Nel porgere i migliori auguri per le festività, il personale della Biblioteca ricorda a tutti gli utenti che la Civica Mai resterà regolarmente aperta nei giorni feriali, con l’eccezione di venerdì 24 e venerdì 31 dicembre, vigilie di Natale e Capodanno.
Il centenario dantesco del 1921
A partire dalla fine del Settecento, la figura di Dante Alighieri inizia a consolidarsi come simbolo dell’identità nazionale. L’identificazione risorgimentale del poeta come profeta del pensiero unitario nazionale trova consacrazione nel 1865, quando il sesto centenario della nascita venne celebrato nella città di Firenze, fresca capitale del nuovo Regno d’Italia. Il culto del sommo poeta come simbolo dell’italianità raggiunge l’apoteosi nelle celebrazioni per il secentenario della morte del 1921.
Quale differenza nelle celebrazioni dantesche a distanza di un secolo! Le iniziative nella ricorrenza del settimo Centenario della morte di Dante – oggi – sono principalmente improntate allo studio della sua vita e delle sue opere: nel 1921 invece, nonostante la pubblicazione di numerose e prestigiose edizioni delle opere dell’Alighieri – tra tutte il celebre Dante del centenario, promosso dalla Società dantesca italiana – le celebrazioni per il sesto centenario della morte passarono quasi in secondo piano rispetto all’apologia, all’uso politico della sua figura rappresentata nelle vesti di fautore dell’Italia unita, creatore della lingua nazionale e soldato sceso in campo per la difesa della patria.
Erano anni di intenso fervore nazionalistico. La prima guerra mondiale era finita nel 1918 e l’Italia ne era uscita vittoriosa; Trento e Trieste erano state ricongiunte alla patria, ma il movimento irredentista non aveva esaurito la sua vena: Fiume, che i legionari di Gabriele D’Annunzio erano stati costretti ad abbandonare dopo il «Natale di sangue» del 1920, era considerata una ferita ancora aperta. La penisola era scossa da un’ondata di conflittualità sociale e politica senza precedenti. Le celebrazioni del 1921 furono, quindi, occasione per serrare le fila intorno alla patria, unita nel nome di Dante.
Non mancarono voci critiche riguardo all’uso politico e strumentale della figura dell’Alighieri: Benedetto Croce, all’epoca ministro della Pubblica istruzione nel governo Giolitti e autore di uno dei libri più significativi del tempo sulla poesia dantesca, tentò nel suo discorso inaugurale per l’anno dantesco di riportare l’attenzione sulle opere anziché sulla figura del poeta, diventata quasi oggetto di idolatria. Finì, tuttavia, per essere criticato dagli stessi dantisti, convertiti definitivamente alla retorica e all’apologia. E di retorica e apologia trasudano tutte le manifestazioni, come ben riportato nel volume commemorativo Il Secentenario della morte di Dante MCCCXXI-MCMXXI: celebrazioni e memorie monumentali per cura delle tre città Ravenna – Firenze – Roma. Nel resoconto della manifestazione, tenutasi a Ravenna il 13 settembre 1921, così si descrive la partecipazione della folla: «Giovani guerrieri, fiore d’Italia, usi a vedere in faccia la morte, espressi dalle forze occulte della stirpe, hanno portato a Dante la coscienza della gesta compiuta nel nome suo e il dolore del tradimento subìto. Nella piazza gremita di popolo un solo grido ha echeggiato: Per Fiume italiana, eja, eja, alalà!»
Alle forze armate il cerimoniale riservò il posto d’onore: sulla tomba di Dante fu deposta una corona in bronzo e argento offerta dall’esercito e le porte del tempietto furono sostituite da nuove porte bronzee, donate dal municipio di Roma e ricavate dalla fusione di un cannone catturato agli austriaci nel corso della guerra.
La commemorazione civile del 13 settembre ebbe un grande regista occulto in Gabriele d’Annunzio. Amareggiato per il tradimento dell’Italia verso Fiume, il Vate non presenziò alla cerimonia ma più di ogni altro ne ispirò il simbolismo patriottico. Dietro sua esplicita richiesta il corteo, che durante la commemorazione sfilò per le vie cittadine, fu aperto da legionari fiumani che reggevano sacchi di foglie di lauro, fatte raccogliere personalmente dal Vate sul Benaco e recapitate in aeroplano per rendere omaggio alla tomba di Dante. Una centuria di fanciulle vestite di bianco raccolse il lauro in canestri di vimini e lo sparse lungo le strade vicino al tempietto sepolcrale dove, secondo le istruzioni nella lettera di D’Annunzio, «una madre di Romagna [la madre di Francesco Baracca], una madre di uccisi o di mutilati, una delusa madre senza pianto, sparga al vento marino un pugno di queste fronde in gloria di quel sacrificio che l’implacabile Dante del Carnaro assunse nel suo Paradiso».
