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Satira e melodramma nel Risorgimento

10 novembre 2023 – 25 febbraio 2024
Atrio scamozziano

Dalla storia all’attualità: la caricatura all’opera

Chi ha già visitato la mostra Tutta in voi la luce mia all’Accademia Carrara, lo avrà percepito con chiarezza. La rievocazione del passato messa in scena dalla pittura di storia è in perfetta sintonia con il melodramma. La caricatura, invece, sembra andare in direzione opposta. Non rappresenta il passato ma il presente. Non si ispira alla storia ma all’attualità più palpitante. Eppure, negli anni caldi dell’Italia risorgimentale non mancano intrecci imprevisti tra opera lirica e caricatura. Questa mostra vuole documentarne alcuni, nella convinzione che la satira visiva consenta un punto di vista non scontato sul processo di affermazione del melodramma nella cultura risorgimentale. Trattata con sospetto e relegata alla dimensione privata negli anni della Restaurazione, la caricatura si afferma in Italia soltanto nel 1848. Attraverso il nuovo medium del giornale satirico illustrato, essa diventa una delle forme di comunicazione più popolari e tipiche dell’Ottocento.
Il percorso espositivo prende avvio dalle caricature teatrali realizzate nella Francia della Monarchia di Luglio, fondamentale punto di riferimento per i caricaturisti italiani, per poi focalizzarsi sull’Italia risorgimentale. Accanto a una selezione di disegni originali, sono esposte soprattutto le immagini stampate sui giornali satirici, in gran parte provenienti dal fondo di Paolo Moretti, di recente donato alla Biblioteca Mai. Due sono i filoni principali della mostra. Il primo documenta il crescente ruolo rivestito dal melodramma nella storia della caricatura politica. Avviato sin dal 1848 con l’uso disinvolto e attualizzante dei versi dei librettisti come didascalie per immagini satiriche, il riferimento alle opere liriche più note consente ai caricaturisti di attingere a un potente patrimonio, condiviso con un pubblico sempre più vasto. Il secondo riguarda la documentazione visiva del mondo operistico attraverso uno specifico genere di umorismo grafico: la caricatura teatrale che, dalla metà degli anni Cinquanta, rinnova in senso balzachiano la tradizione di Anton Maria Zanetti e Pier Leone Ghezzi. È in questa fase che emergono alcuni caricaturisti specializzati nel genere teatrale: Teja, Delfico, Parera, sono i protagonisti della mostra, insieme a un’indiscreta folla di “spettatori parlanti” che, come in un rumoroso teatro ottocentesco, popolano il percorso espositivo. Tra questi ultimi, anche il vecchio Hayez, il più grande pittore di storia dell’Ottocento italiano, ritratto in caricatura da Parera, a segnare una continuità tra questa piccola mostra e la grande esposizione della Carrara.

Aria di Parigi: Donizetti caricaturista e caricaturato

A Milano, nel 1841, Gaetano Donizetti schizza su un foglio il proprio autoritratto per donarlo alla cantante Sofia Loëwe, di cui si è invaghito. Per rapidità, leggerezza e ironia nel marcare alcuni dettagli fisiognomici, questo disegno ha tutta l’aria di un’autocaricatura. Ed è possibile che sia stato stimolato da un confronto ravvicinato con l’esuberante contesto umoristico francese. Intorno al 1840, infatti, Donizetti ha gli occhi dei caricaturisti puntati addosso. Dopo Rossini, prima di Verdi, spetta a lui “la parte” del genio musicale italiano nella vorace stampa d’Oltralpe. Si veda per esempio il ritratto caricaturale realizzato da Benjamin per il Panthéon charivarique, una raccolta umoristica di celebrità artistiche contemporanee pubblicata sul leggendario “Le Charivari”. Il compositore bergamasco è colto di profilo, chino sul tavolino. Con una mano scrive opere buffe, con l’altra quelle serie. La caricatura allude al fatto che nella primavera del 1840 erano andate in scena nello stesso momento La fille du régiment all’Opéra-Comique e i Martyrs all’Opéra. In questi anni, la centralità donizettiana sulla scena parigina emerge anche in un altro “Panthéon” umoristico, realizzato da uno dei caricaturisti più attenti alla sfera musicale, quel Traviès di cui si può ammirare in mostra (teca grande), anche la serie dei Musiciens de la chapelle: un’impietosa sfilata grottesca che mette alla berlina i politici della Monarchia di Luglio, meri esecutori dei voleri del re Luigi Filippo d’Orléans. In maniera assai più benevola, nel grande Panthéon Musical, Traviès ironizza ancora sulla prolificità del genio donizettiano. Al centro della scena, popolata dai più importanti compositori in circolazione, Donizetti spicca infatti alla guida di una locomotiva a vapore, simbolo per eccellenza del progresso ottocentesco. Il genio si è industrializzato.

