biblioteca_mai Nessun commento

#iorestoacasa con le Notizie patrie

Bergamo o sia notizie patrie, raccolte da Carlo Facchinetti. Almanacco per l’anno…, Bergamo, Sonzogni, 1815-1892 – (Sala 1 A.2.10)

Tra gli almanacchi bergamaschi riveste molta importanza Bergamo, o sia notizie patrie, presente sulla scena editoriale locale dal 1815 al 1892. Nato come uno dei tanti almanacchi economici diffusi nei primi anni dell’Ottocento, riscosse un immediato successo che sorprese lo stesso compilatore, Carlo Facchinetti, indotto, per gli anni successivi, ad arricchire di informazioni sempre più dettagliate la sua creatura.

I primi numeri ricalcano i vecchi lunari e calendari del secolo precedente: riportano previsioni stagionali del tempo, feste mobili, eclissi, equinozio e solstizio, calendario con orari di levata del sole e lunazioni, nomi dei santi; una parte narrativa, storico-artistica, è dedicata prevalentemente a notizie che riguardano le vicende più antiche di Bergamo.

Con il trascorrere degli anni aumentò il numero delle pagine, per ospitare nuove rubriche: tavole di ragguaglio sul valore delle diverse monete, dei pesi e delle misure; arrivi e partenze dei corrieri, statistiche demografiche e geografiche, informazioni astronomiche, consigli di agronomia; compaiono anche motti e proverbi e considerazioni moraleggianti inframmezzate nei calendari. Le narrazioni sulla storia e sull’arte si fanno più approfondite e curate e affrontano, in occasioni particolari, come la visita delle maestà imperiali o l’insediamento del vescovo, anche eventi di attualità, sebbene rimanga assente ogni considerazione politica.

La feconda intuizione di Facchinetti, che rende l’almanacco una fonte preziosissima per la ricostruzione storica della vita bergamasca, furono però le rubriche dedicate alle informazioni pratiche e alle cariche: gerarchia ecclesiastica, parrocchie e contrade del territorio con i nomi dei parroci; notizie sulle famiglie reali; autorità politiche, amministrative e giudiziarie; autorità militari; istituti educativi e di beneficenza, ospedali; elenco dei professionisti: ingegneri, architetti, agrimensori, ragionieri, avvocati, notai, medici, farmacisti; fiere e mercati, commercianti e artigiani, esercenti che gestiscono le botteghe nella Fiera di Bergamo; ricevitorie del lotto, necrologi di personalità locali.

Alla parte narrativa collaborarono, spesso in anonimato, personalità di spicco della cultura bergamasca, quali Angelo Mazzi, Gabriele Rosa, Antonio Tiraboschi, Gabriele Dossi, Pasino Locatelli, Carlo Lochis, Elia Zerbini, Giovanni Maria Finazzi. Tra le informazioni trasmesse si segnalano, per esempio, gli elenchi delle opere d’arte con la loro ubicazione, pubblicati in un’aggiunta al volume del 1833.

Dall’almanacco bergamasco trassero ispirazione i patrioti Cesare Correnti, Carlo Tenca e Achille Mauri per un’analoga iniziativa milanese, Il Nipote del Vesta-Verde, pubblicato dal 1848 al 1859. Nel 1854, approfittando della morte di Facchinetti, si verificò invece un tentativo di appropriazione: Agostino Locatelli stampò, coi tipi di Pietro Locatelli, un almanacco dal titolo ingannevole Bergamo ossia notizie patrie.

L’iniziale tipografo Sonzogni lasciò la stampa a Mazzoleni nel 1824, quindi a Pagnoncelli nel 1858. Con la crisi della casa editrice e la sua chiusura nel 1892, cessò anche la vita dell’almanacco, che tuttavia ebbe un erede: Bergamo e sua provincia nel 1893, quindi Diario-guida della città e provincia di Bergamo, dal 1894 fino alla metà del secolo successivo.

La Biblioteca conserva anche il copione manoscritto utilizzato da Facchinetti nel 1814 per la preparazione del primo numero, approvato dalla censura austriaca.

Sfoglia le annate dell’almanacco Bergamo, o sia notizie patrie sul sito della BDL.

Guarda tutti gli articoli pubblicati per #iorestoacasa con il patriomonio della Biblioteca.

biblioteca_mai Nessun commento

Pasqua 2020

La Biblioteca Angelo Mai augura ai lettori, agli amici, agli studiosi, ai visitatori

una serena Pasqua

Restiamo a casa e godiamo della perfezione di questo progetto della Raccolta Giacomo Quarenghi, bella, allegra e dinamica immagine della primavera che contrasta l’immobilità di questo tempo.