Nel montante fervore nazionalistico era inevitabile che anche il partito fascista, organizzato in squadre armate guidate da Italo Balbo e Dino Grandi, riempisse quella piazza, insieme alle delegazioni delle associazioni dei combattenti, degli invalidi di guerra e dei reduci. Secondo le cronache più di tremila fascisti emiliani si radunarono a Ravenna.
Ravenna fu l’epicentro delle celebrazioni non solo perché ricorreva l’anniversario della morte di Dante, avvenuta il 14 settembre 1321 nella città romagnola, ma perché, in un momento storico in cui i caduti della Grande Guerra trovavano la più degna rappresentazione nella salma del Milite Ignoto, condotta all’Altare della Patria in un lungo viaggio in treno traversando tutta l’Italia e suscitando commossa partecipazione, era scontato che le cerimonie in onore di Dante si svolgessero nel luogo ove giacevano le sue spoglie mortali. Nondimeno furono molte le città che commemorarono Dante. Il volume del Secentenario riporta anche le cerimonie di Firenze e Roma, rimarcandone il tono nazionalista e patriottico. Nella città capitolina il presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi presiedette la commemorazione ufficiale, durante la quale il ravennate Corrado Ricci, assessore alle Belle Arti, pronunciò il discorso Roma nel pensiero di Dante. A Firenze, invece, il re Vittorio Emanuele III presenziò alla cerimonia solenne in memoria di Dante in Palazzo Vecchio, nel salone dei Cinquecento, il 17 settembre: il giorno prima si era celebrato Dante soldato con l’erezione di una colonna commemorativa della battaglia di Campaldino, nella valle del Casentino, fra i castelli di Romena e di Poppi, dove il poeta era stato ospite dei conti Guidi sulla via dell’esilio.
Oltre al volume del Secentenario, numerosi sono gli opuscoli e le monografie che celebrano l’anniversario. Nelle nostre collezioni si distingue per formato e contenuto il Numero speciale de L’Illustrazione italiana intitolato Dante 1321-1921, il quale, pur rifacendosi al Dante padre della lingua e della patria nella prefazione degli editori Treves per assecondare il gusto dei lettori, presenta pregevoli contenuti sulla vita e le opere dell’Alighieri redatti da alcuni tra i maggiori dantisti dell’epoca, come Isidoro del Lungo, Vittorio Rossi, Ernesto G. Parodi, Corrado Ricci.
Tra le pubblicazioni che restituiscono il clima imperante e colmo di amor patrio colpisce una voce dissacrante, quella di Venturino Camaiti, arguto scrittore fiorentino, già autore di una Divina Commedia satirica, del quale la Biblioteca Angelo Mai conserva la raccolta di sonetti l’ cCentennario dantesco a Firenze (Giunta alla Divina Commedia): novissimi sonetti fiorentineschi umoristici e satirici. Tra i versi un Dante seccato dal grande clamore del centenario dimostra noia e sarcasmo per le celebrazioni, augurandosi che finiscano presto. Camaiti denuncia come, grattata la superficie, poco dell’Alighieri resti nelle commemorazioni, perché il popolo pare semplicemente spinto alla ricerca di un pretesto per fare festa, mentre le stesse autorità tengono il poeta in ben poca considerazione.
Nel catalogo della Biblioteca sono presenti due pubblicazioni celebrative bergamasche che spiccano anche per la cura editoriale e tipografica. Gli Istituti pareggiati del Collegio Convitto di Celana nel Sesto centenario di Dante Alighieri rappresenta un opuscolo divulgativo pubblicato quale omaggio a Dante a opera dei professori e degli alunni del Collegio Celana di Caprino Bergamasco. I contenuti spaziano dalle analisi sulla teologia e la filosofia del poeta alle memorie dantesche di un professore soldato al fronte, dai temi degli studenti alle loro poesie e illustrazioni, in un misto di didattica e retorica tipico dell’epoca. Particolare importanza viene data ai lavori delle allieve e delle insegnanti della Scuola di educazione tecnica.
