia nel gusto anche al di qua delle Alpi. Tra le iniziative più vivaci in questo senso si pone la nascita di “Lidel” nel 1919, periodico che si rivolge essenzialmente a donne della media e alta borghesia, istruite e con notevoli disponibilità economiche. Le pubblicità in quarta di copertina presentano eccellenze dell’industria italiana, beni di consumo che si svincolano dalla sfera dei bisogni stretti ammiccando ai piaceri e alle comodità, come nel caso del cioccolato Venchi o dell’automobile, nuovo oggetto del desiderio di famiglie benestanti. Da Carpanetto a Dudovich, da Codognato a Riccobaldi, l’autoveicolo affascina grazie a una modernità che gli illustratori declinano di volta in volta, fino a che elementi simbolici e suggestioni vengono assorbiti nella fissazione di un marchio.
Vetrina 5
La rivista “Vogue”, nata nel 1892 come una sorta di gazzetta mondana dell’alta società newyorchese, si connota al femminile soprattutto dal 1909, quando la nuova proprietà Condé Montrose Nast dedica sempre più contenuti alla moda e aumenta considerevolmente il numero di pagine destinate a inserzioni pubblicitarie. I prodotti presentati riflettono la ricerca di agio e comodità da parte del pubblico a cui si rivolgono – ed è il caso suggerito dall’immagine raffinata della réclame delle sigarette Gitanes – ma non mancano raffigurazioni di oggetti d’uso quotidiano, come quella dello straccio per pavimenti O-Cedar Mop, creata dal pubblicitario inglese Tom Purvis, o quella ideata per la crema da barba Erasmic dall’illustratrice per l’infanzia Mabel Lucie Attwell.
Rivista letteraria pubblicata da emigranti russi a Berlino tra il 1921 e il 1926, “Jar Ptitza” è il naturale successore di testate come “Il vello d’oro” e “Il mondo dell’arte”, edite in Russia a inizio Novecento. Il periodico si contraddistingue per raffinatezza e viene stampato su tre tipi differenti di carta, con testi prevalentemente in cirillico e illustrazioni curate da alcuni tra i migliori artisti russi esuli in Europa. La réclame di “Jar Ptitza” ben si lega all’estetica imperante all’epoca: esemplare è la figura femminile nella pubblicità per la crema di bellezza Leichner, dell’omonima ditta produttrice di cosmetici per il teatro, che richiama con linee stilizzate le acconciature raccolte del primo dopoguerra.
Vetrina 6
“The Printing Art” è una delle numerose testate a contenuto tecnico che appartengono al fondo dell’Istituto Italiano di Arti Grafiche. Il fondatore, Paolo Gaffuri, è lettore attento in materia di innovazioni tecnologiche per la stampa e l’illustrazione. Pubblicata a Cambridge, nel Massachusetts, la rivista americana si pone quale strumento di aggiornamento per editori e stampatori, non solo grazie a contributi dettagliati sulle discipline impressorie, ma anche per via delle vaste integrazioni pubblicitarie vòlte a promuovere inchiostri, carte, timbri, macchine e laboratori. Volontà dichiarata dell’editore è quella di attrarre anche l’interesse del grande pubblico commerciale, nell’epoca in cui la pubblicità sulla stampa periodica soppianta il tradizionale apporto della cartellonistica. Le illustrazioni esposte, in particolare, reclamizzano la ditta di inchiostri e forniture per litografie Ault & Wiborg, fondata a Cincinnati nel 1878 e diventata in poco tempo azienda leader del settore grazie all’uso di coloranti a base di catrame di carbone, capaci di produrre inchiostri dai colori vivaci e innovatori per l’industria della stampa.
Vetrina 7
Nel fascicolo de “La grande illustrazione d’Italia”, settimanale concorrente de “L’illustrazione italiana” pubblicato tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, viene esibita una réclame frutto della felice intuizione di Davide Campari, il quale vuole rendere il marchio di famiglia protagonista attraverso le immagini e col ricorso a poesie e storielle. Qui è presentata una delle iniziative più riuscite in tal senso, Il Cantastorie, pubblicità seriale con testi del commediografo Renato Simoni, arricchiti da illustrazioni commissionate di volta in volta a nuovi artisti. L’autore della vignetta esposta è Sergio Tofano, conosciuto come Sto e inventore del Signor Bonaventura, il celebre protagonista di una striscia de “Il Corriere dei Piccoli”. Il fascicolo de “L’illustrazione italiana” presenta, invece, la pubblicità del tonno Arrigoni, una delle prime industrie conserviere italiane, attenta a riproporre l’idea de Il Cantastorie di Campari: l’immagine d’impatto e la grafica accattivante sono completate dal testo del giornalista Enrico Serretta.