Scarica l’immagine come biglietto di auguri.

biblioteca_mai Nessun commento

#iorestoacasa con il Commento di Paolo Veneto

Paolo Veneto, Expositio in Analytica posteriora Aristotelis, emend. Franciscus de Benzonibus et Mariotus de Pistorio, Venezia, Rainaldus de Novimagio e Teodoro di Rijnsburg, 1477 – (Inc. 1.90)

Il testo contiene un commento ad Aristotele del filosofo e teologo Paolo Nicoletti, meglio conosciuto come Paolo Veneto (Udine, 1369 – Padova, 1429), considerato fra gli intellettuali italiani più significativi del Quattrocento, in particolare per gli studi di logica, per i suoi commenti ad Aristotele, per l’insegnamento universitario e per la sua attività di diplomatico. Frate eremitano dapprima nel convento di Santo Stefano a Venezia, studiò a Oxford e trascorse poi gran parte della sua vita a Padova. Il Commento agli Analitici Posteriori di Aristotele risale al 1406.
L’esemplare della Mai presenta ancora molti elementi legati alla tradizione dei manoscritti: lo specchio di scrittura su due colonne, che lascia ampio spazio ai margini inferiore ed esterno; l’uso frequente delle abbreviature, le iniziali decorate, l’alternanza di azzurro e rosso nei segni di paragrafo, la tecnica di realizzazione delle miniature a foglia d’oro.
L’apparato decorativo, di buona qualità, è riconducibile all’ambiente ferrarese: la grande iniziale O («Omnis») di f. 2r si avvicina ai capilettera della Bibbia di Borso d’Este, come tipici della miniatura ferrarese di tardo Quattrocento sono le finissime trame a filigrana e l’inserto naturalistico nel bas de page, con una lepre che corre entro un paesaggio, su fondo di cielo azzurro.
L’esemplare è inoltre dotato di legatura di riutilizzo della fine del secolo XV, eseguita probabilmente nell’Italia centrale. Si tratta di una legatura su assi, sui quali sono stati applicati i piatti di una legatura in marocchino nocciola, decorato a secco e in lega d’oro. Vi troviamo fasci di filetti concentrici, parzialmente incrociati e una coppia di cornici decorate con barrette diritte e curve; lo specchio è caratterizzato da una coppia di nodi di tipo moresco.
L’incunabolo appartenne alla libreria dei fratelli Piatti, costituita in gran parte con esemplari provenienti dai conventi bergamaschi soppressi. Essa fu messa all’asta alla fine dell’Ottocento e acquistata dalla bergamasca Antonia Suardi Ponti. Tale libreria confluì nei primi decenni del Novecento nel fondo Giuseppe Locatelli, che pervenne quindi alla Biblioteca Civica nel 1958.

Sfolgia l’incunabolo con il testo di Paolo sul sito della BDL.

Guarda tutti gli articoli pubblicati per #iorestoacasa con il patriomonio della Biblioteca.

biblioteca_mai Nessun commento

#iorestoacasa con il Cardinale Angelo Mai

Angelo Mai (Schilpario, Bergamo, 1782 – Albano, Roma, 1854)

Nato da famiglia di origini modeste, ma benestante, Angelo Mai compì i primi studi fra Clusone e Bergamo. Dopo la chiusura del seminario da parte dei Francesi nel 1797, riparò in una casa dei Gesuiti a Colorno, in provincia di Parma, da dove fu inviato nel 1804 a Napoli a insegnare presso un collegio dell’Ordine, di cui prese l’abito.

Fuggiti i Borboni da Napoli, il Mai andò a Roma come docente presso il Collegio Romano, quindi a Orvieto, dove fu ordinato sacerdote nel 1806 e dove poté studiare l’ebraico e approfondire la tecnica di lettura dei palinsesti, antichi codici, per lo più in pergamena, raschiati e riscritti: mediante l’utilizzo di una spugna imbevuta di acido gallico era possibile infatti ravvivare l’inchiostro della scrittura primitiva e riscoprire testi classici ritenuti perduti.