Le riviste

Le Charivari: publiant chaque jour un nouveau dessin. Paris, 1832-1937
Fra i primi e più leggendari giornali satirici della Monarchia di luglio, pubblicato a Parigi dal primo dicembre 1832 sino al 1937. Viene fondato da Charles Philipon, con Luis Des Noyers redattore capo. Quotidiano sino al 1836, poi settimanale.
Di orientamento repubblicano e anticlericale, sostiene venti processi sotto il regno di Luigi Filippo, ma conta molti abbonati anche tra i sostenitori del partito legittimista.
Tra il 1835 e il 1848, a seguito del divieto governativo di pubblicare caricature politiche, “Le Charivari” si occupa principalmente di satira di costume.
Tra i disegnatori: Charles-Joseph Traviès de Villers (Traviès), Honoré Daumier, Grandville (pseudonimo di Jean-Ignace-Isidore Gérard) e Paul Gavarni (pseudonimo di Guillaume Sulpice Chevalier).

Visioni sonore dal 1848

In Italia la caricatura esplode come pratica sociale, politica, artistica nel 1848. In breve, diventa uno dei linguaggi privilegiati della stampa illustrata. Non di rado, i giornali satirico-politici del biennio 1848-49 impiegano i versi dei libretti operistici per accompagnare le immagini satiriche, allo scopo di rafforzarne l’impatto emotivo. Per esempio, il 13 febbraio del 1849, a pochi giorni dalla proclamazione della Repubblica Romana, il più importante giornale satirico romano, “Il Don Pirlone”, affida a un’allegoria femminile le parole minacciose cantate dal capo dei druidi Oroveso nella prima scena della Norma belliniana. Cantando i versi di Felice Romani e suonando una campana dalla forma rivoluzionaria di berretto frigio, la Repubblica mette in fuga i suoi più acerrimi nemici: il papa Pio IX e i monarchi italiani.
Sul napoletano “L’Arlecchino”, il 30 ottobre del 1848, compare invece una doppia vignetta dedicata alle rappresentazioni dell’Attila di Verdi al San Carlo. Questa, letteralmente, mette in scena un contrasto tra i primi fervori quarantotteschi e la successiva repressione borbonica. Il 29 gennaio 1848, il teatro, umanizzato da una metamorfosi grafica alla maniera di Grandville, vestiva gli abiti del generale romano Ezio e imbracciava una bandiera tricolore. Il 26 ottobre 1848, lo stesso San Carlo viene preso per il braccio da uno sgherro borbonico che lo spintona verso la prefettura. La manipolazione dell’aria di Foresto concorre a ribadire il concetto: nella Napoli borbonica teatro, politica, repressione si intrecciano in maniera indissolubile. Al punto che, dall’autunno del 1848, a causa dell’inasprirsi della censura, “L’Arlecchino” lascia sempre più spazio agli spettacoli cittadini e quasi si trasforma in un vero e proprio giornale teatrale. Quando si chiudono gli spazi della politica, insomma, si aprono quelli del teatro.

Le riviste

L’Arlecchino: giornale comico politico di tutti i colori. Napoli, Tipografia Flautina, 1848-1849; 1860-1864
Quotidiano, nato a Napoli, il 18 marzo 1848, cessa le pubblicazioni il 16 giugno 1849. Dal 15 ottobre 1848 pubblica una edizione domenicale. Viene sospeso dal 14 al 29 maggio del 1848 dopo l’assalto alla redazione da parte della polizia borbonica in seguito ai fatti del 15 maggio 1848. Fondato da Achille de’ Lauzieres (celebre librettista) e diretto da Emanuele Melisurgo, ospita le tavole caricaturali di Pasquale Mattei e di Enrico Colonna. A partire dall’autunno del 1848, a causa dell’inasprirsi della censura borbonica, il giornale lascia sempre più spazio agli spettacoli cittadini, quasi trasformandosi in un giornale teatrale, fino alla chiusura. Il 4 novembre 1860 dalle ceneri del periodico “Torre di Babele” (pubblicato in soli due numeri il 28 ottobre e il 1° novembre del 1860), riprende le pubblicazioni, in veste nuovamente battagliera, con il titolo “Arlecchino giornale caos di tutti i colori”. Stampato a Napoli, presso lo Stabilimento Tipografico Belle arti, dal 1860 al 1864, accoglie le straordinarie caricature di Melchiorre Delfico.