Si espone, in aggiunta, una serie di promozioni del cioccolato svizzero Suchard pubblicate ne “La Lettura”, rivista mensile de “Il Corriere della Sera” edita dal 1901 al 1946 con copertine sgargianti, affidate a noti illustratori come Achille Beltrame e Umberto Brunelleschi. Lo spazio dedicato alla réclame è altrettanto colorato, il cioccolato viene presentato mese dopo mese con richiami all’origine alpina dell’azienda o alla provenienza esotica della bacca di cacao; del cioccolato si rimarcano il potere nutritivo e la capacità di ingolosire sin dall’infanzia.
Le riviste
Emporium
“Emporium. Rivista mensile illustrata d’arte, letteratura, scienze e varietà” nasce a Bergamo nel 1895 e viene pubblicata fino al 1964. L’intento del progetto, molto innovativo per i tempi, è espresso con chiarezza nel manifesto programmatico del dicembre 1894 dagli ideatori, Paolo Gaffuri, fondatore dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche, e Arcangelo Ghisleri: «Popolarizzare l’alta coltura, i risultati della scienza, il fior fiore delle arti, non solamente dell’Italia, ma di tutto il mondo civile; con notizie e monografie precise, brevi, succose, dovute a specialisti, e accompagnate sempre da illustrazioni, che siano documenti, presi dal vero e sui luoghi, riprodotti con sistemi ultimi dell’arte grafica più progredita; tale l’intento della nuova rivista». Il programma viene rispettato e per 840 fascicoli mensili, suddivisi in 138 volumi semestrali, il periodico propone ai lettori, a livello specialistico, ma in forma divulgativa e piacevole, scritti su arte antica e contemporanea, movimenti e correnti internazionali, architettura, musica, letteratura, cinema, arti decorative e applicate; pubblicizza musei e mostre; aggiorna su scoperte scientifiche, conquiste tecnologiche e industriali, aspetti dell’attualità, della vita sociale e della moda; affronta la divulgazione storica. Il tutto corredato da immagini di altissima qualità che si pongono in rapporto diretto con la scrittura, grazie alla continua ricerca all’avanguardia e all’utilizzo delle innovazioni tecnico-tipografiche, parte integrante dell’operazione culturale nel suo insieme. Ispirata dai contemporanei modelli internazionali, “Emporium” eredita dall’inglese “The Studio” (1893) il carattere cosmopolita e la spinta verso la modernità, e dalle tedesche “Pan” (1895) e “Jugend” (1896) il gusto per la promozione e per i temi popolari. Non mancano l’umorismo e la satira, accompagnati da vignette e da una grafica caricaturale, i cui emuli si identificano nel settimanale parigino “Le Rire”, nel tedesco “Simplicissimus” e nel britannico ”Illustrated London News”. Il messaggio pubblicitario, utilizzato fin dalle prime uscite e introdotto seguendo il modello di alcuni prototipi americani ed europei, contribuisce a rafforzare il carattere divulgativo della rivista. L’attenzione dei fondatori per le arti contemporanee e per lo spirito modernista interdisciplinare, tipico dell’Art Nouveau, emerge dalle splendide copertine, che cambiano di mese in mese e riflettono il variare degli stili e del gusto. L’originalità della veste grafica complessiva di “Emporium” e la gravitazione intorno alla rivista di un folto gruppo di artisti e disegnatori operanti nel campo della cartellonistica e della grafica pubblicitaria, unitamente alla collaborazione di importanti studiosi e artisti italiani, connotano la rivista come uno dei prodotti editoriali più affascinanti e significativi del tempo.
