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«Dante Alighieri è certo un gran genio: fors’anco è il più gran genio del mondo. Leggete dalla prima all’ultima le sue opere, studiate le sue prose e le sue poesie. […] Dante Alighieri è tutta un’epoca, tutta una letteratura, tutta una nazione, tutto un secolo, tutta una generazione. Egli arresta il corso dei tempi barbari, accende la fiaccola della scienza, illumina e risveglia l’Europa, e suscita in essa il sacro fuoco della civiltà e delle lettere.» (dalla Vita di Dante, in La Divina Commedia di Dante Alighieri, Firenze, Guigoni, 1860)

Dante è oggetto di culto per i patrioti e i poeti dell’Ottocento. L’uso politico e culturale dell’opera dantesca caratterizzò la prima metà del secolo, sulla spinta degli ideali della Rivoluzione francese, che – come ha scritto Carlo Dionisotti – «portò la letteratura italiana in piazza e ne fece l’insegna di una religione civile e nazionale, e che per altro verso trasformò il quadrumvirato dei poeti maggiori (Dante, Petrarca, Tasso e Ariosto) in un principato dantesco». L’Alighieri venne considerato dagli intellettuali dell’epoca il padre della lingua italiana, ideale fautore di lunga data di quell’Unità tanto auspicata e politicamente conseguita solo nel 1861. Come spesso ricordato, fatta l’Italia si dovevano fare gli italiani: e poiché ogni popolo che voglia farsi nazione ha bisogno di miti su cui fondare la propria identità, l’Alighieri venne assunto come riferimento supremo cui attribuire, non senza fondamento, la nascita della lingua comune, a tutti gli effetti nazionale. Dante divenne simbolo di un’Italia a venire che, secondo i promotori del Risorgimento, dall’opera e dalla dolorosa esperienza di vita del suo maggior poeta avrebbe dovuto trarre esempio per il proprio riscatto.

L’editoria fu influenzata da questo fervore. Dal 1791 in poi furono pubblicate moltissime edizioni della Commedia e si assistette a una concitazione mai vista in precedenza, con scelte editoriali anche molto divergenti, modulate a seconda del destinatario e delle forze economiche a disposizione. Questa drastica evoluzione del sentore nazionale intorno al sommo poeta fu incisivamente riepilogata da Cesare Balbo nella sua Vita di Dante: «Nello snervato e torpido Seicento uscirono solo tre edizioni della Divina Commedia: un’edizione di Dante bastava al consumo di 33 anni, ossia di un’intera generazione; nel secolo seguente il bisogno era più di 10 volte maggiore; l’età vivente ormai ne divora una ristampa ogni sei mesi.»

Particolare e notevole diffusione ebbero le edizioni tascabili, pubblicate in collane a basso prezzo nate per soddisfare l’esigenza di un pubblico colto ma senza particolari pretese di natura critica o filologica. Come sottolineò Nicolò Bettoni, tipografo per la prima edizione bresciana del 1807 dei Sepolcri di Ugo Foscolo, in prefazione alla sua stampa della Commedia dantesca del 1828: «Una ben fornita libreria è un vero tesoro per chi sa gustare i piaceri dello spirito, giacché gli ottimi libri sono altrettanti maestri ed amici della gioventù. […] Finalmente è innegabile, che in mezzo a tale sterminato numero di libri, le buone edizioni degli ottimi sono tuttavia a tal prezzo, che un uomo di mediocre fortuna non può di tutte farne l’acquisto. Egli è perciò, che molti e molti giovani, benché studiosissimi, sono mancanti di una necessaria suppellettile di libri. Ora ad essi principalmente è mio divisamento di offrire la novella Libreria Economica, persuaso, sì come sono, che ben pochi siano costituiti in tali angustie familiari, da non poter impiegare in libri la tenuissima somma di cinquanta centesimi in ogni settimana.»

Le parole del Bettoni riassumono tutte le motivazioni che inducevano gli editori a tentare l’avventura commerciale delle collane economiche: preso atto del rinnovato interesse per Dante, ma anche delle condizioni economiche disagevoli di buona parte della popolazione italiana, gli editori si ingegnarono per offrire pubblicazioni dantesche a prezzi e in formati accessibili ai più. Malgrado le innovazioni tecniche che consentirono di meccanizzare il processo di composizione a mano e di abbassare il costo del processo di lavorazione della carta, ricavata ora dalla pasta di legno anziché dagli stracci, la sfida si presentò in tutte le sue difficoltà. Oltre ai rischi connessi all’accoglienza da parte dei lettori e all’impatto della concorrenza, si trattò di offrire a prezzi modici e in formato ridotto un libro corposo e dal testo oltremodo complesso. A Bettoni va riconosciuto il merito di essere stato tra gli iniziatori dell’editoria popolare, con le sue collane economiche formate da volumi che egli stesso descrisse «nitidamente impressi in candida carta sopraffina, con gentili caratteri, con accuratissima scrupolosa correzione». Tuttavia, nelle sue edizioni della Commedia, come in molte altre pubblicate nella prima metà dell’Ottocento, dai bassanesi Remondini o dai patrioti milanesi Borroni e Scotti, mancano note filologiche e sovente non viene esplicitato nemmeno il nome del curatore: in definitiva, lacunoso o mancante è qualsiasi corredo ai versi danteschi.