Recatosi a Roma per sostenere gli esami di teologia e filosofia, il Mai dovette, ancora una volta, cambiare i suoi programmi di vita a causa degli eventi politici: un editto di Napoleone costringeva i sudditi del Regno Italico a risiedere nella provincia d’origine. Trasferitosi a Milano, entrò come dottore alla Biblioteca Ambrosiana, dove rimase fino al 1819. Nella ricchissima Biblioteca milanese, il Mai cominciò un’analisi sistematica dei manoscritti, mettendo a frutto le sue ormai mature competenze paleografiche e filologiche e giungendo a notevoli scoperte: orazioni di Isocrate e Cicerone, frammenti di Plauto, un codice di Terenzio del IX sec.; l’epistolario, pubblicato nel 1815 con grande risonanza, dell’oratore romano, precettore di Marco Aurelio, Marco Cornelio Frontone, contenente lettere dello stesso Marco Aurelio, di Antonino Pio, di Lucio Vero, di Appiano. Nel 1816 il Mai mandò alle stampe inoltre le Antichità romane di Dionigi di Alicarnasso.

L’importanza di queste scoperte cominciò a guadagnare fama allo studioso, anche se non senza polemiche sulla tecnica di lettura, per la lezione e l’attribuzione dei testi. Pur rimanendo un solitario, il Mai ebbe comunque rapporti con prestigiose famiglie milanesi proprietarie di grandi biblioteche e intensi scambi epistolari con filologi di tutta Europa.

Nel 1819 Pio VII convinse Angelo Mai a lasciare l’ordine dei Gesuiti e a diventare custode della Biblioteca Apostolica Vaticana. Lo stesso anno lo studioso annunciava la scoperta di ampi passi del De republica di Cicerone, fino ad allora conosciuto soltanto nel frammento del cosiddetto Somnium Scipionis. La scoperta suscitò l’entusiasmo del mondo intellettuale e valse al Mai un’ode scritta da Giacomo Leopardi, che vide in queste scoperte motivo di risveglio dell’orgoglio italiano anche sul piano politico.

Nominato nel 1833 segretario della Congregazione di Propaganda Fide e creato cardinale da Gregorio XVI nel 1838, fu membro dell’Istituto di Francia, dell’Accademia reale di Berlino, di Monaco, Stoccolma, Vienna e Amsterdam. Morì nel 1854 ad Albano e fu sepolto a Roma in Sant’Anastasia, di cui aveva il titolo presbiteriale. Nel suo testamento lasciò denaro ai poveri di Schilpario, suo paese natale, e volle che la ricchissima biblioteca fosse venduta al Papa per la metà del suo effettivo valore.

Nel centenario della sua morte, il Comune di Bergamo volle intitolargli la Biblioteca Civica. Il discorso ufficiale di intitolazione venne tenuto dal cardinale Angelo Giuseppe Roncalli, salito al soglio pontifico quattro anni dopo, nel 1958, come Giovanni XXIII.

Approfondisci la conoscenza di Angelo Mai con il Dizionario biografico degli italiani e con l’enciclopedia Wikipedia.

Guarda tutti gli articoli pubblicati per #iorestoacasa con il patriomonio della Biblioteca.

biblioteca_mai Nessun commento

#iorestoacasa con la Bibbia di Antonio Brucioli

La Biblia quale contiene i sacri libri del Vecchio Testamento, tradotti nuovamente da la hebraica verita in lingua toscana per Antonio Brucioli, Venezia, presso Lucantonio Giunti, 1532 – (Cinq. 6.377)

Messa all’Indice dei libri proibiti nel 1559, la Bibbia del Brucioli fu la più letta dagli evangelici italiani in Europa, prima della Bibbia tradotta in italiano da Giovanni Diodati, pubblicata nel 1607. La sua importanza storica consiste nel fatto che divenne punto di riferimento per il pensiero riformato ai suoi esordi in Italia e nel fatto che è la prima traduzione italiana a non basarsi sulla Vulgata di san Girolamo, ma sulla redazione latina di Sante Pagnini, oltre che sui testi originali.

Antonio Brucioli (1498-1566), fiorentino, di solida formazione classica (aveva tradotto testi di Aristotele, Cicerone e Plinio), amico di Pietro Aretino e di Benedetto Varchi, apparteneva alla cerchia di umanisti repubblicani degli Orti Oricellari, profondamente influenzata dal pensiero di Niccolò Machiavelli. Bandito dalla sua città con l’accusa di aver partecipato al complotto del 1522 contro il cardinale Giuliano de’ Medici, si recò a Venezia e da lì raggiunse Lione e poi la Germania. Nei suoi viaggi ebbe modo di approfondire la conoscenza della Riforma, l’opera di traduzione dei testi sacri e l’utilizzo della stampa a scopo di diffusione delle tesi luterane. Tornato a Firenze, venne una seconda volta bandito a causa delle sue propensioni religiose; di nuovo a Venezia, vi pubblicò nel 1530, con l’editore fiorentino Giunti, una versione in italiano dei Vangeli, nel 1531 dei Salmi e quindi, nel 1532, una versione dell’intera Bibbia.

