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#iorestoacasa con i Manoscritti

Manoscritti

La Biblioteca Angelo Mai conserva un cospicuo numero di manoscritti. Se il nucleo primigenio della Biblioteca, costituito dalla libreria del cardinale Giuseppe Alessandro Furietti, ne era quasi privo, essi giunsero in Biblioteca già fra gli ultimi tre decenni del Settecento e i primi dell’Ottocento, grazie alle biblioteche dei conventi, dei monasteri e del Capitolo della cattedrale, soppressi soprattutto in età napoleonica, oltre che alle donazioni degli eruditi dell’epoca. Si tratta di opere letterarie, filosofiche, teologiche, artistiche, musicali, scientifiche, cronache, diari di viaggio, appunti, libri liturgici o devozionali. I più antichi risalgono al IX secolo, anche se solo dal XII secolo sono attestati in numero significativo.

Nel corso dell’Ottocento e del Novecento arrivarono in Biblioteca altri nuclei importanti di manoscritti, per acquisto o per dono da privati cittadini, come quelli, per lo più documentari, giunti con il fondo Paolo Vimercati Sozzi nel 1868 e quelli provenienti dall’acquisto dei libri del vicebibliotecario Giuseppe Ravelli nel 1896. Per il Novecento segnaliamo almeno l’acquisizione, per dono dello zurighese Augusto Leopoldo Tobler (1938), di un prezioso codice manoscritto, parzialmente autografo, contenente, fra l’altro, numerose poesie e lettere di Torquato e Bernardo Tasso, noto come ‘Codice Falconieri’.

Fra gli anni sessanta e settanta del Novecento venne costituita dall’allora direttore Luigi Chiodi, una raccolta di 689 autografi di personalità illustri, come Vittorio Emanuele II, Giuseppe Mazzini, Camillo Cavour, Giuseppe Garibaldi, papa Pio X, Angelo Mai.

Una tipologia di manoscritti di cui la Biblioteca è particolarmente ricca è quella dei carteggi, molti derivanti da archivi di famiglia, soprattutto a partire dal Settecento.

Citiamo infine due tipologie di manoscritti ben presenti in Biblioteca che, sebbene per contenuto appartengano al settore archivistico-documentario, assumono spesso la caratteristica del codice, per la qualità della pergamena o della carta, per la cura nella mise en page, nella grafia, nell’apparato illustrativo e nella legatura: la ricca raccolta di statuti di valle e dei comuni della bergamasca del periodo medievale e di Antico Regime e la raccolta di carte topografiche, mappe e cabrei volti, questi ultimi, a rappresentare graficamente e a colori, in maniera scientifica, porzioni più o meno ampie di territorio, con riferimento alle proprietà di enti, istituti religiosi, famiglie facoltose.

Questa varietà tipologica rende difficile fornire dati quantitativi. Sono circa un migliaio i codici medievali, più diverse migliaia con datazione dall’età rinascimentale ai giorni nostri. Da segnalare la presenza di oltre 5.000 manoscritti musicali, soprattutto del periodo sette-ottocentesco.

Sfoglia i manoscritti miniati sul sito della Biblioteca digitale lombarda.

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#iorestoacasa con Jacobus de Zocchis

Jacobus de Zocchis, Canon omnis utriusque sexus de poenintetia et remissione, Padova, Bartolomeo da Valdezochio e Martinus de Septem Arboribus, 1472 – (Inc. 3.244)

Il testo è uno dei primi incunaboli realizzati a Padova, dove la stampa venne introdotta da Bartolomeo da Valdezocco (o Valdezochio), che collaborava con Martino detto «de septem arboribus», nativo probabilmente della Slesia, allora territorio prussiano, e giunto a Padova forse dalla città di Milano. Figlio di un prestigioso dottore in legge e giurisperito egli stesso, Bartolomeo introdusse l’arte della stampa in una città universitaria come Padova, che fino al 1471 si era avvalsa delle stamperie di Venezia, ed ebbe un ruolo assai importante nello sviluppo della cultura letteraria padovana del secondo Quattrocento. Nel 1472 vide la luce per i tipi di Bartolomeo il primo libro a stampa padovano, un’edizione princeps della Fiammetta del Boccaccio, e subito dopo un’edizione importantissima delle Rime di Petrarca. La produzione della stamperia si rivolse poi ad alcuni testi di docenti dell’Università padovana, come avviene per questo testo del canonista ferrarese Jacopo de Zocchi, che insegnò a Padova dal 1429 al 1457, anno della sua morte.