Nel secondo testo, ovvero la Commemorazione dantesca – XIV settembre MCMXXI del Seminario Vescovile di Bergamo, viene riportato integralmente il discorso celebrativo del canonico Castelli, a cui fanno seguito due poesie recitate dagli alunni. Anche grazie alla lettera enciclica di papa Benedetto XV, emanata nel 1921 sul tema del secentenario dantesco, i cattolici si riappropriarono della figura di Dante, visto unilateralmente nelle precedenti celebrazioni del 1865 quale «ghibellin fuggiasco» di foscoliana memoria. Il pontefice ne rimarcò, di contro, la religiosità e, rivolgendosi ai docenti e agli alunni di tutti gli istituti cattolici d’insegnamento letterario, non esitò a definire Dante «il cantore più eloquente del pensiero cristiano». Come sottolineò il professor Castelli, «forse perché mai come in questo momento così tragico che ha visto il crollo di tutte le umane ideologie, è stata così alta l’aspirazione alla fede. […] Oggi in questa solennità guardiamo il divin poema dal punto di vista religioso-morale, dichiarando i due motivi più alti per onorare l’Alighieri: l’essere la sua una poesia altissima di fede; l’essere una poesia sovranamente educatrice».
Un secolo è passato e nel tempo Dante è stato spogliato di ogni pesante retorica patriottica. Le celebrazioni del 2021, a partire da quanto esposto sul sito del Ministero della cultura, sono state improntate allo studio della figura dell’Alighieri e delle sue opere in un’ottica scientifica e divulgativa: molte sono state le iniziative durante questo lungo anno e altrettante le pubblicazioni. La prossima settimana, nell’ultima tappa del nostro viaggio nelle edizioni dantesche, vi illustreremo le novità 2021 entrate a far parte del patrimonio della nostra biblioteca.
Il Secentenario della morte di Dante MCCCXXI-MCMXXI: celebrazioni e memorie monumentali per cura delle tre città Ravenna-Firenze-Roma – Roma, Bestetti e Tuminelli [1924]. Collocazione: Salone Cass. 5 D 2 27
I’ cCentennario dantesco a Firenze (Giunta a Divina Commedia): novissimi sonetti fiorentineschi umoristici e satirici / di Venturino Camaiti – Firenze, Tipografia Ramella, 1922. Collocazione: EXCAV 1 8629
Nel VI centenario della morte di Dante: 1321-1921 – Milano, Fratelli Treves, 1921. Collocazione: Alm 5. 29
Commemorazione dantesca XIV Settembre 1921 – Bergamo, Secomandi-Seminario Vescovile di Bergamo, 1921. Collocazione: EXCAV 4 138
Gli Istituti pareggiati del Collegio Convitto di Celana nel Sesto centenario di Dante Alighieri – Brivio, Fratelli Pozzoni, 1921. Collocazione: Salone O 5 31
Prorogata la mostra L’Assiette au beurre
La mostra L’Assiette au beurre. L’immagine satirica della Belle Époque è stata prorogata fino al 10 gennaio.
Chi non avesse ancora avuto l’opportunità di visitarla, potrà quindi accedere all’Atrio scamozziano (sono richiesti il ‘certificato verde’ e un documento per l’ingresso) durante gli orari di apertura della Biblioteca.
Ricordiamo che l’ingresso è libero e che la Biblioteca, durante il periodo natalizio, osserverà le chiusure nei giorni festivi e nelle due vigilie di Natale (venerdì 24) e di Capodanno (venerdì 31).
Realizzato a corredo della mostra dal curatore, Paolo Moretti, il Catalogo è messo a disposizione di tutti coloro che vorranno effettuare una donazione minima di dieci euro all’Associazione Amici della Biblioteca Angelo Mai.
Sciopero di giovedì 16 dicembre
In seguito allo sciopero generale nazionale indetto dalle sigle sindacali CGIL e UIL per tutte le categorie pubbliche e private dei lavoratori, giovedì 16 dicembre i servizi della Biblioteca potrebbero subire rallentamenti o interruzioni.
Ci scusiamo anticipatamente per l’eventuale disagio.
Comento di Christophoro Landino Fiorentino sopra la Comedia di Danthe Alighieri, 1491
E’ il 3 marzo del 1491 quando il bergamasco Bernardino Benali – celebre editore del Supplementum Chronicarum dell’agostiniano Jacopo Filippo Foresti – e Matteo Capcasa, prolifico tipografo nativo di Parma, completano a Venezia il lavoro di composizione e stampa della Commedia preceduta dall’Apologia e dalla Vita di Dante e seguita dal Credo, dai Dieci Comandamenti, dai Sette Salmi penitenziali, dal Pater Noster e dall’Ave Maria.
