Verona è città dal destino dantesco, lo ha dimostrato a più riprese nel corso della sua storia, dai tempi dell’ospitalità accordata da Cangrande all’esule fiorentino in anni decisivi per la redazione delle tre cantiche della Commedia e fino alla celebre Lectura Dantis promossa un sessantennio fa dal Centro Scaligero dedicato al poeta. Un ruolo significativo il centro sull’Adige l’ha, inoltre, rivestito nel corso del Settecento, quando Verona divenne uno dei poli più importanti del panorama tipografico italiano, dando alle stampe testi centrali del tardo Medioevo e dalle alterne fortune editoriali durante la prima Età moderna. Tra gli autori principali coinvolti in questa operazione di recupero del panorama culturale italiano spicca la figura di Dante, quando intellettuali e commentatori come Scipione Maffei e Giuseppe Torelli contribuirono a questa temperie, vòlta anche alla riscoperta del padre della lingua nazionale. Pienamente partecipe di questo clima fu Antonio Cesari (1760-1828), sacerdote e traduttore, ma anche acuto linguista e conoscitore raffinato del dettato dantesco. Si può, anzi, dire come la dedizione di Cesari all’Alighieri non possa essere disgiunta dalla nascente questione della lingua.
Antiporta e frontespizio dell’edizione veneziana del 1832 della Dissertazione sopra lo stato presente
della lingua italiana di Cesari, originariamente pubblicata nel 1810 e in grado di suscitare
vivaci reazioni tra letterati del prestigio di Manzoni e Leopardi
Oltre a comporre una Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana, in anni coevi Cesari promosse una ripubblicazione con corpose aggiunte del Dizionario della Crusca, che vide così nuovamente le stampe a Verona tra il 1806 e il 1811. Distintosi nel frattempo quale brillante chiosatore di singoli passi danteschi per amici e corrispondenti, l’oratoriano veronese optò per una lingua armoniosa e raffinata, ricalcando i principi cinquecenteschi di Bembo e affondando la ricerca del lessico e della sintassi nella poesia dantesca come nella prosa di Boccaccio, di Sacchetti e dei novellieri minori del XIV secolo. Divenuto egli stesso scrittore di storielle e brevi racconti, le sue idee presero a circolare in ambienti letterari sempre più vasti, veicolate anche dal tardivo ricorso alla forma dialogica, una tipologia letteraria congeniale a Cesari nella stesura di una prima prova didascalica, Le Grazie, pubblicata nel 1813 e in cui sulla scorta del De oratore ciceroniano l’autore inscenò una disquisizione in tre parti sul tema della «ottima lingua», ambientata in una villa veneta alla fine del Settecento. Singoli luoghi danteschi trovano spazio nell’opera, anticipando il grande sforzo enciclopedico che vedrà il letterato cimentarsi universalmente con Dante nel decennio successivo.
Frontespizio de Le Grazie, prima prova letteraria in forma di dialogo del Cesari nel 1813, e copertina della seconda edizione della Ragione del bello poetico illustrata con esempi di Dante, impressa a Verona nel 1824
Agli albori degli anni Venti, infatti, prese le mosse il progetto di un commento completo e destinato a evidenziare le Bellezze della Commedia di Dante Alighieri, come riporta il titolo sin dalla prima edizione veronese, in cui si esplicita l’avvenuta stampa a dirette spese dell’autore. La forma prescelta è nuovamente quella del dialogo, nel quale sviluppare una guida completa fra le pieghe dei canti danteschi, frutto di un non facile assemblaggio di qualche decennio di analisi critica di singoli loci interni al poema. L’ideazione dell’opera risale all’inverno tra il 1820 e il 1821, nell’ambito del Giornale sulle scienze e lettere del Veneto, per il quale Cesari ideò una celebrazione di Dante quanto a lingua, a poesia e a eloquenza e compose un contributo proemiale e un primo discorso inerente l’Inferno. Abbandonata questa prima sede di pubblicazione per divergenze redazionali, il religioso fece circolare manifesti agli amatori di Dante nei quali promise l’imminente realizzazione di un piano a sé stante. Nell’arco del triennio 1824-1826 vennero così alla luce i tre volumi delle Bellezze, seguiti a breve distanza da un autonomo Indice delle cose notevoli, strumento della cui utilità Cesari dovette avvedersi già componendo il dialogo undecimo, conclusivo, del primo volume.
Frontespizio e dorso dei tre volumi delle Bellezze della Commedia di Dante Alighieri
di Antonio Cesari nella prima edizione veronese 1824-1826
Sullo scorcio del XVIII secolo, in casa di Giuseppe Torelli, l’autore colloca le discussioni sull’Inferno di tre amici, cui associa Girolamo Pompei per le cantiche successive. I sodali veronesi necessitano di alcuni giorni di ristoro tra un regno dantesco e l’altro, per quanto dai loro scontri retorici mai emerga tensione o pathos. Cesari trasformò, dunque, nuovamente la forma dialogo in un veicolo di trasmissione lineare, portavoce di una posizione unica, quella autoriale, incentrata sul primato poetico di Dante, il più perfetto cesellatore di unità tra idea e lingua. In tal senso, il veronese scelse l’impiego del testo dantesco approntato da Baldassarre Lombardi a fine Settecento, basandosi sulla celebre impressione padovana del 1822. L’edizione venne integrata con l’ausilio del codice Bartoliniano fissato da Quirico Viviani a Udine nel 1823 e con il Dante stampato in Roveta nel 1820 da Luigi Fantoni, meritevole di fedeltà al codice Vaticano Latino 3199, ai tempi reputato autografo di Boccaccio. Un supporto addizionale alle scelte testuali di Cesari giunse, infine, dalla consultazione del codice mantovano Capilupi, prestato dal proprietario al religioso e oggi identificabile con il manoscritto 405 della Pierpont Morgan Library di New York.