Lo Zocchi fu uno dei giuristi più autorevoli del primo Quattrocento, dottore sia in diritto canonico che in diritto civile, docente assai apprezzato presso l’Ateneo padovano, che accoglieva studenti non solo dall’Italia e da Venezia, ma anche dalla Germania. Fra i suoi allievi si annoverano molti vescovi, come Ermolao Barbaro il Vecchio e Johannes Hinderbach, poi vescovo di Trento. Stimato consulente anche di Borso d’Este, lo Zocchi era in contatto con importanti personalità della cultura scientifica e umanistica padovana. Inoltre la sua vita è connotata da una forte devozione: parte della sua eredità, compresi i suoi libri, furono lasciati infatti al Monastero di Santa Giustina. Conosciamo poi i suoi legami di amicizia con l’eremita Nicolò da Fiesso e i rapporti con Alberto da Sarteano, seguace di san Bernardino da Siena ed esponente dell’Osservanza francescana, che lo Zocchi appoggiava.

L’esemplare di questo raro incunabolo posseduto dalla Biblioteca Mai presenta il primo foglio miniato, con decorazione aggiunta a ‘personalizzare’ l’esemplare stesso: nel margine superiore l’Annunciazione, nell’iniziale O («Omnis») il Vir dolorum con i simboli della passione, a sinistra un fregio d’acanto, a destra il martirio di San Sebastiano con il sole e la luna, in basso San Bernardino da Siena che predica da un pulpito e sorregge il monogramma raggiato IHS.

Se la decorazione appare, dal punto di vista artistico, di livello mediocre, risulta invece di interesse la sua iconografia, in linea con le inclinazioni spirituali dello Zocchi, che cita San Bernardino nel suo testamento ed esprime come principi fondanti la povertà e l’imitatio Christi.

Sfoglia l’incunabolo sul sito della Biblioteca Digitale Lombarda.

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Aggiornamento emergenza COVID-19

La Biblioteca rimarrà chiusa al pubblico anche nei prossimo giorni, durante i quali continueremo a lavorare per consentire, appena possibile, la riattivazione in sicurezza di alcuni servizi.
Consultate questa stessa pagina per conoscere le novità.

Per il momento, come nei mesi passati, è sempre attivo il servizio di consulenza remota: trovi il form di contatto nella pagina Chiedi al bibliotecario.

Le scadenze dei libri in prestito sono state automaticamente prorogate e non saranno applicate sanzioni per i ritardi.

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La Biblioteca Digitale Lombarda in diretta

Martedì 12, alle ore 17, in diretta streaming, l’Associazione Culturale NoMus, Centro Studi e Ricerche sulla Musica Moderna e Contemporanea, organizza una presentazione della Biblioteca Digitale Lombarda, progetto gestito da Regione Lombardia e incrementato anche grazia anche alla partecipazione a bandi di contributi europei.

Intervengono Maria Laura Trapletti, Mariella Sala e Marcello Eynard, quest’ultimo con informazioni in merito ai meravigliosi Corali conservati nella Biblioteca Mai, liberamente consultabili sul sito della BDL.

Questo il link per la diretta sul canale Youtube dell’Associazione NoMus, dove sono disponibili tutti i precedenti contributi.

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#iorestoacasa con la Raccolta Almanacchi

Raccolta Almanacchi

Nell’ottica della creazione di raccolte speciali, che caratterizza l’attività di riordino della Biblioteca nel secondo Novecento, negli anni settanta venne costituita, all’interno della collezione dei periodici, la Raccolta Almanacchi, tuttora in accrescimento. Essa è composta da circa 2.800 volumi per 900 titoli (quasi un terzo pubblicati nella Bergamasca), datati dal XVII secolo fino ai giorni nostri.