Il Don Pirlone: giornale di caricature politiche. Roma, 1848-1849
Il giornale satirico “Il Don Pirlone” nasce a Roma per iniziativa dei giornalisti di area liberale Michelangelo Pinto e Leopoldo Spini, in associazione con il tipografo Alessandro Natali. Viene pubblicato dal primo settembre 1848 al 2 luglio 1849, con una sospensione dal 29 aprile al 7 maggio 1849.
Con il motto “Intendami chi può, ch’i m’intend’io”, il giornale era quotidianamente (con l’eccezione dei festivi) stampato e venduto a Palazzo Bonaccorsi, presso la sede del giornale politico “L’Epoca”. Il titolo probabilmente si ispira al personaggio messo in scena dal senese Girolamo Gigli nella sua famosa commedia di inizio Settecento, “Don Pilone, ovvero il bacchettone falso”.
Nato dopo il voltafaccia di Pio IX e la caduta del governo Mamiani, “Il Don Pirlone” si scaglia contro il potere temporale del Papa, dapprima opponendosi ferocemente al governo di Pellegrino Rossi, poi schierandosi apertamente a favore della Repubblica Romana. Il disegnatore più importante è il friulano Antonio Masutti.

Parodie visive: un repertorio risorgimentale

Nel 1853, Francesco Redenti, il primo caricaturista professionista italiano, disegna sulle pagine del torinese “Il Fischietto” una personificazione della Libertà di Stampa. Come la Sonnambula belliniana, la giovane donna cammina pericolosamente sulla fragile grondaia della Costituzione albertina. Si tratta di una delle prime parodie visive di un’opera lirica nella caricatura politica italiana. Con parodia visiva s’intende qui l’uso di un’immagine nota al pubblico, che il disegnatore impiega per “spiegare” ai lettori una particolare situazione politica. Il progressivo incremento di questo tipo di riferimenti nella caricatura politica italiana dimostra che, a partire dagli anni Cinquanta dell’Ottocento, il repertorio operistico viene percepito sempre più come un repertorio “popolare”. Con la seconda guerra d’indipendenza, quando una nuova ondata di giornali satirico-politici travolge la penisola, l’uso parodistico dei melodrammi più celebri è ormai una consuetudine per i caricaturisti, sicuri di servirsi di un patrimonio attuale e condiviso con un pubblico sempre più vasto. Rispetto alla fase quarantottesca, emerge prepotentemente la dimensione visuale dell’opera lirica. Esemplari sono le vignette del giornale fiorentino “Il Lampione”, dove scafati disegnatori quali Cabrion (Nicola Sanesi) e Mata (Adolfo Matarelli) “allestiscono” diverse opere caricaturali: il celebre terzetto de I Lombardi alla prima Crociata, per esempio, serve a insinuare l’idea di una tardiva conversione di Francesco II delle Due Sicilie davanti al Cardinale Antonelli, sotto gli occhi severi di Garibaldi. L’affollata scena del Barbiere di Siviglia consente invece di mostrare le traversie del primo governo Ricasoli. Su questa linea si inseriscono anche i paginoni già post-risorgimentali del primo giornale colorato italiano, il bolognese “Il Papagallo”, dove Augusto Grossi declina le opere liriche in un senso ancora più scenografico e popolaresco, per presentare gli attori della turbolenta Europa dei nazionalismi. L’Europa che, come Norma, tiene a freno le mire coloniali dell’Inghilterra in abito da Pollione. L’Europa di Léon Gambetta che canta un’aria del Barbiere per conquistare la Presidenza della Terza Repubblica francese.