L’illustration
Prima rivista francese a pubblicare una fotografia nel 1891, “L’Illustration” è edita a Parigi dal 1843 al 1944. Viene fondata all’interno di un circolo intellettuale da Édouard Charton, pubblicista e politico francese impegnato nella promozione culturale del popolo transalpino attraverso il potenziamento e l’ampliamento dell’istruzione. Parzialmente ispirato da “The Illustrated London News”, caratterizzato dal grande formato in folio, con una forte preponderanza dell’immagine, è anche il primo periodico a pubblicare una fotografia a colori nel 1907. Ai disegnatori che contribuiscono alla crescita della testata alla fine del XIX secolo si affiancano i rapporti stabili con agenzie di stampa e fotografi direttamente ingaggiati dalla rivista che rispondono all’innovativo approccio giornalistico basato sulla ricerca di informazioni dirette, anche tramite corrispondenze dei lettori come fonte di eventi. A “L’Illustration” collaborano intellettuali francesi ed europei (Gabriele D’Annunzio, Alphonse Daudet, Camille Flammarion, Henri Bataille, Georges Courteline, Georges Feydeau, Anatole France, Paul e Victor Margueritte, Edmond e Maurice Rostand, Tristan Bernard, Pierre Loti, Sacha Guitry, Anatole France e Georges Clemenceau), celebri disegnatori e incisori, grandi fotografi. Il periodico ha un fortunato supplemento letterario sul quale viene pubblicato, tra gli altri, il celebre romanzo poliziesco Il mistero della camera gialla di Gaston Leroux. La modernità impattante della rivista è ben testimoniata da Jules Verne, che confessa di aver costruito la figura di Michele Strogoff lasciandosi ispirare dalle vicende di Durand Brager, reporter e collaboratore de “L’Illustration”. Data la grande diffusione e l’alto livello sociale dei lettori, i principali marchi di automobili, prodotti di lusso, bevande, includono annunci pubblicitari creati da rinomati cartellonisti e illustratori (Leonetto Cappiello, Cassandre, René Gruau, Géo Ham, Alexis Kow, Charles Lemmel, Georges Léonnec, Georges Lepape, René Ravo, Pierre Simon, Marcel Vertès, René Vincent).
L’illustrazione italiana
Per quasi un secolo, dal processo di unificazione culturale del paese all’avvento della televisione nella maggior parte delle case, “L’Illustrazione Italiana” si impone tra le riviste più lette su scala nazionale. Il periodico viene fondato dai fratelli editori Treves nel 1873 e le stampe proseguono ininterrotte sino al 1962, nonostante il cambio proprietario di fine anni Trenta che attira la testata in orbita Garzanti a seguito della promulgazione delle leggi razziali in Italia. Sorta durante la primavera artistica del Verismo, “L’Illustrazione Italiana” raccoglie testi di tanti grandi nomi della letteratura italiana, stagione dopo stagione: da Giosuè Carducci a Eugenio Montale, da Gabriele D’Annunzio a Salvatore Quasimodo. Nel tempo si affiancano alle pubblicazioni periodiche veri e propri numeri speciali, affidati a nomi importanti della scrittura, anche femminile come Ada Negri e Matilde Serao, mentre la parte figurativa viene affidata ad artisti del calibro di Giulio Aristide Sartorio e Arnaldo Ferraguti. Autori di grido, dunque, sostenuti dalla sensibilità dimostrata nelle tecniche di stampa a lungo coltivate dal periodico, nell’impiego, ad esempio, di incisioni in legno di accurata qualità a scapito della più semplice e imprecisa litografia. Mutata da settimanale in rivista mensile nell’ultima fase della sua vita, “L’Illustrazione Italiana” soffre la concorrenza dei rotocalchi, così vicini alla nuova sensibilità mediatica di una fetta sempre più consistente di lettori-consumatori. Un rilancio della testata viene promosso da Guanda tra il 1981 e il 1996, mentre in anni più recenti sopravvivono tentativi bimestrali di ristampa anastatica di alcuni tra i contributi più significativi della storia della rivista, affiancati da introduzione e commenti d’autore.
Lidel
Il mensile di costume e di moda “Lidel” nasce nel 1919 su impulso della giornalista Lydia De Liguoro. Il titolo della rivista corrisponde a una sorta di acrostico dal nome della fondatrice, ma anche a quello generato dall’insieme delle iniziali degli argomenti trattati ed esplicitati nel periodico: letture, illustrazioni, disegni, eleganze, lavoro. Di gusto raffinato e prevalentemente destinata a un pubblico femminile, la testata risponde alle esigenze e alle istanze dell’alta società italiana, borghese o aristocratica, come testimoniato dall’elevato costo di copertina. “Lidel” prospera anche durante la prima fase del ventennio fascista, veicolando i valori nazionalistici e autarchici, propugnando un’emancipazione della moda italiana dall’influenza d’Oltralpe. Alla rivista collaborano autori noti del mondo letterario italiano, come Massimo Bontempelli, Margherita Sarfatti e Carlo Carrà, nei panni di critico d’arte. Le pagine patinate del mensile sono arricchite da illustrazioni di svariati artisti italiani del tempo tra i quali Bruno Munari, Edina Altara, Vittorio Accornero. Nonostante l’allineamento al pensiero fascista, nel 1930 la rivista pubblica il racconto Niôminkas, amore negro, incentrato sull’incontro passionale e sentimentale tra un uomo nero e una vedova italiana della scrittrice Mura (pseudonimo di Maria Assunta Giulia Volpi Nannipieri). Pubblicato come romanzo nel 1934 da Rizzoli con il titolo Sambadù, amore negro, con le illustrazioni di Marcello Dudovich, è sequestrato dal regime, con tanto di diffide e controlli ai danni dell’autrice e dei suoi collaboratori. “Lidel” cessa le pubblicazioni nel 1935.