Gli almanacchi sono pubblicazioni annuali simili a calendari, spesso poveri nella fattura e in formato tascabile. Gli esemplari più antichi conservati nella Raccolta sono a carattere religioso, incentrati sul calendario dei santi. Nel XVIII secolo, accanto alle rubriche sui fenomeni astronomici (lunazioni, sorgere e tramontare del sole, solstizi, equinozi), acquistarono sempre più rilievo le informazioni di utilità pratica: ricorrenze civili e religiose, fiere e mercati, tariffe, cambi, pesi e misure, orari dei trasporti e dei servizi postali, cariche pubbliche sia laiche che ecclesiastiche. I volumetti sono inoltre corredati da scritti su argomenti disparati, come le semine e i lavori agricoli, i rimedi medici, le previsioni astrologiche e meteorologiche per l’anno a venire; riportano notizie storiche e genealogiche, artistiche, geografiche e statistiche, motti e proverbi, i più vari consigli provenienti dalla saggezza popolare, in chiave moraleggiante o umoristico-satirica.

La formula editoriale riscosse il maggior successo nell’Ottocento, secolo nel quale si moltiplicarono i titoli in commercio, in costante concorrenza tra loro; alcuni avrebbero avuto vita effimera, altri (ad esempio, l’Annuario della nobiltà italiana) giungono fino a oggi.

Fra i titoli più fantasiosi presenti nella Raccolta, citiamo, a titolo di esempio: A chi toca toca (Vicenza, 1795), Almanac di trenta mester (Bergamo, 1869), L’asino color di rosa (Bergamo, 1824), La frusta per le donne gabbiste (Bergamo, 1860), L’incognito scarpellatore (Bergamo, 1821), La maniera di farsi ricco (Bergamo, 1787), La minestra senza sale e senza condimento (Bergamo, 1807), Servo a tutti e sono per chi mi vuole (Milano, 1821), Il vizio sferzato (Venezia, 1807). Tra gli almanacchi bergamaschi più importanti, per contenuto o durata, segnaliamo: L’almanacco provinciale (1825), La fiera di Bergamo (1819), Il Mercurietto piacevole (1779), La sirena cantante (1751) e, forse il più significativo, Bergamo, o sia notizie patrie, che abbiamo già descritto. L’insospettata mole di informazioni che questi periodici racchiudono, costituisce una fonte imprescindibile, al pari di quella offerta dai quotidiani, per la moderna ricerca storica.

Sono molti i titoli disponibili in formato digitale e sfogliabili sul web. Quelli predisposti dalla Biblioteca Mai, tutti editi a Bergamo, sono visibili sul sito della Biblioteca Digitale Lombarda.

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#iorestoacasa con Torquato Tasso

Torquato Tasso (1544-1595)

Il nome di Torquato Tasso è indissolubilmente legato alla città di Bergamo. La famiglia Tasso, originaria del borgo di Cornello, in Val Brembana, emigrò nei secoli in vari paesi europei e giocò un ruolo importante, a partire dal XV secolo, nella creazione e gestione del servizio postale, dapprima per la Repubblica di Venezia, poi per il Pontefice e quindi per gli Asburgo.

Nato a Sorrento da Porzia de’ Rossi e Bernardo Tasso, anch’egli brillante letterato, Torquato è uno dei poeti italiani più significativi e ha goduto di un’immensa fortuna non solo in campo letterario, ma anche nel campo delle arti visive e della musica, complici le sue vicende biografiche e il temperamento inquieto, che lo hanno reso caro anche alla sensibilità romantica e contemporanea.

Fin da giovane Torquato accompagnò il padre nelle sue peregrinazioni al seguito del principe di Salerno, Ferrante Sanseverino, visitando corti molto raffinate, come quella dei Della Rovere a Urbino, dove ebbe inizio la sua produzione poetica. Lo stile di vita, raminga fra corti splendide e ricche di opportunità culturali, ma anche fonte di inevitabili delusioni, di amarezze e solitudine, segnò profondamente non solo la poesia del Tasso, ma il suo carattere e la sua acuta sensibilità, minandone infine irrimediabilmente l’equilibrio.

Il capolavoro di Torquato, la Gerusalemme liberata, venne concepito e iniziato a Venezia nel 1559, dove Bernardo stava curando l’edizione della sua opera principale, l’Amadigi, un imponente poema ispirato a un romanzo spagnolo del primo Cinquecento sulla figura del cavaliere errante. Da Venezia, Torquato passò a Padova e per un certo periodo a Bologna, dove compì studi di diritto, filosofia ed eloquenza, mentre pubblicava il Rinaldo (1562) e diversi componimenti poetici. Nel 1565 entrò al servizio del cardinale Luigi d’Este e si trasferì a Ferrara, dove Alfonso II d’Este lo nominò lettore di Geometria e Sfera. La produzione letteraria si arricchiva intanto di canzoni, sonetti, madrigali d’amore, e della favola pastorale Aminta, messa in scena nel 1573. Due anni dopo era terminato anche il ‘poema di Goffredo’, la Gerusalemme liberata, la sua più grande fatica, ispirata alla storia della prima Crociata (1096-1099).