Le riviste

Il Fischietto: bizzarrie d’attualità. Rivista illustrata con disegni originali. Torino, Cassone, 1848-1916
Trisettimanale satirico pubblicato a Torino dal 2 novembre del 1848 al 22 luglio del 1916. Esce il martedì, il giovedì e il sabato; dal 1° gennaio 1853 è quotidiano, salvo la domenica, ma nel gennaio 1854 torna ad essere trisettimanale. Il 16 giugno 1870 assorbe “Il Diavolo: giornale umoristico con caricature”.
Viene fondato dal disegnatore e caricaturista Lorenzo Pedrone (pseudonimo Icilio) e dal tipografo Giuseppe Cassone. Primo direttore ne è il poeta Carlo Avalle.
Di tono fortemente liberale e cavouriano, raggiunge sotto la direzione di Avalle, le 3000 copie di tiratura, benché bandito al di fuori del Regno di Sardegna. Sempre fedele alla casa reale e all’ideale di unità nazionale, a differenza di molte testate satiriche, continua le pubblicazioni dopo i moti del ’48. Con la Restaurazione i bersagli preferiti diventano l’Austria e i suoi ministri.
Sulle pagine de “Il fischietto” compaiono, tra le altre, caricature di Francesco Redenti, Ippolito Virginio, Puff (pseudonimo di Casimiro Teja) e Giulio (pseudonimo di Jules Plattier).

Il Lampione: giornale per tutti. Firenze, Tofani, 1848-1895
La rivista satirica “Il lampione”, di orientamento liberale, nasce a Firenze come bisettimanale il 13 luglio 1848 per volontà di Giacinto Tofani, che lo firma come direttore-proprietario e lo stampa nella sua tipografia. Le prime caricature vengono inserite dall’ottobre 1848. La pubblicazione viene sospesa con il n. 222 dell’11 aprile 1849. Dal 15 maggio 1860 la testata rinasce sotto la direzione di Carlo Lorenzini, oggi noto come Collodi, sopravvivendo, tra alterne vicende e diversi cambi di direzione, sino al 1895.
Tra i maggiori illustratori si contano, Cabrion (pseudonimo di Nicola Sanesi), Mata (pseudonimo di Adolfo Matarelli), Angiolo Tricca, Leopoldo Cipriani e il pittore macchiaiolo Telemaco Signorini.

Il Papagallo: giornale colorato politico umoristico. Bologna, 1873-1915
“Il Papagallo” nasce a Bologna il 5 gennaio 1873. Viene pubblicato dal 5 gennaio 1873 al maggio 1915. Esce ogni domenica; dal 1873 il giovedì e successivamente il sabato. E’ inizialmente diretto da Manfredo Manfredi e dal vignettista di idee progressiste Augusto Grossi.
Dal 7 maggio 1876 prende l’avvio un’edizione francese “Le Perroquet” e dal maggio 1879, per un anno, anche un’edizione inglese: “The Parrot”.
Le pagine centrali si occupano prevalentemente di politica estera e sono illustrate in cromolitografia su disegni di Augusto Grossi.

La caricatura teatrale: Casimiro Teja dal “Trovatore” al “Pasquino”

Il fallimento delle rivoluzioni quarantottesche segna il ritorno della censura sulla stampa. Nei diversi stati italiani chiudono o falliscono centinaia di giornali. Fa eccezione il Regno di Sardegna, in cui lo sviluppo della stampa satirica a figure prosegue in (relativa) libertà. Proprio a Torino, nel 1854, nasce uno dei primi periodici illustrati espressamente dedicati alla vita teatrale. In aperto omaggio verdiano, il giornale si chiama “Il Trovatore” ed è diretto dal critico e librettista Marcelliano Marcello. Nel 1855 “Il Trovatore” assume in pianta stabile un giovane e promettente caricaturista, formatosi sulle pagine del più importante giornale satirico piemontese, “Il Fischietto”. Casimiro Teja, questo il nome del giovane disegnatore, rinnova profondamente la caricatura teatrale di matrice settecentesca. È abilissimo nell’enfatizzare i contatti del teatro con l’attualità politica. Realizza recensioni figurate delle opere rappresentate nei teatri torinesi. Allarga lo sguardo dalle celebrità musicali a tutto un sottobosco teatrale brulicante di mode pittoresche e di bizzarri tipi sociali: dall’astuto impresario all’appendicista dandy. Nelle sue vignette, poi, emerge con forza un nuovo protagonista: il pubblico, in forte allargamento nel corso dell’Ottocento, e via via più diversificato socialmente. La sua influenza sugli altri disegnatori italiani sarà decisiva anche perché, dal 1856, Teja realizza gustose caricature teatrali anche per il “Pasquino”. Un nuovo giornale umoristico torinese, dichiaratamente “non politico” e concepito, sotto l’occhio benevolo di Cavour, per superare le forti barriere censorie dei vari stati italiani. Sarà un successo. Il “Pasquino” circolerà anche in contesti, come la Toscana e il Lombardo Veneto, dove vigeva un oscuro regime censorio.