Novissima
“Novissima” nasce a Milano nel 1901 per iniziativa di Edoardo Camis De Fonseca, poliedrico intellettuale anglo-fiorentino, critico d’arte, scrittore, commediografo, compilatore di apprezzate guide turistiche sia in inglese che in italiano, docente universitario, con l’intento di «fornire una rassegna annuale del meglio che è stato prodotto nei vari campi delle arti, dalla poesia alla letteratura, dalla musica alle arti figurative». Le pubblicazioni coprono il primo decennio del Novecento, fatta eccezione per alcuni fascicoli mensili promossi nel 1913. Sorto come album a cadenza annua, il periodico si rivolge a un pubblico raffinato, sensibile allo stile liberty, all’epoca coltivato da giovani illustratori come Marcello Dudovich, Luigi Bompard e Augusto Majani. Certamente ispirata da “Emporium” – esplicitamente reclamizzata – nella declinazione del binomio arte-letteratura, “Novissima” si propone di «richiedere il concorso dei maggiori letterati italiani», avvicinando al progetto Giovanni Pascoli, Salvatore di Giacomo, Corrado Ricci, Giuseppe Giacosa, Gabriele D’Annunzio, Enrico Panzacchi, Giacomo Puccini. Sulla rivista scrivono anche Benedetto Croce e Antonio Fogazzaro, Edmondo De Amicis e Luigi Capuana, Sul modello europeo di “Simplicissimus” e “Jugend”, “Novissima” attrae numerosi artisti, tra i quali Leopoldo Metlicovitz e Leonetto Cappiello, che collaborano alla realizzazione delle tavole, monocromatiche o a colori, stampate su carta patinata e organizzate in una griglia grafica ricercata nel caratteristico formato oblungo della più raffinata pubblicazione italiana dedicata all’arte della decorazione del libro. Da principio priva di numerazione, le pagine della testata oscillano di anno in anno da ottanta a cento; la rivista ospita diverse rubriche e una corposa sezione pubblicitaria posta in chiusura.
La Riviera Ligure
Caso singolare di catalogo pubblicitario con velleità culturali, la testata nasce nel 1895 con il titolo “La Riviera Ligure di Ponente” per volontà di Agostino Novaro, proprietario dell’oleificio Sasso, e si qualifica come la prima rivista aziendale italiana. Il foglio pubblicitario color verde oliva distribuito gratuitamente ai clienti della ditta, alterna alle pagine commerciali dedicate alla presentazione e al listino dei prezzi dei prodotti della casa e alle virtù alimentari e salutistiche dell’olio di oliva puro, saggi e componimenti poetici di intellettuali locali e descrizioni delle bellezze paesaggistiche della riviera del Ponente ligure. Nel 1899 la direzione del periodico viene assunta da Mario Novaro, che trasforma la pubblicazione in una piccola antologia della letteratura contemporanea alla quale contribuiscono grandi nomi delle lettere di respiro nazionale, da Grazia Deledda a Luigi Pirandello e Giovanni Pascoli – autore di un Inno all’olivo che sarebbe confluito ne La canzone all’ulivo dei Canti di Castelvecchio editi da Zanichelli nel 1903 – e una folta schiera di giovani autori come Aldo Palazzeschi, Umberto Saba e Giuseppe Ungaretti. Sensibile al nuovo gusto estetico, Mario Novaro abbandona l’impaginazione essenziale e le illustrazioni elementari delle origini e tra il 1901 e il 1916 affida a Giorgio Kienerk le innovazioni grafiche: la rivista si connota quindi per un corredo elaborato di fregi, insegne e capilettera in stile Art Nouveau e l’ideazione di un vero e proprio marchio a partire dalla bottiglia di olio Sasso, riprodotta in un gioco di sovrapposizioni tra immagine ed etichetta. Di questo periodo le collaborazioni significative di Plinio Nomellini e di Franz Laskoff, autori di manifesti promozionali di rilievo agli esordi del Novecento. La pubblicazione regolare de “La Riviera Ligure” si interrompe nel 1917.