L’esemplare conservato presso la Biblioteca Mai è del tutto integro, diversamente da molti altri, che hanno perso talora il frontespizio, talora le xilografie che illustrano l’Apocalisse e che presentano un’iconografia dichiaratamente antipapista (per esempio: la Bestia in trono che indossa la tiara papale; Babilonia identificata con Roma). Queste xilografie, attribuite a Matteo Pagan, si inseriscono nella tradizione tedesca che da Dürer, attraverso Lucas Cranach, arriva alle immagini di Hans Holbein per il Nuovo Testamento tradotto da Lutero in tedesco e pubblicato a Basilea nel 1523.

Di particolare interesse è il frontespizio, che presenta una serie di riquadri con Le storie dei progenitori, Mosé e Aronne a colloquio con il Faraone, Il passaggio del Mar Rosso, la Natività e la Resurrezione di Cristo, Mosé che riceve le Tavole della Legge e San Paolo che predica nell’Areopago.

La somiglianza, in controparte, fra il riquadro con Mosè che riceve le tavole della legge e la tarsia con l’Arca di Noè, disegnata da Lorenzo Lotto per il coro ligneo di Santa Maria Maggiore in Bergamo (realizzato da Giovanni Francesco Capoferri su cartoni del Lotto; il disegno per la tarsia in questione venne pagato al pittore nel 1525), ha fatto ipotizzare agli studiosi che anche l’ideazione per il frontespizio della Bibbia del Brucioli fosse opera di Lotto, complici altri indizi in virtù dei quali parte della storiografia ritiene il pittore molto vicino ai movimenti riformati: è noto che nel Libro di spese diverse, sorta di diario che l’artista teneva regolarmente, vengono citati, all’anno 1540, due piccoli ritratti di Martin Lutero e di sua moglie.

Non esiste accordo sull’attribuzione del disegno per il frontespizio a Lorenzo Lotto, il quale, va segnalato, era in rapporti di amicizia con la famiglia degli stampatori Giunti; in ogni caso, l’attribuzione non dovrebbe, come è stato giustamente suggerito, essere condizionata da quanto si ritiene, in un senso o nell’altro, sulle posizioni religiose assunte dal pittore. Del resto, il frontespizio è stato impiegato più volte nel Cinquecento, sia per Bibbie riformate che per Bibbie canoniche. Sul piano iconografico, esso esibisce un’elegante cornice, tipica di numerose Bibbie nordiche riformate, e riassume nei riquadri la storia della salvezza, dalla Creazione alla diffusione paolina del Vangelo, secondo l’agostiniana scansione del tempo ante legem, sub lege, sub gratia, illustrata da tre episodi per ogni epoca.

Sfoglia la Bibbia tradotta da Antonio Brucioli sul portale archive.org (la paginazione è  invertita!) e confrontala con l‘edizione del 1538 sul sito della Biblioteca Nazionale austriaca di Vienna.

Guarda tutti gli articoli pubblicati per #iorestoacasa con il patriomonio della Biblioteca.

biblioteca_mai Nessun commento

Deposito legale. Proroga sospensione

Facendo seguito a precedente comunicazione del 12 marzo 2020, con la quale Regione Lombardia disponeva la sospensione sino al 3 aprile 2020 delle attività connesse all’Archivio della Produzione Editoriale lombarda in forza delle misure adottate con DPCM 8 marzo 2020 e DPCM 9 marzo 2020; richiamata l’Ordinanza di Regione Lombardia n. 514 del 21 marzo 2020 con la quale Regione Lombardia, a tutela della salute della collettività, ha ordinato fino al 15 aprile 2020 l’adozione nel territorio regionale di ulteriori provvedimenti tendenti a ridurre ogni contatto sociale non strettamente indispensabile; viene disposto che, per la durata di efficacia della suddetta Ordinanza regionale (15 aprile 2020), fatte salve eventuali e ulteriori successive disposizioni:

  • i soggetti obbligati al deposito legale (art. 3 L.106/2004) sospendano la consegna della copia dei documenti oggetto di deposito legale agli istituti depositari lombardi
  • gli istituti depositari lombardi (DM 28/12/2007 modificato con DM 10/12/2009) sospendano le attività di ricezione della copia dei documenti oggetto di deposito legale.