L’intenso lavoro intellettuale, compiuto in un clima di forte competizione, aveva però consumato le energie psichiche del poeta, che cominciò a manifestare manie di persecuzione e forme di ossessione sulla propria ortodossia religiosa, a nulla giovandogli l’assoluzione dell’Inquisizione, da lui stesso consultata in proposito. Sprofondando nella follia, Torquato compì gesti aggressivi e venne arrestato; dopo la liberazione riprese a viaggiare per l’Italia, in un tormentoso peregrinare, finché nel 1579, ritornato a Ferrara, non venne internato nell’ospedale di Sant’Anna, dove restò per sette anni. Dopo questa dolorosa prigionia, testimoniata da molte lettere e liriche, l’ultima fase della vita del poeta fu connotata da ulteriori spostamenti fra le città italiane, dalla riscrittura del poema maggiore, la Gerusalemme conquistata, e dalla protezione papale. Sarà infatti a Roma, nel monastero di Sant’Onofrio sul Gianicolo, che Torquato morirà nel 1595.

Tasso ha avuto una grande influenza sulla letteratura italiana ed europea: ben noto è il dibattito che si scatenò alla fine del Cinquecento sul primato di Ariosto o di Tasso, discussione che divise il mondo letterario per decenni tra fautori dell’uno o dell’altro scrittore. Successivamente l’eco del poema tassiano si diffuse in tutta Europa, grazie anche alle moltissime traduzioni in varie lingue e persino in molti dialetti. A Tasso si sono ispirati Shakespeare, Milton, Cervantes, Lope De Vega, Calderón de la Barca, Goethe, solo per citare i più conosciuti; mentre in Italia le novità del Tasso saranno colte da Metastasio, Alfieri, fino a Foscolo e Leopardi. Innumerevoli sono poi le raffigurazioni in pittura (specie nel XVII secolo, per esempio di Guercino e di Nicolas Poussin) dei momenti cruciali della Gerusalemme liberata, ai cui personaggi, in particolare alla maga Armida, anche grandi musicisti hanno dedicato le loro opere (tra gli altri, Jean Baptiste Lully, Claudio Monteverdi, Tomaso Albinoni, Antonio Vivaldi, Luigi Cherubini, Franz Joseph Haydn, Gioachino Rossini). Lo stesso poeta fu assunto come protagonista di creazioni musicali che ne ripercorrono la sofferta vicenda biografica: sulla vita di Tasso scrisse un’opera lirica Gaetano Donizetti (1833) e un poema sinfonico Franz Liszt (Tasso. Lamento e trionfo, 1849).

Visita le mostre dedicate a temi tassiani allestite alla Mai negli ultimi anni: «Abiti, fregi, imprese, arme e colori». Tasso, la nobiltà e l’impresistica fra Cinquecento e Seicento (2019); Tasso in Scena. La «Gerusalemme liberata» e il suo autore a teatro (2018); Torquato ed Ercole Tasso, la famiglia e il matrimonio (2017); La ‘Raccolta tassiana’ della Biblioteca Mai. Specimina e pezzi unici (2014). Leggi le biografie di Torquato Tasso sul Dizionario biografico degli italiani e su Wikipedia.

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#iorestoacasa con le Cinquecentine

Cinquecentine

Con il termine ‘cinquecentina’, affermatosi stabilmente solo a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, si indica un libro a stampa pubblicato fra il 1501 e il 1600. Rispetto al secolo precedente aumentò molto la produzione di libri a stampa (si stimano oltre 210 milioni di libri stampati nel secolo XVI nella sola Europa) e le tecniche, i caratteri e gli stili si avvicinarono molto al libro moderno, per esempio nella normalizzazione dell’uso del frontespizio. Anche l’illustrazione divenne più raffinata, con l’affermarsi della calcografia, incisione su lastra di rame, che sostituì la tradizionale xilografia su legno.