Ver Sacrum
La rivista austriaca “Ver Sacrum”, il cui nome rimanda alla Primavera Sacra degli antichi popoli latini, è stata espressione e manifesto del Sezessionstil viennese e ha tra i propri padri fondatori Gustav Klimt. Pubblicata tra il 1898 e il 1903, fucina di innovazioni grafiche e testuali, è espressione della tensione dei Secessionisti verso la Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale, sintesi perfetta tra pittura e architettura, scultura e arredo, decorazione, tipografia, abbigliamento, letteratura e musica. «Ad ogni tempo la sua arte, ad ogni arte la sua libertà», questo il motto del primo editoriale, accompagnato dall’immagine di un albero in fiore che si erge dirompente dal vaso restrittivo in cui è contenuto a rappresentare la rottura con i legami del passato dei nuovi artisti che progettano, dipingono, decorano inseguendo una fusione completa tra le soluzioni artistiche adottate. Il primo numero della rivista, pubblicato nel gennaio 1898, annunciato nei principali quotidiani austriaci come un vero e proprio evento, a pochi mesi dall’apertura e dalla prima esposizione pubblica della Casa della Secessione di Joseph Olbrich, non incontra l’attesa accoglienza entusiastica. Per i primi due anni la rivista esce mensilmente con numeri di volta in volta dedicati al lavoro di un artista, chiamato a progettarne la copertina. Ogni fascicolo del periodico si contraddistingue per la fusione omogenea di parole, immagini, note musicali e invenzioni grafiche. La collaborazione visionaria di Koloman Moser conferisce una rinnovata carica inventiva alla rivista, con modifiche costanti alle pagine interne e un’armonia rinnovata tra testo e illustrazione. Assai originale anche l’impaginazione degli scritti, stampati con caratteri tipografici di grande bellezza, ornati di capilettera e fregi, disposti in modo centrale e simmetrico nella pagina bianca. Ne esce una rivista raffinata ma fruibile, pensata per un pubblico ampio, non di nicchia, come dimostrano alcuni degli scritti teorici pubblicati nella rivista e l’approdo di alcuni protagonisti della testata alla Wiener Werkstätte, laboratorio di arti creative e di design. Successivamente la periodicità diviene quindicinale, con un formato più piccolo e sottile, una copertina ripetitiva e una notevole preminenza dei testi sugli elementi grafici. Nel corso degli anni di pubblicazione vengono realizzati 471 disegni, 55 litografie e calcografie e 216 xilografie, per mano dei più celebrati artisti del movimento, da Alphonse Mucha a Egon Schiele, da Otto Wagner a Josef Maria Auchentaler.
Vogue
Tra le riviste più note e prestigiose nel mondo della moda, “Vogue” nasce a New York nel 1892 per volontà di Arthur Baldwin Turnure, che nel 1909 lo cede alla casa editrice Condé Nast. Negli anni immediatamente successivi la nuova proprietà si impegna a fornire a “Vogue” un respiro internazionale, dando origine a una cavalcata transoceanica ad oggi quantificabile nelle 22 edizioni nazionali correnti della rivista, per un totale di 16 lingue diverse, in grado di soddisfare le esigenze delle lettrici e dei lettori in ogni parte del mondo. Per molto tempo bisettimanale, il periodico diventa stabilmente mensile dal dicembre del 1972. Proprio negli anni Settanta “Vogue” tocca punte apicali di popolarità, con tirature soggette a grandi oscillazioni, tra le quattrocentomila e il milione di copie. Bellezza, gusto e un occhio di riguardo alle tendenze correnti segnano il successo della rivista sin dalle origini, con una speciale attenzione rivolta a quella fascia benestante della società newyorchese dedita a coltivare sogni di gloria e desiderio di elevazione negli alti ranghi dell’establishment statunitense. Negli anni Dieci del Novecento il costo di “Vogue” è maggiore dei prezzi offerti dalle copertine concorrenti, ma il numero di pagine pubblicitarie di gran lunga superiore alle altre testate si rivela arma vincente, tra il bianco e nero di pagine riccamente illustrate e i colori sgargianti in quarta di copertina.