biblioteca_mai Nessun commento

#iorestoacasa con gli Incunaboli miniati

Incunaboli

Si definiscono incunaboli i libri a stampa prodotti in Europa, nella seconda metà del XV secolo, con la tecnica dei caratteri mobili. Dai primi esempi di Johann Gutenberg, in particolare con la Bibbia in latino di grande formato detta delle 42 linee (1453-55), all’anno 1500 si calcola una produzione di circa 35.000 edizioni con 450.000 esemplari diffusi per il mondo. La Biblioteca Angelo Mai ne conserva oggi 2.140; fra di essi il nucleo particolarmente prezioso degli oltre 80 incunaboli miniati.
La raccolta si è formata per gran parte a seguito delle soppressioni napoleoniche, con l’arrivo in Biblioteca nel 1797 delle ricche librerie di conventi e monasteri. Per tale motivo è marcata la presenza di opere religiose, ma non mancano edizioni di testi filosofici, classici, opere scientifiche e storiche, acquisite da conventi e monasteri che avevano aderito alla riforma dell’Osservanza o che erano stati particolarmente sensibili ai nuovi valori dell’Umanesimo.
Nella storia della Biblioteca possiamo individuare la raccolta degli incunaboli già nel 1820, in occasione della stesura di cataloghi manoscritti, uno dei quali specifico per le edizioni del XV secolo. Ciò a dimostrazione del fatto che la principale biblioteca bergamasca, già da allora, si rifaceva a una consolidata tradizione, risalente al XVII secolo, di particolare attenzione a queste pubblicazioni. Proprio nel Seicento nacque infatti il termine ‘incunabolo’, per individuare una tipologia libraria caratterizzata dalla rarità e preziosità degli esemplari superstiti. Nel 1843, in occasione del trasferimento della Biblioteca al Palazzo della Ragione, venne avviato un altro catalogo a libro su iniziativa del bibliotecario Agostino Salvioni, che diede l’incarico a Bartolomeo Secco Suardo; fra i 29 volumi di grande formato del catalogo, che riprendeva la suddivisione per materie già adottata nel catalogo del 1820, con l’aggiunta delle segnature, troviamo quello dedicato alla ‘Sala I’, riservato proprio agli incunaboli oltre che alla giurisprudenza civile e canonica. Nel 1966 il direttore Luigi Chiodi pubblicò l’Indice degli incunaboli della Biblioteca Civica di Bergamo, assegnando ai volumi le segnature tutt’oggi in uso e dando la possibilità di ricerca alfabetica per luoghi di edizione, editori e tipografi. Nel 1989 uscì il volume Codici e incunaboli miniati della Biblioteca Civica di Bergamo, con una descrizione più accurata degli apparati decorativi.
Attualmente può essere consultato il sito web della Biblioteca, che propone il catalogo on line di tutti gli incunaboli posseduti, con ricerca per autore, luogo, contenuto, editore/tipografo, anno, segnatura, parola chiave.
Gli incunaboli della Biblioteca Mai sono segnalati inoltre nei più importanti repertori e cataloghi nazionali e internazionali: l’IGI, l’Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d’Italia (1943-1981), consultabile on line, storico punto di riferimento anche per la nostra raccolta; Incunabula Short Title Catalogue (ISTC), creato dalla British Library; Material evidence in incunabula (MEI), progetto cui la Biblioteca ha aderito dal 2013.

Sfoglia gli oltre 80 incunaboli miniati della Biblioteca sul sito della BDL.

Guarda tutti gli articoli pubblicati per #iorestoacasa con il patriomonio della Biblioteca.

biblioteca_mai Nessun commento

#iorestoacasa con i disegni di Giacomo Quarenghi

Raccolta di Disegni di Giacomo Quarenghi

Dopo la Raccolta tassiana, quella relativa a Giacomo Quarenghi è forse la più importante raccolta speciale della Biblioteca Mai: con i suoi 761 disegni e i cimeli di varia natura, con le lettere e i documenti, con il materiale fotografico acquisito negli anni, la collezione, contenente l’insieme più ampio di disegni quarenghiani esistente al mondo, testimonia anche il profondo legame fra Quarenghi e la Biblioteca civica di Bergamo, un legame che percorre tutta una vita.