Come per i manoscritti e gli incunaboli, anche la raccolta di cinquecentine della Biblioteca si è formata in gran parte con l’arrivo delle ricche librerie di conventi e monasteri soppressi in età napoleonica. Successive acquisizioni sono avvenute mediante lasciti e donazioni di istituzioni, famiglie e privati cittadini. Negli ultimi decenni sono giunte in deposito le raccolte dell’Accademia Carrara e del Seminario vescovile di Bergamo. Alcune centinaia di cinquecentine appartengono poi alla Raccolta tassiana.

Nel Cinquecento prese avvio anche la produzione bergamasca di libri a stampa, dal 1555, soprattutto con l’editore Comino Ventura (Sabbio di Chiese, Brescia, 1550 ? – Bergamo, 1617) che, talora in società con altri, dal 1578 al 1617, produsse 257 edizioni, 198 delle quali conservate alla Mai. Le sue pubblicazioni riguardano testi classici, opere di Torquato Tasso, di autori locali, testi di teologia o di devozione, cronache, statuti, decreti e ordini cittadini.

Oggi l’insieme delle cinquecentine conta circa 12.000 volumi. In considerazione della provenienza, è più marcata la presenza di opere di carattere teologico e pastorale, ma non mancano edizioni importanti di carattere letterario, filosofico e scientifico, tali da rendere assai apprezzata questa raccolta bergamasca.

Nel 1973 è stato pubblicato un catalogo speciale, a cura di Luigi Chiodi: Le cinquecentine della Biblioteca Civica A. Mai di Bergamo; frutto dell’accorpamento degli esemplari fino ad allora sparsi nei fondi e nelle raccolte storiche della Biblioteca, il catalogo porta descrizioni brevi, arricchite tuttavia da informazioni sulla provenienza e sugli antichi possessori. Non vi figurano le cinquecentine del Seminario vescovile di Bergamo, che furono acquistate pochi anni dopo la pubblicazione e che furono descritte in un successivo catalogo dattiloscritto, comprendente anche un indice di luoghi e di stampatori/editori, approntato nel 1981 da Maria Elisabetta Manca. Attualmente è stata completata la catalogazione informatizzata di tutti gli esemplari, reperibili nel catalogo OPAC regionale.

L’attività di digitalizzazione dell’ingente patrimonio della Biblioteca Mai si è concentrata fino ad oggi in prevalenza sui ‘pezzi unici’, escludendo quindi in gran parte le opere disponibili nel mondo in più esemplari, quali le edizioni del XVI secolo. Pertanto sono poche le cinquecentine della Mai fruibili digitalmente, ma sono numerose, a livello mondiale, le edizioni reperibili tramite i maggiori portali digitali, quali, ad esempio, Europeana (progetto europeo, che ingloba l’italiano Internet Culturale) o Internet Archive (progetto nord-americano).

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#iorestoacasa con il Dialogo sopra i due massimi sistemi di Galilei

Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Firenze, Giovanni Battista Landini, 1632 – (Sala 24 E 6 17)

L’opera è considerata la summa del pensiero filosofico e scientifico di Galileo (Pisa, 1564 – Arcetri, 1642), che in essa rese pubbliche le proprie convinzioni sul moto della Terra e le nuove scoperte inerenti la sostanza della Luna, i satelliti di Giove, le macchie solari, la relatività del moto, le maree: osservazioni innovative dalle quali prende forma la scienza moderna. Già nel titolo si trovano gli indizi delle novità formali e di contenuto che il testo apporta alla storia della scienza: Dialogo di Galileo Galilei… Dove ne i congressi di quattro giornate si discorre sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano; proponendo indeterminatamente le ragioni filosofiche e naturali tanto per l’una, quanto per l’altra parte. Un dialogo, dunque, e proposte interdisciplinari, a sostegno sia della tradizione sia dell’innovazione scientifica. Grazie al genere dialogico, inusuale per la letteratura scientifica, gli scienziati Salviati e Simplicio propongono le ragioni a favore dell’uno o dell’altro dei due massimi sistemi, il tolemaico e il copernicano, mentre il nobile Sagredo, discreto conoscitore della materia, interviene chiedendo chiarimenti e contribuendo con argomenti più colloquiali a far comprendere ai lettori meno esperti le considerazioni più tecniche.