Gli illustratori
Leonetto Cappiello
Leonetto Cappiello nasce il 9 aprile 1875 a Livorno da una famiglia benestante e cresce artisticamente tra la natìa Livorno e Firenze, dove inizia a esporre. Nel 1898 approda a Parigi, dove si fa conoscere nella buona società anche grazie alle entrature garantitegli da Giacomo Puccini. Lavora per riviste e giornali, come “Le Rire” e “Le Figaro”; si dedica in particolar modo alla caricatura, tanto che raccolte di suoi disegni vengono pubblicate dal periodico satirico “L’Assiette au beurre” in un numero speciale del novembre 1902. Negli anni immediatamente successivi abbandona il percorso intrapreso e comincia a imporre la sua fama di cartellonista pubblicitario. Decora, inoltre, ambienti con grandi pannelli pittorici, in una diversificazione delle attività che riprende dopo la conclusione della Prima guerra mondiale, durante la quale viene richiamato in Italia. Molte e significative anche le prove di Cappiello come pittore di cavalletto, abile specialmente nei tanti ritratti di cui musei e gallerie francesi e toscane conservano traccia. Fortemente legato al panorama transalpino, nel quale vive e opera sin dalla gioventù e dove in seguito si sposa, il cartellonista è naturalizzato francese. Oltralpe l’artista riceve riconoscimenti del massimo prestigio, come la Legion d’onore conferitagli nel 1914 e della quale figura tra i commendatori nel 1928. Nel corso di circa un ventennio Leonetto Cappiello partecipa a grandi iniziative ed espone opere in contesti noti come la prima mostra del Novecento italiano del 1926 o la Triennale di Milano di dieci anni successiva. Ricordato tra i pieni inventori del cartellonismo moderno, Cappiello muore a Cannes, ancora in piena attività, il 3 febbraio 1942.
Marcello Dudovich
Marcello Dudovich nasce a Trieste il 21 marzo 1878, figlio di un impiegato delle Assicurazioni Generali di origine dalmata e di antica simpatia garibaldina e di una pianista triestina. La sua formazione si compie tra il capoluogo giuliano e Monaco, all’epoca al centro del panorama secessionista con riviste quali “Pan” e “Jugend”. Sotto la guida del conterraneo Leopoldo Metlicovitz, nel 1897 Dudovich inizia a lavorare per le officine grafiche Ricordi di Milano e di lì a poco apre anche uno studio in proprio. A cavallo tra i due secoli, l’artista opera a Bologna, chiamato dall’editore Edmondo Chappuis, e nel 1900 vince una medaglia d’oro all’Esposizione universale di Parigi e altri concorsi che lo introducono nel bel mondo della Bologna altolocata. A questa fase risale anche l’impegno da illustratore per periodici come “La Lettura” o “Novissima”. Dudovich spazia per il Nord Italia, tra Genova e Milano, dove torna per collaborare a più riprese con Giulio Ricordi. Nel 1906 trionfa al concorso per il manifesto celebrativo del traforo del Sempione e comincia a operare per la casa di moda Mele, a cui nel 1911 si aggiunge la ditta Borsalino. Un ritorno a Monaco è quello, invece, voluto dagli editori della rivista satirica “Simplicissimus”, grazie alla quale ha modo di viaggiare e ritrarre le capitali europee della Belle Époque. La carriera dell’illustratore presenta una battuta d’arresto di fronte alla Grande Guerra, che lo coglie meno incisivo e quasi impreparato al precipitare degli eventi. Armato di nuove suggestioni, Dudovich crea la società di produzione pubblicitaria Star e ricopre l’incarico di direttore artistico dell’Impresa generale di affissioni e pubblicità Igap tra il 1922 e il 1936. Sono anni di lavoro per i marchi Strega, Pirelli, La Rinascente e l’Istituto nazionale assicurazioni. In veste di decoratore affresca la mensa del Ministero dell’Aeronautica di Roma. A fine anni Trenta viene chiamato da Italo Balbo in Libia, dove fa ritorno ancora nel 1951 su invito del Circolo degli italiani rimasti oltremare. Marcello Dudovich si spegne a Milano il 31 marzo 1962.