Frontespizio dell’edizione padovana del 1822 della Commedia curata da Baldassarre Lombardi
e dell’edizione secondo il codice Bartoliniano impressa dal Viviani a Udine nel 1823.
Le opere vennero sottoposte a raffronto con la celebre edizione fantoniana stampata a Rovetta nel 1820
Le Bellezze si strutturano in trentaquattro dialoghi, numero simil-dantesco: undici per ciascuna delle prime due cantiche, dodici quelli per il Paradiso, con un sovrappiù non generato da criterio prestabilito ma da necessità sorta in corso d’opera. Ogni dialogo corrisponde ad altrettante giornate, sulla scorta di una personale interpretazione del modello del Decameron, espediente per una trattazione granitica, incentrata sugli aspetti linguistici del dettato dantesco, con usi e prestiti ricondotti alle auctoritates classiche e a Virgilio in particolare. In questo senso si spiega l’unica frammentarietà insita in questo poderoso commento, data dall’affastellarsi di precisi termini, espressioni o singoli versi: queste sono le unità di misura predilette nello sviluppo di un’analisi filologica che solo a tratti propone argomentazioni riguardo le varianti adottate. Pur digiuna di uno sforzo interpretativo sulla complessità filosofica di Dante, l’opera del Cesari allaccia rapporti con la secolare tradizione del cosiddetto «commento figurato». Numerosi, quindi, sono i passi per i quali gli interlocutori evocano rappresentazioni pittoriche in relazione a passi puntuali della Commedia.
Frontespizio e antiporta del primo volume dell’edizione delle Bellezze della Commedia
di Dante Alighieri impressa dalla tipografia Silvestri di Milano nel 1845
Senza le cure dell’autore, l’opera venne integralmente ristampata in sei tomi già nel biennio 1826-1827 a Napoli. Nel 1845 giunse un’edizione milanese, impressa in quattro volumi dalla tipografia Silvestri; altre furono proposte a Parma e nuovamente a Napoli, a riprova dell’importanza conservata da un lavoro che suscitò ampie discussioni nel variegato mondo letterario del tempo. Le idee avanzate da Cesari trovarono, pertanto, terreno fertile di discussione, suscitando dissenso in Monti – oltreché in singoli passi di Manzoni e Leopardi -, ma anche adesione e incoraggiamento in Pindemonte, Foscolo e nel giovane Rosmini. Quella percorsa dal chierico veronese era la strada giusta, in vista della modernità dantesca sprigionatasi poi con il Risorgimento. Ben significativo è il fatto che Cesari incontrò la morte nel corso di un viaggio presso Ravenna, dove sua intenzione era di rendere omaggio a Dante, alla sua divina naturalezza, nel tentativo – come avrebbe scritto Tommaseo – di por mano al ristoramento della lingua. Suggello più recente all’importanza dell’opera è giunto con la ripubblicazione nell’ambito dell’Edizione Nazionale dei Commenti Danteschi del 2003, quando il curatore Antonio Marzo ha sottolineato l’immeritato oblio riservato dal Novecento alle Bellezze, una dimenticanza dettata da sensibilità altra, ma ancora in grado di accendere la curiosità e le intuizioni critiche di studiosi e appassionati.
Copertina del volume riassuntivo degli Scritti danteschi redatti da Cesari e raccolti per cura
di Giuseppe Guidetti nel 1917. Un ritorno completo agli studi sull’opera dantesca del Cesari si è avuto
solo con la pubblicazione meno di venti anni fa dell’Edizione Nazionale delle Bellezze
I tre volumi dell’edizione veronese delle Bellezze della Commedia (Inferno) sono consultabili in Biblioteca con segnatura Salone.P.Fila.VIII.22-24; per l’edizione milanese Silvestri (Inferno), con l’aggiunta di un quarto volume con l’Indice delle cose notevoli, si rimanda alla collocazione EXCAV.1.3250/1-4.
Tra le altre opere del Cesari si segnalano la Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana (versione digitale, segn. EXCAV.1.974), il dialogo Le Grazie (versione digitale, segn. Sala.2ª.A.9.retro.23) e la Ragione del bello poetico illustrato con esempi di Dante (versione digitale, segn. Salone.P.8.4.5). Altri testi inerenti la corrispondenza e la novellistica e alcuni saggi storico-critici incentrati sulla figura del religioso veronese sono disponibili alla lettura presso la Biblioteca.