Dopo gli anni Sessanta dal XIX secolo, la situazione mutò, con un graduale ma significativo slittamento della retorica risorgimentale verso l’applicazione di un ben più sobrio lavoro erudito, affinato dal metodo storico. Le edizioni post-unitarie presentarono maggiore scrupolo filologico. Degno di nota è il caso di Giambattista Giuliani, curatore de La Commedia di Dante Allighieri raffermata nel testo giusta la ragione e l’arte dell’autore pubblicata da Le Monnier nel 1886. Pur basandosi sul testo approntato dall’Accademia della Crusca, egli premette alle cantiche un Discorso sopra alcune Varianti introdotte nel Testo della commedia senza l’autorità dei codici e delle stampe, dove dichiara di essersi imposto di addentrarsi «nelle opere del poeta e degli autori a lui familiari, cercando di desumere il suo concetto di Ragione e di Arte. […] Le varianti furono scelte tra quelle che più si avvicinavano ai criteri da me scelti; l’ortografia è scelta tra quella accreditata dall’Accademia della Crusca,» Sulla soggettività di questi criteri molti in seguito avrebbero espresso non poche perplessità.

Persino La Divina Commedia con postille e cenni introduttivi del Prof. Raffaello Fornaciari pubblicata da Hoepli nel 1919, dichiaratamente basata su commenti autorevoli, presentò ampi margini di soggettività. Stando al curatore, «tanto il testo quanto le postille hanno a fondamento tre delle più recenti e stimate edizioni della Divina Commedia; quelle curate da T. Casini, da G. L. Passerini, e da G. A. Scartazzini (riveduta da G. Vandelli). Ma il commentatore vi si è attenuto con quella sua libertà e varietà che il suo criterio ed i suoi particolari studi gli consigliavano, considerato ancora che questa non ne poteva essere un’edizione critica.»

Una peculiarità pure accomuna tutte queste pubblicazioni, vale a dire una precisa attenzione alla carta e al carattere di stampa. Gli editori cercarono di pubblicare prodotti che, nonostante il formato ridotto, fossero godibili e soprattutto leggibili. Caso da manuale la collezione Diamante pubblicata a partire dal 1857 dall’editore fiorentino Gaspero Barbèra e curata da un giovane Giosuè Carducci. Chiamata così proprio per via del Diamant Antiqua, uno dei più piccoli e nitidi caratteri tipografici esistenti, l’operazione tipografica riscosse un notevole successo tra il pubblico dell’epoca, con tirature iniziali da 1.500/2.000 esemplari, spesso seguite da ristampe di ulteriori 1.000/1.500 copie. La collana fu pubblicata in due versioni, con un’edizione semplice, con copertina in carta e priva di fregi, e un’ulteriore stampa, sobria ma elegante, con rilegatura in cartoncino rigido e costola con caratteri in oro, presto trasformata in oggetto del desiderio di molti lettori. Nelle sue Memorie, a proposito della collezione Diamante, Barbèra ricordò che «non sarebbe agevole descrivere il fanatismo, che produsse in Italia e fuori questa collezione, che dai più si comprava come un trastullo, un ninnolo da tenere o da regalare. Certamente più d’una volta mi avvidi che questi volumettini facevano concorrenza ai venditori di oggetti da regalo.»

La collezione Diamante generò numerose imitazioni. Tra le più famose la Piccola Biblioteca italiana edita dal 1883 dalla casa editrice Sansoni di Firenze: come già la Diamante e la Libreria Economica, anche questa collana si distinse per la dovizia di cure nella stampa e venne inaugurata con una prima uscita dantesca. Presentando l’iniziativa, infatti, Guido Biagi ebbe a dire: «Poichè ci piacque inaugurare la Piccola Biblioteca Italiana nel nome glorioso di Dante, restava che scegliessimo della Divina Commedia la lezione più corrispondente all’indole della nostra raccolta.»

Nonostante l’auspicio espresso da molti editori nelle edizioni della Commedia, non si hanno notizie dettagliate sulla diffusione di questi testi in ambito scolastico: gli studenti furono tra i clienti privilegiati a cui gli stampatori si rivolsero, consapevoli dell’importanza di fornire strumenti adeguati e a prezzi accessibili a quella sia pur esigua parte della popolazione che aveva accesso all’istruzione secondaria. Tra molte prefazioni corse l’auspicio che i testi venissero adottati o suggeriti a scopo di studio. Nella nota dell’editore Sansoni annessa alla Divina Commedia di Dante Alighieri novamente annotata da G. L. Passerini nel 1897, ad esempio, si legge: «Per queste opportune migliorie, onde la presente ristampa si avvantaggia su quante edizioncine della Commedia si sono fin qui pubblicate, spero vogliano gli studiosi preferirla alle volgari sconciature che corron per le mani de’ giovani delle nostre scuole.»

Anche l’instancabile Ulrico Hoepli, a proposito della sua Divina Commedia curata dal Fornaciari in edizione minuscola ad uso delle letture pubbliche e delle scuole annotò come «la nuova edizioncina Hoepliana della Divina Commedia potrà servire principalmente ai frequentatori delle pubbliche Letture dantesche, non parrà disadatta neppure alle scuole, dove la brevità dell’insegnamento, raccomandata da Orazio, e la piccola mole dei libri tornano sempre gradite ai maestri e agli scolari.»

La Biblioteca Mai possiede numerose edizioni tascabili della Divina Commedia, provenienti spesso da donazioni private, a dimostrazione della grande diffusione di queste collane presso il pubblico.