Quanto al contenuto, la nuova opera galileiana suscitò subito meraviglia negli uomini di scienza, che compresero di essere di fronte a una rivoluzione: «Queste novità di verità antiche, di novi mondi, nove stelle, novi sistemi, nove nationi… son principio di secol novo» scrisse, per esempio, Tommaso Campanella. Quanto alla forma letteraria, al Dialogo, a esso è oggi riconosciuta una grande importanza per la definizione della prosa scientifica del Seicento e, più in generale, per lo sviluppo stesso della lingua italiana: Galileo unisce al genio matematico e all’ampiezza degli interessi, la capacità della divulgazione culturale, svolta con qualità letteraria tanto elevata da potersi considerare artistica. Nonostante le precauzioni adottate dallo scienziato nell’esporre la propria convinzione geocinetica e nonostante l’imprimatur ottenuto dalle autorità ecclesiastiche per la stampa del testo, Galileo subì un memorabile processo che si concluse con una condanna all’abiura e la sua opera venne proibita dall’Inquisizione con la registrazione nell’Indice il 23 agosto 1634. Solo 359 anni dopo, il 31 ottobre 1992, nella sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, la Chiesa riconobbe «gli errori commessi» nel giudicare Galileo, uomo e scienziato che, ancor oggi, è ritenuto tra i maggiori testimoni del contrasto tra scienza e fede, tra libertà di pensiero e autorità politica o religiosa, tra innovazione e conservatorismo.

L’edizione del Dialogo, dedicata al granduca di Toscana Ferdinando II, reca in antiporta un’incisione, riprodotta qui sotto, che raffigura i protagonisti, ed è opera di Stefano Della Bella (Firenze, 1610-1664), prolifico artista dai molteplici interessi naturalistici.

L’esemplare della Mai non è digitalizzato. Puoi sfogliare il Dialogo riprodotto da Smithsonian Libraries, disponibile in Internet Archive.

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#iorestoacasa con il Fasciculus medicinae del 1493

Fasciculus medicinae (Fascicolo di medicina), traduzione in volgare di Sebastiano Manilio, Venezia, Johannes e Gregorius de Gregoriis, de Forlivio, 1493/1494 – (Inc. 4.345)

Il testo fu edito la prima volta in latino nel 1491 dai fratelli Giovanni e Gregorio De Gregori, stampatori di Forlì, che a Venezia avevano avviato un’attività editoriale dedicata in particolare a testi giuridici. In questo caso viene data alle stampe una miscellanea di sei trattati medievali medico-pratici anonimi, attribuita a Johannes de Ketham, ma contenente anche il Consilium pro peste evitanda di Pietro da Tossignano (scomparso nel 1407 ca.), importante professore di medicina a Bologna e Padova, il cui trattato sulla peste è considerato il migliore del XIV secolo e ancora veniva diffuso a stampa fra il 1470 e il 1480. La versione latina del Fasciculus imita molto la forma del manoscritto, su due colonne, in scrittura gotica, con sei schematiche figure. Il Ketham, che compare nel colophon, è probabilmente il possessore del manoscritto dal quale si ricavò questa prima stampa, il cui testo fu rivisto dal medico Giorgio Ferrari dal Monferrato.

Il successo ottenuto indusse i De Gregori a stampare il 5 febbraio 1494, affidando la traduzione a Sebastiano Manilio, originario di Roma, allievo dell’umanista Pomponio Leto, una versione in volgare, quella posseduta dalla Biblioteca Mai. L’edizione, che costituisce il primo libro illustrato di medicina in volgare, appare, rispetto al suo precedente latino, come un volume del tutto rinnovato: non compare più il nome del Ketham, il formato è più piccolo e il carattere scelto è il romano proprio del libro umanistico; viene poi inserita la famosa Anatomia di Mondino de Liuzzi (ca. 1270-1326), qui tradotta per la prima volta.

L’apparato iconografico, interamente rifatto, consiste di xilografie acquarellate, non più schemi medici di sapore ancora medievale, ma realistiche scene di cura e di insegnamento universitario, stilisticamente vicine all’ambito di Giovanni Bellini e di Andrea Mantegna.

Sulla prima pagina troviamo uno studio medico dove attendono tre pazienti, un uomo, una donna anziana e un bambino, recanti un cesto in cui si portava la matula, il contenitore di vetro per le urine; il medico è circondato da dodici libri, che all’epoca erano il canone della sapienza medica, fondata soprattutto su testi classici, arabi e salernitani.