L’edizione in carattere romano di corpo maggiore per il testo poetico e in corpo minore per il Commento, è in folio e conta 302 carte. L’ornamentazione comprende, oltre alle eleganti iniziali decorate, novantasette xilografie di piccolo formato e, all’inizio di ogni Cantica, grandi illustrazioni a piena pagina inquadrate da bordure con figure e animali che Giancarlo Petrella descrive come «una cornice architettonica a motivi classici, qui probabilmente impiegata per la prima volta [nella quale] sono raffigurati giovani nudi con vasi in mano seduti in cima a una colonna che sorreggono, quasi come degli Atlanti, il peso del timpano superiore nel quale è inserito Dio Padre con un libro aperto; alla base delle colonne figurano alcune sirene con le code attorcigliate e, nel montante inferiore, due putti reggono il medaglione centrale destinato a contenere l’eventuale insegna miniata dell’acquirente».
- Inferno, canto I
- Inferno, canto XVI
Le novità che Benali e Capcasa introducono nella tradizione a stampa della Commedia sono rilevanti sia per la componente testuale sia per l’apparato illustrativo: per la prima volta il Commento landiniano al testo poetico viene pubblicato con le revisioni del frate francescano, vissuto tra i secoli XV-XVI, Pietro da Figino; per la prima volta sono poste a conclusione della terza Cantica il Credo, il Pater Noster e l’Ave Maria; per la prima volta in una edizione a stampa l’apparato illustrativo è completo comprendendo anche il Paradiso (come noto, le xilografie dell’edizione bresciana del 1487 corredano solo le prime due Cantiche).
- Inferno
- Purgatorio
- Paradiso
La mise en page dell’edizione veneziana Benali-Capcasa (o Codecà) rispecchia la cura speciale dedicata alla pubblicazione: il rapporto tra parola e immagine risulta equilibrato alla vista e funzionale alla lettura. Testo poetico, commento e illustrazioni sono disposti in armoniosa composizione che consente al lettore di avere un ‘anticipo visivo’ e una sintesi a richiamo di ogni canto. La complessa analisi della tradizione visuale della Commedia nelle edizioni a stampa del Quattrocento, la ricostruzione della vicenda ideativa e compositiva e la lettura iconografica delle illustrazioni dell’edizione Benali-Capcasa si deve a Giancarlo Petrella (in particolare nel saggio Da Firenze a Venezia: il primo decennio della Commedia illustrata a stampa (1481-1491), in Dante visualizzato. Carte ridenti 3, 2 p. 227-253) che ha ampiamente utilizzato anche l’esemplare conservato dalla Biblioteca Angelo Mai.
Il volume della Civica di Bergamo, collocato alla segnatura INC.4.167, presenta tracce di note manoscritte, quasi certamente di possesso, purtroppo illeggibili perché cancellate, sul margine inferiore della prima carta e su quello superiore del verso dell’ultima. Nel corpo del testo sono sparse note marginali manoscritte mentre due cifre vergate a mano in numeri arabi che si leggono all’inizio e alla fine del volume rimandano ad antiche collocazioni sugli scaffali dei precedenti possessori: a lapis rosso sulla prima guardia, «50»; in inchiostro bruno sull’ultima carta «292».
La legatura è tardo settecentesca: le originali assi lignee sono state rivestite da una carta marmorizzata policroma in giallo, rosso e nero mentre angoli e dorso sono in cuoio. Il dorso presenta la scritta «DANTE ALIGHIERI» impressa in oro su etichetta rossa soprastante, decorata con elementi vegetali entro una sottile cornice, anch’essi impressi in oro. Sono ancora visibili i segni di due antichi fermagli sul piatto anteriore.
Una riproduzione a stampa delle illustrazioni dell’esemplare della Biblioteca Angelo Mai, sarà presto disponibile grazie alla Strenna natalizia dell’Associazione Archivio Bergamasco.
Comento di Christophoro Landino fiorentino sopra la comedia di Danthe Alighieri poeta fiorentino. – (Impressi in uenesia : per Bernardino benali & Matthio da parma, 1491 adi iii marzo). – [10], CCLXXXXI, [1] carte : illustrazioni xilografiche; 2°. ((Riferimenti: ISTC id00032000; IGI 363; BMC V 373; Essling 531; Sander 2313; GW 7969; H 5949; De Marinis, Il Castello di Monselice, p. 130; Rhodes, Catalogo del fondo librario antico della Fondazione Giorgio Cini, D4; Ageno, Librorum saec. 15…, a cura di Gasparrini Leporace, Firenze, Olschki…1954, n.15. – A cura di Pietro da Figino, come indicato nel colophon a carta L7v. – Segnatura: π¹⁰ a-z⁸ &⁸ [con]⁸ [rum]⁸ A⁸ B⁶ C-I⁸ K⁶ L⁸; romano; illustrazioni xilografiche a piena pagina alle carte a1v, s1v, s2v e C1r; nel testo altre 97 vignette xilografiche all’inizio di ciascun canto; iniziali xilografiche.