Le riviste

Il Trovatore: giornale letterario, artistico, teatrale. Torino, poi Milano, 1854-1913
“Il Trovatore” è un giornale teatrale fondato a Torino da Michele Marco Marcelliano Marcello nel 1854, anno in cui, dopo la prima assoluta del gennaio 1853 a Roma, l’omonima opera verdiana viene presentata nella capitale sabauda. Dal 1855 viene illustrato con disegni di Casimiro Teja. Dal 1859, all’indomani dell’annessione della Lombardia al Regno di Sardegna, la pubblicazione è trasferita a Milano. Durante il periodo milanese, le illustrazioni sono realizzate da Vespasiano Bignami.
Sospeso nel 1908 in seguito alla fusione con la rivista “Il palcoscenico”, riprende la pubblicazione autonoma dal 1909 al 1913.

Pasquino: giornale umoristico, non politico, con caricature. Torino, Tipografia Scolastica di Sebastiano Franco e Figli, 1856-1955
Il giornale “Pasquino” viene fondato a Torino nel 1856 dai giornalisti Giuseppe Augusto Cesana e Giovanni Piacentini su ispirazione di Cavour. Il primo numero esce il 27 gennaio 1856, con il sottotitolo “Giornale umoristico, non politico, con caricature” che successivamente diventa “Giornale umoristico con caricature”. L’immagine della testata è di Casimiro Teja. Variano il sottotitolo, il luogo di stampa e gli editori.
Esce ogni domenica sino al 1914. Sospeso nel 1917 e dal 1931 al 1948, l’ultimo numero è del 9 agosto 1955.
Sin dal primo numero, “Pasquino” è illustrato da Casimiro Teja, che dal 1865 al 1897 ne è anche direttore.
Nel 1919 la direzione è affidata a Pio Vanzi, con disegni di Giovanni Manca, Dalsani (pseudonimo di Giorgio Ansaldi), Giuseppe Scalarini, Carlin (pseudonimo di Carlo Bergoglio), Gec (pseudonimo di Enrico Gianeri).
Soppresso dal fascismo nel 1930, ricompare nel 1949, dopo la Liberazione, sotto la direzione di Gianeri, che lo porta fino al 1955.

La caricatura teatrale nel Lombardo-Veneto: esordi di José Parera

Il modello del torinese “Pasquino” stimola, nel 1856, la nascita di giornali umoristici illustrati ostentatamente “non politici” in contesti, come il Lombardo-Veneto e il Granducato di Toscana, in cui la caricatura politica era proibita dalla censura. Sul crinale tra il dire e il non dire, il mostrare e il non mostrare, questi nuovi periodici (“L’Uomo di Pietra”, “Quel che si vede e quel che non si vede”, “Il Pungolo”, “Il Panorama”) si concentrano su arte, letteratura, teatro, che non di rado utilizzano per sottili allusioni politiche.
Sulle pagine del milanese “L’Uomo di Pietra” – fondato tra gli altri da Cletto Arrighi e da Antonio Ghislanzoni, futuro librettista dell’Aida – muove i primi passi lo spagnolo José Parera. Cantante dilettante e pittore, con lo pseudonimo donchisciottesco di Don Sancio, Parera tiene una rubrica visiva di Attualità teatrali: ironiche recensioni figurate delle opere rappresentate nei teatri milanesi. Il 28 novembre 1857, Don Sancio inserisce su un doppio foglio un’impietosa critica del Rigoletto messo in scena al Teatro di Santa Radegonda, nonché un raro ritratto di Bellini tornato al mondo per fustigare gli interpreti della Straniera, da poco riproposta alla Canobbiana. Nel 1858 inaugura una nuova rubrica visiva: il Gabinetto stereoscopico dell’Uomo di Pietra, in cui si cimenta col genere del ritratto caricaturale (individuale o di coppia) a tutta pagina di celebrità musicali contemporanee, come il leggendario contrabbassista Giovanni Bottesini e il violinista Cesare Trombini. D’ora in poi, il ritratto caricaturale diventa la sua specialità. A partire dagli anni Sessanta, Parera realizza – su modello del Panthéon charivarique, ma aggiornato dal confronto con le caricature di André Gill – un ricchissimo “Panthéon” dedicato al mondo teatrale italiano ed europeo, oggi in collezione privata. Se ne espongono qui due acquerelli, rispettivamente dedicati al compositore Georges Bizet, con in braccio la sua Carmen, e all’editore musicale Giulio Ricordi, la cui ombra evoca la privata attività di compositore, con lo pseudonimo di Jules Burgmein.