Giorgio Kienerk
Giorgio Kienerk nasce il 5 maggio 1869 a Firenze, dove si forma presso il regio ginnasio Galilei e dove costruisce l’apprendistato artistico sotto la guida di un amico del padre, impiegato al ministero della Pubblica Istruzione. Formatosi sia alla scultura sia alla pittura, il giovane Kienerk frequenta lezioni presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze e nel 1886 inizia a esporre le proprie opere. Nell’ambiente dell’esposizione della Promotrice conosce altri giovani artisti con cui instaura profonda amicizia, come Plinio Nomellini, al quale dedica due piccoli dipinti a olio. Si stringe a pittori di diversa estrazione, meditando le soluzioni figurative toscane del tempo e in particolare la lezione macchiaiola. Partecipa a più edizioni del concorso Baruzzi di Bologna dimostrando una maturazione nella ricerca di un contatto con il simbolismo europeo. Vagando tra i paesaggi toscani e apprendendo le novità parigine da amici e corrispondenti, Kienerk si pone come «l’anello vero» nella transizione «dalla macchia […] all’impressione». Negli anni Novanta si dedica al pastello, una soluzione tecnica congeniale alla nuova attività di illustratore. In questo senso si spiega la collaborazione dal 1893 con l’editore Bemporad, a fianco del quale l’artista contribuisce a libri per bambini e testi scolastici, e dal maggio 1896 con il settimanale “Fiammetta”, dove l’impronta grafica di Kienerk rinvia allo Jugendstil. Nel periodo successivo i rapporti con riviste italiane e straniere si infittiscono, da “Novissima” a “La Riviera Ligure”; nel 1899 si segnala la sua partecipazione al concorso indetto da Alinari per l’illustrazione della Divina Commedia. Membro onorario di istituzioni di prestigio tra Firenze e Milano, il pittore vede la propria fama consolidarsi in Italia e all’estero, con partecipazioni sempre più fitte a eventi ed esposizioni tra Torino e Venezia, Lione e Monaco. Dopo un breve soggiorno parigino, nel 1905 Giorgio Kienerk vince il concorso per il posto di direttore della Civica Scuola di Pittura di Pavia, città alla quale rimane legato nel corso dei decenni a venire e dove nel tempo l’insegnamento prevale sul diretto impegno artistico. Non mancano nuove occasioni di peregrinazione tra le capitali dell’arte, spingendosi sino in Argentina nel corso degli anni Venti. Dopo il pensionamento del 1934 la vita professionale di Kienerk prosegue tra mostre collettive e personali in Toscana e in Lombardia, fino alla più completa delle esposizioni tenutasi presso la Galleria del Bramante e composta da una quarantina di dipinti nel 1947. L’anno successivo l’artista muore nella villa pisana della moglie, dove la famiglia si è stabilita nel 1943 per sfuggire a una guerra che non lascia indenne la casa fiorentina nella stagione dei bombardamenti.
Franz Laskoff
Franz Laskoff nasce nella città polacca di Bromberg, all’epoca parte integrante della Prussia, nel 1869. Tra lacune documentarie che si susseguono lungo l’intera vita dell’artista, si sa per certo che nel 1895 l’illustratore costruisce la propria formazione artistica a Strasburgo, dove partecipa anche a un’esibizione con un manifesto rivelatore degli influssi della pittura coeva sul suo stile, testimoniando in particolare le suggestioni meditate sull’opera di Eugène Grasset e di Henri de Toulouse-Lautrec. La consacrazione artistica avviene tra Parigi e Milano, dove Laskoff è per certo attivo sin dal 1898, impegnato presso le officine grafiche Ricordi e collaboratore di Leopoldo Metlicovitz e Adolf Hohenstein. Le illustrazioni del prussiano spezzano gli schemi consolidati dalla tradizione, con l’impiego di contrasti netti tra i colori e l’abolizione dei toni intermedi; le figure vengono poste su piani diversi, talvolta generando stacchi bruschi. Allo snodo tra Otto e Novecento appartengono anche le collaborazioni pubblicitarie di Laskoff con la ditta Mele o con riviste come “La Riviera Ligure” o “Musici e musicisti” – la futura “Ars et labor” – per la quale realizza copertine e spartiti. Anche il cioccolato Suchard e quotidiani quali il socialista “L’Avanti” si avvalgono della sua originalità grafica, in un panorama costellato da grandi disegnatori nel novero dei quali Laskoff si distingue per sforzo di sintesi, tra adattamento e originalità. La sua attività prosegue in Inghilterra, paese nel quale si finisce col perderne le tracce e presumerne la morte attorno al 1921.