Sfoglia la copia digitale dell’esemplare conservato dalla Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II di Roma.
Quale ‘Green Pass’ per l’accesso
Il Decreto Legge 105 del 23 luglio 2021 ha stabilito che per accedere ai servizi delle biblioteche è necessario presentare una Certificazione verde COVID-19 (‘Green Pass’) unitamente a un valido documento di identità.
In ottemperanza al Decreto Legge 172 del 26 novembre 2011, come precisato dal comunicato del Ministero della Cultura del 3 dicembre 2021, nulla cambia dal 6 dicembre 2021 al 15 gennaio 2022, sia in zona bianca, sia in zona gialla: l’accesso alla Biblioteca, durante la normale apertura per l’erogazione dei servizi, resta consentito ai possessori del ‘Green Pass’ ‘normale’. Il certificato ‘rafforzato’ sarà pertanto necessario solo in occasione di attività supplementari, quali conferenze, incontri, visite guidate, concerti.
Il personale preposto al controllo continuerà ad effettuare la verifica della validità del certificato tramite l’app VerificaC19.
Restano in vigore tutte le disposizioni di sicurezza già in essere: ingresso contingentato, misurazione della temperatura e igienizzazione delle mani, con obbligo di indossare correttamente la mascherina a copertura di naso e bocca.
La fortuna di Dante in Francia nell’Ottocento
La stagione dell’engouement collectif, l’infatuazione collettiva per Dante e per la sua opera nella Francia del diciannovesimo secolo, è strettamente legata alla nuova sensibilità romantica che, nei primi anni dell’Ottocento, sostituì gradualmente in letteratura la razionalità dell’Illuminismo. La riscoperta e la rivalutazione del Medioevo, l’interesse per gli autori stranieri, la celebrazione dei poeti ‘nazionali’ contribuirono a creare Oltralpe il mito di Dante, accostato spesso a Shakespeare per il comune ‘furore’ poetico.
Per l’affermazione di Dante come poeta romantico per eccellenza, ammirato da Victor Hugo e da Honoré de Balzac, risultano decisivi soprattutto l’opera di Pierre-Louis Ginguené, letterato membro dell’Institut de France, e l’influenza di due affermati intellettuali – e faiseurs d’opinion – il visconte François-René de Chateaubriand e la nobildonna scrittrice Madame de Staël, autori che trasformano Alighieri in un’icona dell’esule e del genio visionario.
Ginguené, letterato, storico e politico, fu profondo conoscitore dell’Italia, di cui apprese ben presto la lingua e di cui studiò con passione la storia, la musica e soprattutto la letteratura; le sue entusiasmanti conferenze sulla letteratura italiana all’Athénée di Parigi furono raccolte nella Histoire littéraire d’Italie, nella quale Ginguené contestualizza correttamente le opere nel momento storico generativo. La collana, in dieci volumi, ebbe un successo tale da essere tradotta e pubblicata parallelamente anche in Italia già in fase di stesura: alla Commedia Ginguené dedica un intero volume, analizzando non solo l’Inferno ma tutte e tre le cantiche per le quali suggerisce una lettura continua come opera poetica libera dai commenti destinati alla spiegazione delle allegorie. Di Dante viene messa in evidenza non solo la grandiosità della machine poétique, ma anche la straordinaria potenza della poetica, perfettamente allineata con gli ideali romantici:
«Doué d’un génie vaste, d’un esprit pénétrant et d’une imagination ardente, il joignit à des connaissances étendues une vivacité de pensées, une profondeur de sentiment, un art d’employer d’une manière neuve des expressions communes, et d’en inventer des nouvelles, un talent de peindre et d’imiter, un style serré, vigoureux, sublime, qui, malgré les défauts, qu’on ne doit imputer qu’au temps où il vécut, lui ont toujours conservé la place que lui décerna l’admiration de son siècle»6 [Dotato di un vasto genio, di una mente penetrante e di un’immaginazione ardente, unì alla vasta conoscenza una vivacità di pensiero, una profondità di sentimento, un’arte di impiegare in modo nuovo espressioni comuni e inventarne di nuove, un talento per la pittura e imitando, uno stile teso, vigoroso, sublime, che, nonostante i difetti, che dovrebbero essere attribuiti solo a quando visse, hanno sempre mantenuto il posto assegnatogli dall’ammirazione del suo secolo].