Fonte primaria per ricostruire le vicende del celebre architetto è una lettera autobiografica che egli inviò a Luigi Marchesi nel 1785 e che compare nelle Vite de’ pittori scultori e architetti bergamaschi (1793) scritte dal conte Francesco Maria Tassi e continuate da Girolamo e Carlo Marenzi. Nato a Rota d’Imagna nel 1744 da famiglia benestante, Quarenghi venne indirizzato agli studi giuridici e filosofici dal padre, che svolgeva la professione di notaio. L’interesse innato per le belle arti lo portò presto a intraprendere a Bergamo studi di pittura e disegno presso i pittori Paolo Vincenzo Bonomini e Giovanni Raggi. Trasferitosi nel 1761 a Roma, entrò nella bottega di Anton Raphael Mengs e poi del bergamasco Stefano Pozzi, diventando membro dell’Arciconfraternita dei Bergamaschi in qualità di pittore. Non tardò a farsi sentire, in ogni caso, l’interesse specifico per l’architettura, che Quarenghi cominciò a coltivare soprattutto stringendo rapporti con artisti francesi e inglesi residenti a Roma e studiando direttamente i monumenti antichi. Il vero amore del giovane aspirante architetto era però Andrea Palladio, esponente della grande stagione del classicismo rinascimentale.

Gli anni romani, impegnati molto nel disegno, nello studio, in alcuni viaggi a Venezia, Bergamo e nel sud dell’Italia, oltre che in commissioni di rilievo minore, restarono insoddisfacenti per Quarenghi, che colse al volo l’occasione di trasferirsi a San Pietroburgo, al servizio della zarina Caterina II, nel 1779. La scelta si rivelò felice, per la sintonia instauratasi con Caterina, che fece di lui l’architetto più importante nel processo di rinnovamento impresso alla città russa e un vero protagonista nella diffusione del linguaggio neoclassico richiesto dalle corti di tutta Europa. Per quasi quarant’anni Quarenghi restò al servizio degli zar, di Caterina II, di Paolo I e di Alessandro I, dimostrando una creatività senza pari negli innumerevoli progetti e nei disegni di paesaggi, edifici e luoghi, che continuò a produrre ininterrottamente.

A San Pietroburgo Quarenghi realizzò l’Accademia delle Scienze, la Banca di Stato, il Teatro dell’Hermitage, la cappella dei Cavalieri di Malta, l’Ospedale per i poveri, l’Istituto Smol’nyj per l’educazione delle fanciulle nobili; a Tsarskoe Selo, presso San Pietroburgo, il Palazzo di Alessandro; a Mosca, dove completò il palazzo di Caterina, progettò anche le gallerie commerciali sulla Piazza Rossa; molti furono poi gli incarichi per private residenze di nobili russi o di eminenti stranieri residenti a San Pietroburgo.

Quarenghi riuscì a tornare in patria solo per un breve soggiorno fra il 1810 e il 1811, proseguendo poi la sua attività in Russia fino alla morte, nel 1817.

Sin da giovane aveva coltivato anche una grande passione per i libri e per la musica e condiviso questi interessi con bergamaschi presenti a Roma, come Pier Antonio Serassi, segretario del cardinal Furietti che, con il suo lascito, aveva dato avvio alla Biblioteca pubblica di Bergamo, attiva dal 1771. Dopo il trasferimento in Russia, sin dal 1788, Quarenghi cominciò così a far dono alla sua città e alla neonata Biblioteca di libri pregiati e di pubblicazioni contenenti i suoi progetti: è questo il caso del Théatre de l’Hermitage, edito presso l’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo (1787), con sette grandi tavole incise; è il caso anche de Le Nouveau Bâtiment de la Banque Impériale de Saint Petersbourg (1791), con otto grandi tavole incise, pubblicazione realizzata presso la Stamperia Imperiale di San Pietroburgo. Sono segnali dell’affezione verso la Città, ma anche della volontà che la Biblioteca civica divenisse luogo di documentazione del suo lavoro.

Tale volontà venne seguita dal figlio Giulio, che nel 1846 donò alla Biblioteca i due tomi di Fabbriche e disegni di Giacomo Quarenghi architetto di S. M. l’imperatore di Russia, pubblicati a Mantova nel 1843-1844, acconsentendo poi, nel 1870, all’acquisizione da parte del Comune di Bergamo, a prezzo alquanto agevolato, del primo nucleo di 535 disegni originali del padre, fra i quali alcuni piccoli album con vedute, testimoni della fase giovanile di una produzione grafica che continuò inesausta per tutta la vita del grande architetto.

Alcuni anni dopo giunse in Biblioteca il prezioso Minutario della corrispondenza di Quarenghi, per dono di Luigi Gelmini e della moglie, quindi altri 77 disegni provenienti dall’archivio del cardinale Giovanni Maria Archetti, nunzio apostolico alla Corte di San Pietroburgo a cui i disegni erano stati donati dal fratello di Giacomo Quarenghi, Francesco Maria, conferiti alla Biblioteca da Giovan Battista Camozzi Vertova. Nel 1888 arrivò un altro album donato dalla nipote di Quarenghi, Antonietta, e nel 1890 altri 24 disegni donati dal mantovano Francesco Tamassia.