Giovanni Maria Mataloni
Giovanni Maria Mataloni nasce in una famiglia nobile di origine marchigiana a Roma il 24 luglio 1868. Lacunose e confuse sono le informazioni relative alla sua formazione artistica, che per certo lo porta a collaborare stabilmente con le officine grafiche Ricordi nel 1891, nella duplice veste di tipografo e cartellonista, a fianco di figure significative come Adolf Hohenstein e Leopoldo Metlicovitz. Il suo esordio nel panorama del manifesto italiano data al 1895, quando realizza un’opera destinata al brevetto Auer per l’incandescenza a gas che colpisce un critico del tempo come Vittorio Pica, il quale ne tesse gli elogi in una lettera aperta alla scrittrice Matilde Serao, ripubblicata dalla rivista “Emporium” l’anno seguente. Ben inserito nei circoli pittorici della capitale, Mataloni entra a far parte dell’associazione In arte libertas, annoverato tra i ritrattisti. Resta legato alla Ricordi, ma collabora anche con la l’officina bolognese Chappuis e nel dicembre inoltrato del 1896 ottiene la copertina del numero speciale per Natale e Capodanno della “Illustrazione Italiana”. Negli anni a seguire l’artista realizza copertine monocrome per opere di natura scientifica, salvo poi allargare il proprio raggio d’azione con invenzioni pubblicitarie dedicate a manifestazioni cittadine di Roma, Milano e altri centri minori. Mataloni lavora anche con giornali come “L’Ora” di Palermo e periodici quali “Almanacco Italiano” e “Novissima”, per cui esegue la copertina dell’ottavo quaderno annuale del 1908. A quest’epoca risalgono pure la decorazione della sala da pranzo del Caffè Faraglia di Roma e l’allestimento del salone delle commissioni nel Palazzo dell’Agricoltura. Tra gli anni Venti e Trenta si situa l’ideazione di copertine per alcuni atlanti tematici promossi dalla casa editrice De Agostini di Novara. Giovanni Maria Mataloni si spegne a Roma il 21 settembre del 1944.
Leopoldo Metlicovitz
Leopoldo Metlicovitz nasce in una famiglia dalmata a Trieste il 17 luglio 1868. Ancora giovanissimo si impegna nella ditta di casa, specializzata in minuteria meccanica, e diventa un tecnico molto abile. Da questa esperienza discende l’impiego come litografo presso una tipografia della vicina Udine, seguito dal passaggio a Milano. Partito apprendista in aziende minori, Metlicovitz raggiunge la carica di direttore operativo presso le note officine grafiche dell’editore Giulio Ricordi, lavorando a stretto contatto con il disegnatore Giovanni Maria Mataloni e il direttore artistico Adolf Hohenstein, che lo sprona a presentare disegni propri. La carriera del triestino vira, in questo modo, verso la pittura e l’illustrazione, nell’ambito di Ricordi e con l’assorbimento onnivoro di suggestioni e scelte formali dalle principali correnti artistiche dell’Europa del tempo. Negli ultimissimi anni dell’Ottocento realizza il marchio del Fernet-Branca e stringe amicizia con Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini, che lo introducono al Teatro alla Scala, presso il quale l’artista si adopera come costumista e scenografo. Numerosi i manifesti operistici nei decenni successivi, dalla “Madama Butterfly” a “Turandot”. Anche le vittorie a concorsi nazionali e internazionali si sprecano, lungo una stagione in cui Metlicovitz viaggia per il continente e approda persino in Argentina a più riprese. Tra le copertine più note sono quelle per “La Lettura” e di “Musica e musicisti”, mensile trasformato in “Ars et labor” dal 1906. Tra le nuove collaborazioni si annoverano quelle con Pirelli, Moretti e i grandi magazzini Mele. Tra le due guerre gli interessi dell’illustratore si orientano sempre più verso la pittura dal vero, in ritratto o di paesaggio. Nel 1936 partecipa alla prima edizione del Premio Cremona e un paio di anni dopo cessa la collaborazione longeva con Ricordi. Metlicovitz muore nella sua villa di Ponte Lambro il 19 ottobre 1944.
Mostra a cura di
Luca Guaschetti
Clelia Chiarolini
Marco Carobbio
Un progetto di
Comune di Bergamo
Giorgio Gori, Sindaco
Nadia Ghisalberti, Assessore alla Cultura
Massimo Chizzolini, Dirigente Direzione cultura, BGBS23, sport ed eventi
Maria Elisabetta Manca, Responsabile Biblioteca Civica Angelo Mai
Progetto grafico
#cartadesign – Dario Carta
Si ringraziano
Valentina De Padova
Giuseppe Malfitano
Fabio Poli
Giuseppe Redolfi