François-René de Chateaubriand, considerato per il suo talento e i suoi eccessi il fondatore del Romanticismo letterario francese, conobbe la poesia dantesca attraverso la famosa traduzione in prosa dell’Inferno del 1783 ad opera del conte Antoine de Rivarol, come attestano le citazioni incluse nel Génie du Christianisme (1802). Nel Génie, opera apologetica scritta durante l’esilio in Inghilterra, l’autore glorifica le nuove fonti d’ispirazione, come l’arte gotica o le grandi epopee medievali, e si rispecchia in Dante, modello di letterato cristiano e di uomo politico, nel quale identifica il primo poeta capace di sostituire il ‘meraviglioso’ del Cristianesimo alla mitologia pagana, colui che, a differenza di Omero che abbassa gli dèi al livello umano, eleva l’uomo all’altezza di Dio.
Madame de Staël (Anne-Louise Germaine Necker, baronessa di Staël-Holstein), scrittrice francese famosa per aver pubblicato L’Allemagne – uno dei manifesti della poetica romantica – e per il suo salotto letterario, aveva compiuto molti viaggi in Italia, dedicando alla nostra patria un romanzo di grande successo, Corinne ou l’Italie. De Staël scopre la Divina Commedia grazie a Giuseppe Parini e della poetica dell’Alighieri dà una lettura più ‘romantica’ che critica, esaltando i temi dell’impegno politico e dell’esilio, esperienza che la coinvolse di persona: il Dante di Madame de Staël è un uomo che prima di lei ha subìto il bando dalla propria città e che, come lei, spera che la fama letteraria gli possa valere il ritorno. Nel capitolo Corinne au Capitole la scrittrice rende un vibrante omaggio alle glorie dell’Italia, citando particolarmente l’Alighieri e la sua opera in una lunga evocazione: «Dante fu valoroso poeta dell’indipendenza italiana, e Petrarca trasse ispirazione dalla patria, più che da Laura. L’Italia – conclude la protagonista – è una terra che accoglie il genio anche quando è perseguitato dagli uomini, che ripara e guarisce tutte le ferite, e consola perfino dalle pene del cuore.».
Questo interesse, questo ‘furore’ per Dante oltralpe è attestato dal numero di nuove traduzioni, in prosa e in versi, anche se spesso limitate al solo Inferno: già nel 1787 l’editore Hubert-Martin Cazin dà alle stampe una graziosa edizione della Commedia intitolata Inferno. Purgatorio. Paradiso, poema di Dante. Anche se «il testo degli Accademici, riprodotto in questa edizione, vi è sfigurato da molti errori tipografici», come annotato da Paul Colomb de Batines, i volumetti della Raccolta Cazin nel loro piccolo formato tascabile sono ben noti ai bibliofili per l’eleganza tipografica caratterizzata da frontespizi ornati da vignette, da testatine silografiche e da tagli dorati. Tanta cura editoriale non fu sufficiente a risparmiare il prestigioso editore dalla censura: reo di aver stampato opere licenziose e proibite, patì il sequestro dei libri e più di una reclusione alla Bastiglia.
Esempio del successo della cantica dell’Inferno in territorio francese è il prezioso volume Lo Inferno della Comedia di Dante Alighieri col comento di Guiniforto delli Bargigi tratto da due manoscritti inediti del sec. decimo quinto, prima e unica Cantica del poema pubblicata a Marsiglia da Leopoldo Mossy e a Firenze da Giuseppe Molini nel 1838. Tirata in pochissimi esemplari, questa è la prima edizione del commento di Guiniforte Barzizza, tra i più apprezzati chiosatori dell’Alighieri, collazionato da Giuseppe Zaccheroni su due manoscritti, il primo dei quali già nella Biblioteca Nazionale di Parigi, il secondo di proprietà del filologo marsigliese Gaston de Flotte (1805-1882), poi consultato – nonché decurtato di carte miniate – dallo Zaccheroni e finalmente entrato nelle raccolte della biblioteca parigina. Numerose incisioni, fregi e iniziali ornate decorano le pagine e l’uso di caratteri di stampa che si presentano diversi sia per tipo sia per dimensione, configurando una miscellanea compositiva molto originale e tuttavia armonica: in particolare, sono stati usati caratteri gotici per la prefazione e per gli argomenti di ciascun canto. Come racconta Gaspero Barbèra nelle sue memorie «il Molini si venne formando il gusto del libro ben lavorato con lo stare di continuo in mezzo a quelle belle edizioni francesi e specialmente inglesi di cui era abbondantemente fornito il suo grande negozio».