La raccolta di disegni conservata dalla Mai è attualmente ordinata in 18 album contrassegnati da lettere dell’alfabeto e sigle: gli album A, B, C, D, E, F, G, H, I, K, L, M, N, frutto della vendita di Giulio Quarenghi; l’album O, ritrovato nel 1958 in una cassa sigillata durante la seconda guerra mondiale; l’album CV (Camozzi Vertova); l’album TAM (Tamassia); l’album Stampe e disegni su cui si trova la scritta «alcuni sono attribuiti a Giacomo Quarenghi»; il disegno n. 40, dell’album n. 28, che faceva parte della raccolta Bergamo illustrata.

I temi che Quarenghi affronta nei suoi album di disegni sono i più vari: talora si tratta di ricordi personali, come in un intimo diario, che ripercorre i luoghi amati (la casa natale in Val Imagna); talora vediamo veri e propri studi delle forme architettoniche ereditate dall’antichità, trasfuse però in una luce vibrante di grande suggestione poetica; talora sono ampie vedute romane colte dall’alto, o angoli meno illustri di una Roma ormai scomparsa.

Del periodo russo, ricchissimo di progetti, a riprova della grande versatilità di Quarenghi, impegnato in tipologie di edifici spesso molto diversi per funzione e dimensione, restano anche disegni per decorazioni di interni di palazzi imperiali o nobiliari; ma soprattutto colpisce la qualità pittorica di molte vedute non destinate specificamente al lavoro progettuale e persino di pura invenzione, in cui l’architetto manifesta la mai spenta passione per la pittura, il gusto raffinato e deciso, la competenza acquisita, anche nella veste di collezionista e di esperto consigliere della corte e dei nobili russi, nella scelta di opere e di artisti.

Vedi una selezione commentata dei disegni e un’approfondimento sulla raccolta, realizzate a corredo delle mostre allestite in Biblioteca nel 2017 per la celebrazione del bicentenario della morte dell’architetto.

Guarda tutti gli articoli pubblicati per #iorestoacasa con il patriomonio della Biblioteca.

biblioteca_mai Nessun commento

#iorestoacasa con la Vita di Bartolomeo Colleoni

Antonio Cornazzano, Vita di Bartolomeo Colleoni, 1476-77. Mm 270 x 185 – (Cassaf. 2.4)

Il codice, molto prezioso e realizzato in pergamena di ottima qualità, appartenne sin dall’inizio al Comune di Bergamo: sulla legatura, coeva, in seta rossa con ricami in filo d’oro e d’argento, si trova infatti lo stemma della Città di Bergamo, entro sole raggiato, con l’iscrizione «Sola nobilitas est vertus» (solo la nobiltà è virtù) e agli angoli le scritte «Forteza, temperanza, iusticia, prudentia», le quattro virtù cardinali proprie del buon governo.

Il testo rappresenta la fonte più autorevole sulla vita di Bartolomeo Colleoni (Solza, 1395 – Malpaga, 1475), il celebre condottiero bergamasco, dal 1445 capitano generale della Repubblica di Venezia. Il poeta piacentino Antonio Cornazzano poté infatti raccogliere direttamente dalla voce del Colleoni, ormai anziano e a riposo nel suo castello di Malpaga, tutte le informazioni necessarie per stendere poi la biografia, forse su committenza della famiglia Martinengo-Colleoni, negli anni subito seguenti la morte del condottiero e sicuramente prima del 1484, quando il Cornazzano morì a Ferrara.

Il codice qui descritto, versione lussuosa e ufficiale della vita di colui che la Città considerava un eroe dal forte carisma identitario, sembra essere stato realizzato immediatamente dopo la stesura definitiva del testo e sappiamo che nel 1559 venne anche prestato allo storico Pietro Spino, che stava scrivendo una nuova biografia del Colleoni.

Sul f. 7v spicca il ritratto di Bartolomeo, in una bella miniatura a piena pagina. Il condottiero è raffigurato su un cavallo impennato e reca gli attributi del suo rango di comando: la berretta rossa, il bastone e la corazza. Come a voler sottolineare l’importanza del personaggio, la sua figura si staglia su una montagna rocciosa in secondo piano, mentre sullo sfondo in lontananza vediamo un paesaggio collinare con fiumi e una città (Venezia?). La scena è incorniciata da un arco in forme classiche rinascimentali, con colonne azzurre, capitelli in oro, centina rosa e timpano verde sormontato da due delfini azzurri. Alla sommità un braciere d’argento con il fuoco. Un festone di foglie e frutta attraversa l’arco: su di esso sta in equilibrio un putto alato che suona la tuba, proprio in corrispondenza con la testa del Colleoni. Il festone prosegue in basso lungo le colonne e viene annodato a queste da altri due putti alati.