Troviamo poi la scena del Consulto delle urine, pratica centrale della medicina dell’epoca, e la Ruota delle urine, un diagramma con le matule, i diversi colori e la loro interpretazione, accompagnati da brani del Regimen sanitatis di Salerno. Seguono: l’Uomo delle malattie, l’Uomo dello zodiaco, l’Uomo dei salassi, l’Uomo delle ferite, la Donna gravida, che, incinta di cinque mesi, sezionata, porta la prima illustrazione a stampa di un organo interno; quindi ci sono la Visita del medico ad un appestato, che introduce il trattato di Pietro da Tossignano, e la Lezione di anatomia, a introduzione dell’Anatomia di Mondino, secondo gli statuti dello Studio di Padova, che indicavano la necessaria presenza di un lector ex cathedra dei testi di anatomia, un demonstrator, che indicava le parti sul cadavere, un sector, che notomizzava.

L’esemplare della Mai non è digitalizzato. Puoi sfogliare la versione non acquerellata conservata alla Biblioteca Queriniana di Brescia.

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#iorestoacasa con i Promessi Sposi illustrati da Francesco Gonin

Alessandro Manzoni, I promessi sposi, edizione illustrata da Francesco Gonin, Milano, Guglielmini e Redaelli, 1840 – (Manzoniana 4 216); Adelchi, Milano, Ferrario, 1822 – (Cassaf. 1. 6)

Al successo della prima edizione dei Promessi sposi (tra il 1825 e il 1827), fece seguito un proliferare incontrollato di edizioni economiche, tanto trascurate nella redazione e nella veste grafica, da indurre l’Autore a pubblicare, nel 1840, una seconda edizione del romanzo (la cosiddetta ‘quarantana’), stampata con inchiostri di qualità e su carta pregiata, corredata da illustrazioni xilografiche e arricchita dall’inedita Storia della colonna infame. Per le illustrazioni, che nel progetto dell’Autore dovevano punteggiare e ‘commentare’ passo passo il testo del romanzo storico, Manzoni contattò vari pittori, fra i quali Francesco Hayez, che tuttavia non soddisfecero appieno le sue aspettative. Si rivolse infine a Francesco Gonin (1808-1889), giovane e promettente pittore piemontese che, soggiornando a Milano nel 1835, aveva avuto modo di frequentare il cenacolo di Massimo d’Azeglio e i protagonisti della scena letteraria del momento (Tommaso Grossi, Giulio Carcano e Cesare Cantù), attingendo alla cultura del romanticismo storico propria di quel primo fervido Ottocento. Dal 1839 al 1842, Manzoni e Gonin lavorarono a stretto contatto, realizzando una serie di immagini, che commentano perfettamente, e per certi versi integrano, il testo del romanzo.
L’esemplare presente in Biblioteca appartiene al fondo manzoniano del senatore Giuseppe Belotti (1908-2005), donato alla Mai nel 1973 e nel 1979, e composto dalle edizioni delle opere di Manzoni (liriche, tragedie, scritti letterari, linguistici e storici, lettere e carteggi), in lingua italiana e in traduzione. Per le edizioni dei Promessi sposi, «l’impegno dello studioso – scrive Belotti – ha ceduto il passo alle piccole ambizioni del collezionista», con esiti straordinari, data la presenza di prime edizioni ed esemplari reperiti sul mercato antiquario. Alle edizioni del romanzo, il collezionista non ha trascurato di aggiungere i documenti relativi ai personaggi storici e le maggiori fonti storiche di riferimento: la Storia di Milano di Pietro Verri, il De peste Mediolani di Giuseppe Ripamonti, Il memorando contagio seguito in Bergamo l’anno 1630 di Lorenzo Ghirardelli. Non manca poi un’ampia bibliografia della critica manzoniana, nazionale ed europea, nella quale figurano anche i contributi dello stesso Belotti. Di Manzoni, la Biblioteca conserva anche un prezioso esemplare dell’Adelchi, stampato a Milano nel 1822, ricevuto in dono nel 1932 da Arrigo Fuzier, presidente della Banca mutua popolare di Bergamo. Il volume, splendidamente rilegato in cuoio di Russia con taglio dorato e impressioni in oro, appartiene a un’edizione di venti esemplari stampati su carta velina di Salò; ma ciò che lo rende unico è la dedica manoscritta al recto del secondo foglio di guardia: «Al suo dilettissimo fratello Enrico Blondel, Enrichetta Manzoni Blondel e l’autore».

Sfoglia una copia dei Promessi sposi illustrati da Francesco Gonin conservata alla Biblioteca Braidense.

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