La biblioteca possiede inoltre una delle numerose ristampe dell’edizione tradotta da Pier-Angelo Fiorentino: drammaturgo e poeta oltreché traduttore, Fiorentino iniziò l’attività di letterato in Italia negli anni Trenta dell’Ottocento ma raccolse maggior successo in Francia, paese dove migrò in cerca di fortuna nel 1835. A Parigi collaborò come giornalista e critico musicale con le principali testate dell’epoca e fu collaboratore di Alexandre Dumas padre: nella bottega dello scrittore francese partecipò alla stesura di molti romanzi grazie alla conoscenza della storia e della realtà italiana, una collaborazione talmente rilevante che per alcuni critici Fiorentino potrebbe essere il vero autore delle opere Giovanna di Napoli, Ascanio, Il Corricolo e soprattutto de Il conte di Montecristo.
La sua traduzione della Commedia è datata 1840 e risente dell’esaltazione romantica per i contenuti spirituali del poema. Fu accolta con entusiasmo dai principali rappresentanti dell’intellighenzia d’Oltralpe – Baudelaire, Hugo, La Mennais – che la definirono la migliore traduzione del poema dantesco mai realizzata in francese. Ne furono pubblicate tre edizioni, tutte oggetto di numerose ristampe; la versione di Fiorentino fu scelta nel 1861 da Hachette per la pubblicazione della Commedia illustrata da Gustave Dorè.
La traduzione di Fiorentino è, per sua stessa ammissione, la più letterale possibile, consapevole della perdita dell’unità ritmica data dalle terzine in endecasillabo; l’autore, a tal proposito, nella prima nota all’Inferno sostiene: «Sappiamo che quando traduciamo scriviamo prima di tutto la storia e cerchiamo di riprodurre l’intero poema, parole e immagini, forma e idea, corpo e anima. La parafrasi, in fatto di stile, è banalità; in fatto di scienza, anacronismo; in fatto di religione, eresia».
Nella lunga introduzione all’opera, Fiorentino descrive accuratamente la genesi del poema e il viaggio nelle tre cantiche con un commento arricchito da numerosi riferimenti storici; delinea la biografia di Dante e dedica un lungo paragrafo al suo stile poetico. I canti sono presentati nella traduzione francese, senza testo a fronte e con note in postfazione.
Un’altra traduzione del poema che ebbe un notevole successo fu la Divine Comédie di Henri Dauphin (1827-1880), studioso di lettere classiche e Cavaliere della Legion d’Onore: pubblicata postuma a Parigi nel 1886 è stata recentemente ristampata nell’ambito di una collana edita da Hachette, vòlta a valorizzare le edizioni conservate presso la Bibliothèque nationale de France ormai introvabili. Il testo in francese è preceduto da un’ampia biografia di Dante, a cui si aggiungono alcune pagine di commento. I canti, in prosa, sono corredati da note in calce.
Oltre al nuovo spirito romantico, determinanti per la fortuna di Dante in Francia furono gli studi degli esuli italiani rifugiati per motivi politici a Parigi tra il 1797 e il 1848: Carlo Botta, Giovanni Berchet, Guglielmo Pepe, Vincenzo Gioberti, Niccolò Tommaseo tra i più noti. Gli esuli lavoravano generalmente come insegnanti di italiano, traduttori e giornalisti, spesso sfruttando il testo della Commedia per diffondere la conoscenza della letteratura italiana e per propugnare l’idea di un risorgimento politico e letterario. Alighieri diventò così l’ambasciatore dell’identità nazionale italiana e figura nella quale i rifugiati si immedesimavano, la cui sorte e il cui prestigio davano lustro al loro esilio e al loro impegno civile.
Esempio di questa visione politica della Commedia è un’edizione del 1848 – posseduta dalla Biblioteca – commentata da Giosafatte Biagioli, insegnante di lingua e letteratura italiana a Parigi dal 1799, lì rifugiatosi dopo essere stato Prefetto della Repubblica Romana. Il suo commento alla Commedia, edito per la prima volta a Parigi tra il 1818 e il 1819, è parte di una collana di classici italiani pubblicati in proprio dall’autore per i lettori francesi che ebbe molto successo e gli assicurò un grande prestigio, confermato dalla fortuna di una Grammatica della lingua italiana che contribuì ulteriormente alla diffusione della nostra lingua in Francia.