Il volto di Bartolomeo è un ritratto di profilo, all’antica, in segno di nobilitazione, ma comunque di forte impronta realistica nel descrivere le rughe e i segni di un’età ormai matura. Forse ripreso dall’affresco ora nel Luogo Pio di Città Alta (1470-1475, proveniente dalla sagrestia vecchia dell’Incoronata di Martinengo), l’intenso ritratto miniato è di poco successivo.

Si attribuisce la decorazione, che presenta inoltre, negli splendidi fregi delle altre pagine, influssi dell’arte padovana e ferrarese, a Giovan Pietro Birago, miniatore lombardo attivo per gli Sforza a Milano, che firma anche tre dei diciotto Corali del Duomo Vecchio di Brescia, realizzati negli stessi anni del nostro codice.

Sfoglia il codice con la Vita del condottiero sul sito della BDL.

Guarda tutti gli articoli pubblicati per #iorestoacasa con il patriomonio della Biblioteca.

biblioteca_mai Nessun commento

#iorestoacasa con le Fables di La Fontaine

Jean de La Fontaine, Fables choisies, Parigi, Charles-Antoine Jombert, 1755-1759 – (Sala 21 G 6 15/1-4)

Jean de La Fontaine (Château-Thierry, 1621 – Parigi, 1695) venne eletto, nel 1683, accademico di Francia. Avverso a ogni codificazione del gusto e alla costrizione della fantasia, anticipò atteggiamenti che sarebbero stati propri dell’Illuminismo, partecipando ai salotti della noblesse d’esprit, dove frequentò letterati di spicco quali Racine, Molière e Madame de La Fayette. La redazione delle Favole, la più nota tra le sue opere, si estese su un lungo periodo: tra il 1668 e il 1694 La Fontaine compose ben 240 testi in versi che saranno pubblicati in tre raccolte. Nella prima di queste, scritta per il Delfino di Luigi XIV, affermò di rifarsi alla tradizione di Esopo, le cui invenzioni nascondono profonde verità, proponendo al lettore di riconoscersi nei dialoghi che gli animali intrattengono fra loro. In questa premessa si concentra lo spirito delle Fables: riprendendo sia la tradizione narrativa che fu già di Esopo e Fedro, Plutarco e Ovidio, sia la tradizione medievale francese di storie comiche e satiriche sui costumi sociali, dove i protagonisti che motteggiano vizi e virtù umane sono animali, La Fontaine trasforma il racconto e la sua morale da un semplice esercizio di retorica in un nuovo genere di poesia e di letteratura, in sintonia perfetta con lo spirito del classicismo che tende a far rivivere la saggezza degli Antichi.

La raccolta delle Favole è un capolavoro letterario che fin dalla prima pubblicazione, nel 1685, fu oggetto di splendide edizioni illustrate; tra gli artisti che si sono cimentati con quest’opera, o che ne hanno tratto ispirazione, si ricordano Gustave Doré, Marc Chagall e Salvador Dalì. Delle innumerevoli edizioni, questa delle Fables choisies stampate a Parigi in quattro tomi, è considerata la più bella: allestita nel grande formato in-folio e impressa su carta d’Olanda, che offre un lato morbido adatto ad accogliere la stampa del testo e un lato ruvido per le incisioni calcografiche, è impreziosita dai disegni di Jean-Baptiste Oudry, ritoccati da Charles-Nicolas Cochin e incisi da numerosi artisti. Oudry (Parigi, 1686 – Beauvais, 1755), pittore, incisore, disegnatore di porcellane e di cartoni d’arazzo, che si ammirano oggi nei castelli di Fontainebleau e di Compiègne, univa alla naturalezza del tocco una ricerca accurata del dettaglio; eccellente pittore di animali, seppe interpretare magistralmente le scene immaginate da La Fontaine e il suo canone compositivo (presentazione della scena e dei personaggi, dialogo fra i protagonisti, morale conclusiva del racconto): ne sono un chiaro esempio le favole Il Gallo e la volpe e Il corvo e la volpe.

Sfoglia i quattro tomi delle Fables sul sito della Biblioteca di Oldenburg.

Guarda tutti gli articoli pubblicati per #iorestoacasa con il patriomonio della Biblioteca.