Le riviste

L’Uomo di pietra: giornale letterario, umoristico-critico con caricature. Milano, 1856- 1916
Il periodico nasce a Milano il 15 novembre 1856. Si pubblica ogni sabato dalle 4 alle 6 pomeridiane. Settimanale, dal n. 27 (20 agosto 1859) diventa trisettimanale. Dal n. 78 (30 giu. 1860) è diretto da Emilio Treves. Varia il complemento del titolo. Fondato da Camillo Cima e Cletto Arrighi, vede tra i collaboratori intellettuali e letterati, alcuni dei quali vicini al mondo scapigliato (Giovanni Raiberti, Antonio Ghislanzoni, Giuseppe Rovani, e Ippolito Nievo).
Presenta disegni di: Don Pacifico (pseudonimo di Camillo Cima), Don Sancio (pseudonimo di José Parera), Don Ciccio (Luigi Borgomainerio), Sebastiano De Albertis, Giulio Gorra.

Quel che si vede e quel che non si vede. Venezia, Tipografia Naratovich, 1856-1857
Fondato a Venezia il 2 novembre 1856, si mantiene in vita per soli dieci numeri, dal 2 novembre 1856 al 4 gennaio 1857, quando viene chiuso dalle autorità austriache. Leone Fortis ne è dapprima collaboratore e poi direttore.
La testata presenta un diavolo zoppo che impugna, minaccioso, una stampella.
Foglio elegante, ironico, ricco di disegni bozzettistici originali, presenta illustrazioni umoristiche di Osvaldo Monti, Salvatore Mazza, Testimocle Prola, Sebastiano De Albertis, Arimane. Ospita poesie e articoli di Ippolito Nievo e Arnaldo Fusinato.

Il Pungolo: giornale critico-letterario illustrato. Milano, Tipografia Redaelli, 1857-1895
Settimanale satirico fondato e diretto da Leone Fortis.
Nato a Milano il 7 marzo 1857 vive sino all’aprile 1858. Dopo la liberazione della Lombardia, Fortis riprende le pubblicazioni dapprima a Milano e poi a Napoli. Nella testata il diavolo zoppo Asmodeo, uno degli pseudonimi di Fortis, punzecchia con il forcone un gruppo di malcapitati.
Il settimanale si impone per l’attenzione prestata al mondo teatrale nonché per il profilo dei suoi collaboratori: il critico musicale Filippo Filippis, gli scrittori Ippolito Nievo e Cletto Arrighi, il poeta Arnaldo Fusinato.
Presenta i disegni di Sebastiano De Albertis, Salvatore Mazza, Temistocle Prola, Paolo Riccardi, Arimane. Nel 1860, sempre sotto la direzione di Leone Fortis ,“I Pungolo” diventa un importante giornale quotidiano (ma non illustrato).

Panorama: giornale critico-letterario illustrato. Milano, Tipografia Giuseppe Redaelle, 1858
Dopo la soppressione de “Il Pungolo”, Leone Fortis fonda “Panorama”: il direttore, già tra i fondatori di “Quel che si vede e quel che non si vede” e, appunto de “Il Pungolo”, confida sui cambi di titolo delle testate per superare il controllo della censura. “Panorama” nato a Milano il 14 aprile 1858, sopravvive sino al 31 ottobre 1858.
“Giornale critico letterario illustrato – si pubblica ogni sabato”. Il motto della rivista è: Frangar, non flectar.
Illustrato da litografie, molte a piena pagina, ospita disegni di Salvatore Mazza, Arimane e Fanfulla.

Un modello europeo: André Gill

Specialista e innovatore nel genere del ritratto caricaturale, André Gill diventa noto in tutt’Europa per le formidabili copertine dei giornali parigini “La Lune” (1865-1868) e “L’Eclipse” (1868-1876). Grazie alle caricature di Gill, che alternano la politica ai ritratti dei protagonisti della vita culturale parigina, i giornali di proprietà dell’editore François Polo ottengono tirature altissime ma anche frequenti persecuzioni censorie. Molte copertine sono dedicate alle celebrità musicali del tempo, a commento dei più recenti eventi teatrali parigini. Negli anni Sessanta e Settanta, sono un fondamentale termine di confronto anche per i caricaturisti attivi in Italia, tra cui Josè Parera. La copertina di Jacques Offenbach a cavallo di un violoncello, è la prima caricatura teatrale realizzata da Gill per “La Lune”. Il violoncellista e maestro dell’operetta aveva appena trionfato a Parigi con La vie parisienne. Alle sue spalle i personaggi delle sue precedenti operette: un cane di nome Barkouf, altra celebre opera buffa di Offenbach, fugge lontano. Gill è ben più feroce con il grande, ma qui piccolo, Wagner, intento a piantare con un martello le sue note in un orecchio mastodontico, che sanguina copiosamente. Si tratta di una critica spietata a un compositore malvisto in Francia sin dalla rappresentazione parigina di Tannhäuser, nel 1861. Dopo questa caricatura, realizzata nel 1869, le copertine di Gill lasciano sempre meno spazio al teatro e alla musica. L’imminente crollo del Secondo Impero di Napoleone III catalizza, con i suoi scricchiolii, gli interessi del disegnatore. D’altra parte, in questo giro d’anni, gli occhi del pubblico francese sono tutti per la politica, le orecchie per i cannoni prussiani che avanzano minacciosamente su Parigi.

Le riviste

L’Eclipse. Paris, 1868-1876
La rivista satirica “L’Eclipse” nasce a Parigi il 26 gennaio 1868 dalla collaborazione del disegnatore André Gill con il direttore François Polo. Sospesa da ottobre 1870 a maggio 1871, cessa le pubblicazioni nel giugno 1876. André Gill, pseudonimo di Louis-Alexandre Gosset, illustratore, incisore, disegnatore, pittore e scrittore vissuto dal 1840 al 1885 aveva condiviso con Polo la pubblicazione della rivista “La Lune” censurata, ‘eclissata’, per una caricatura su Napoleone III nel dicembre 1867 e chiusa il 17 gennaio 1868.
“L’Eclipse”, composta da un solo foglio, diventa la vetrina nella quale André Gill espone splendide caricature a colori dei suoi contemporanei, politici e non.

La Lune: paraissant toutes les nouvelles lunes. Paris, Imprimerie Internationale de G. Towne, 1865-1868
Fondata a Parigi da François Polo che ne è anche direttore artistico, “La Lune” è pubblicata a partire dall’ottobre 1865 dall’Imprimerie Internationale. Il nome è scelto in antitesi alla rivista “Soleil”, allora il principale concorrente sul mercato.
“La Lune” mensile fino al numero 6 del marzo-aprile 1866 – era prevista l’uscita al comparire di tutte le nuove lune – grazie al grande successo adotta dal numero 7 del 22 aprile 1866 una frequenza settimanale, modificando il sottotitolo in “Semaine comique illustré”. La pubblicazione viene soppressa con il numero 98 del 17 gennaio 1868, per riapparire in seguito come “L’eclipse”.
Tra i disegnatori principali che vi collaborano si ricordano: André Gill, Carlo Gripp, Georges Labadie Pilotell (Pilotell), Draner (pseudonimo di Jules Joseph Georges Renard), Gédéon Baril, Édouard Pépin, Alfred Grévin, Cham (pseudonimo di Charles Amédée de Noé) e Alfred Le Petit.

Melchiorre Delfico

È nella Napoli di seconda Restaurazione che esordisce il più raffinato caricaturista teatrale dell’Ottocento italiano: il teramano Melchiorre De Filippis Delfico. Dopo gli inizi da compositore, Delfico intraprende la strada della caricatura specializzandosi sui tipi pittoreschi dell’ambiente teatral-musicale napoletano. Ai secondi anni Cinquanta si datano i primi ritratti caricaturali di Giuseppe Verdi, realizzati in occasione delle tribolate rappresentazioni delle opere verdiane al San Carlo. Negli anni, Delfico, folgorato, disegnerà un’infinità di affettuosi ritratti del compositore di Busseto, diventandone il devotissimo caricaturista personale.
In mostra è il primo, prezioso, album litografico pubblicato e messo in vendita dallo stesso disegnatore all’indomani dei plebisciti del 1860. Un successo commerciale che gli garantirà il posto fisso da caricaturista politico del nuovo “Arlecchino”. Apparentemente, l’Album di caricature in 24 tavole è costruito su un perfetto bilanciamento tra teatro e politica. Nove tavole sono di soggetto teatrale. Apre la sequenza una caricatura di Verdi che, bombardato di scritture, si schernisce altezzoso mentre, nella tavola successiva, Petrella tenta di intascarsene il più possibile. Due fogli dell’album sono di argomento artistico, anche se uno di essi mostra il pittore Domenico Morelli che, inflessibile, ritrae un Verdi inerme e fantasmatico, letteralmente segandogli la testa. Escluse due tavole ironicamente autobiografiche, le restanti nove sono caricature politiche. Ma la passione di Delfico per l’opera deborda anche su queste, che sono pregne di allusioni teatrali. Una Serenata di Garibaldi alla città di Venezia ancora austriaca contiene, per esempio, una citazione dal Barbiere. Una critica figurata della cessione di Nizza e Savoia a Napoleone III è, invece, modellata sul quartetto del Rigoletto, e via dicendo. Nella linea flessuosa e delicata di Delfico, caricatura, politica e melodramma danzano leggiadre. Meno leggiadra è la prima tavola del “Caos”, nuova impresa di Delfico dopo gli anni più battaglieri de “L’Arlecchino”, in cui lo smilzo disegnatore si mostra con un’autocaricatura mentre, sullo sfondo il San Carlo, cerca di sfuggire dalle pretese di un invadente impresario teatrale. Il confronto tra questi due strani imprenditori sottolinea la crescente importanza della dimensione commerciale di caricatura e melodramma.

Il Fondo Paolo Moretti per la satira politica alla Biblioteca Angelo Mai

Dalla primavera del 2023 la Biblioteca Civica Angelo Mai conserva, per munifica volontà del donatore, il Fondo Paolo Moretti per la satira politica la più ricca collezione specializzata oggi presente in Italia.
Forte di un grande numero di riviste italiane del settore, dal Risorgimento ai tempi nostri passando per la prima guerra mondiale e il ventennio fascista, e di una cospicua presenza di giornali francesi, tedeschi ed inglesi (tra questi la particolarmente rara collezione del londinese “Punch” dal 1841, anno di fondazione) il Fondo Moretti si colloca tra le prime dieci biblioteche sulla satira in ambito internazionale. La destinazione pubblica del Fondo inscrive il nome di Paolo Moretti, che sin dal 2005 ha aperto a studiosi e ricercatori interessati alla storia della satira e dell’umorismo grafico la sede privata in Città Alta, nella tradizione del mecenatismo civico che ha generato e accresciuto le principali Istituzioni culturali di Bergamo. Negli ultimi anni Paolo Moretti ha curato esposizioni e presentazioni del suo patrimonio in diverse sedi pubbliche. In collaborazione con la Biblioteca Angelo Mai sono state organizzate due fortunate mostre: nel 2018 “Arte per ridere – La caricatura italiana dal Cinquecento ai tempi nostri” – seguita da un’appendice itinerante in provincia di Bergamo e proposta anche presso la Biblioteca del Senato della Repubblica – e nel 2021 “L’Assiette au Beurre. L’immagine satirica della Belle Époque” completata da una giornata di studi internazionale i cui atti sono in corso di pubblicazione su “Bergomum. Bollettino della Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo”.
Ai 4.000 libri ed almanacchi e ai circa 70.000 numeri di giornali e riviste rappresentativi di 400 testate satiriche, la Biblioteca Mai ha destinato un apposito spazio, attualmente in fase di allestimento, che consentirà di mantenere l’unitarietà del Fondo, di garantirne la libera consultazione e la valorizzazione con apposite iniziative e progetti di studio che favoriscano anche il mantenimento e l’ampliamento dell’articolata rete di relazioni con diverse Università e Istituzioni italiane e straniere.

Mostra a cura di
Sandro Morachioli, Paolo Moretti. Maria Elisabetta Manca

Comune di Bergamo
Giorgio Gori, Sindaco
Nadia Ghisalberti, Assessore alla Cultura
Elena Pasini, Dirigente Direzione Cultura BGBS23, sport, eventi, partecipazione e commercio
Cristiana Iommi, Responsabile Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici

Si ringraziano
Luca Guaschetti
Fabrizio Capitanio
Clelia Chiarolini
Paolo Fabbri
Roberta Frigeni
Francesca Giupponi
Elena Lissoni
Laura Luzzana
Lucia Marinelli
Francesca Olmo
Chiara Valagussa
Anna Varaldo

Prestatori
Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III”, Napoli
Museo delle Storie – Museo Donizettiano, Bergamo,
courtesy Congregazione della Misericordia Maggiore, Bergamo – MÎA
Monica Albani
Riccardo Lia

Allestimento
Ideazione, progettazione e coordinamento Federica Parolini

Concept creativo e realizzazione
NT Next Evolving Communication, Bergamo

Assicurazione
Liberty Speciality Markets