Nel commento di Biagioli a prevalere non è il sentimento romantico ma l’aspetto dell’impegno civile e politico di Dante, il legame al comune destino di esuli e la preoccupazione per le sorti dell’Italia; sostenuta da una vigorosa preparazione letteraria e storico-critica propedeutica alla stesura, l’edizione a cura di Biagioli, rispetta con precisione lo stile dantesco e opera una completa rivalutazione del Purgatorio e del Paradiso.
L’edizione della Biblioteca, una ristampa del 1848, è dedicata al Conte Luigi Emanuele Corvetto, giurista e politico ligure naturalizzato francese, ministro sia sotto Napoleone sia durante la Restaurazione; le tre cantiche, in italiano, sono precedute da una prefazione con commento per i lettori, mentre i canti sono introdotti da un breve riassunto e commentati a piè di pagina.
Lo Inferno della Commedia di Dante Alighieri / col comento di Guiniforto delli Bargigi tratto da due manoscritti inediti del sec. decimo quinto ; con introduzione e note dell’avv. G. Zacheroni. – Marsilia : Mossy ; Firenze : Molini, 1838. – 766 p., [10] c. di tav. : ill. ; 25 cm.
Riproduzione di un esemplare conservato alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli.
Inferno. Purgatorio. Paradiso, poema di Dante. – Parigi : Cazin, 1787. – 3 volumi in-12.
Riproduzione di un esemplare conservato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze: Purgatorio; Paradiso.
La Divina Commedia di Dante Alighieri col comento di G. Biagioli. – Parigi : dai torchi di Dondey-Dupre, 1848. (Collocazione: Sala 1 L 5 27-28-29). Prima edizione 1818
La Divine Comédie de Dante Alighieri : traduction nouvelle accompagnée de notes par Pier-Angelo Fiorentino. – Treizième èdition. – Paris : Librairie Hachette et C., 1887. (Collocazione: Salone Cass 4 G 2 11). Edizione 1846
La Divine Comédie / Dante Alighieri; traduction par M. Henri Dauphin (conseiller a la cour d’Appel et membre de l’Académie d’Amiens, Chevalier de la Légion d’Honneur 1842-1848. – Publication posthume. – Paris : Armand Colin et C.le, editeurs, 1886. (Collocazione: Salone Cassapanco 4 H 6 24). Riproduzione di un esemplare della Bibliothèque Nationale de France
EDIZIONI CITATE
L’Enfer / Dante Alighieri ; traduit par le comte Antoine de Rivarol
Histoire littéraire d’Italie. T1 / par P.-L. Ginguené. – (Paris) : 1824
La Divina Commedia nelle annotazioni di Torquato Tasso
Un aspetto particolarmente avvincente ed intrigante da indagare in relazione a Dante Alighieri è quello relativo alla fortuna delle sue opere presso gli uomini di lettere dei secoli successivi. Per Bergamo, e specificamente per la Biblioteca Angelo Mai, assume un particolare significato la considerazione avuta da Torquato Tasso per le opere dantesche sia attraverso l’analisi della produzione letteraria, per rintracciarne riprese, echi e suggestioni, sia mediante l’esame di fonti che ci restituiscono in modo più esplicito la considerazione di Tasso per il padre della letteratura italiana. Da quest’ultimo punto di vista un’evidenza particolare è data dai suoi postillati ad opere dantesche, che consentono di indagare non solo il rapporto fra i due letterati, ma anche di ricostruire, seppure in maniera parziale e approssimativa, quella che doveva essere la sua biblioteca, di per sé cangiante, caratterizzata spesso da prestiti, abbandoni, ritrovamenti e rispecchiante dunque la travagliata e avventurosa biografia di Torquato Tasso.
Un nucleo particolarmente significativo è stato individuato nel fondo Barberiniano, oggi alla Biblioteca Apostolica Vaticana, con ben 52 esemplari a stampa postillati dal letterato sorrentino, con opere di autori antichi e moderni, due dei quali relativi alla Divina commedia nelle edizioni veneziane di Giovanbattista Marchio Sessa & Fratelli del 1564, e di Pietro da Fino del 1568. Si tratta di uno spezzone della biblioteca posseduta dal poeta durante l’ultimo periodo romano. In occasione dell’importante convegno su Tasso e l’Europa, promosso dall’Università degli Studi di Bergamo, svoltosi fra il 24 e il 26 maggio 1995, fu organizzata una mostra, nell’Atrio scamozziano della Biblioteca, con l’esposizione eccezionale di ben 12 dei 52 suddetti esemplari barberiniani.: fra di essi il postillato tassiano relativo all’edizione della Commedia Sessa 1564.
Gli studi hanno portato ad identificare, in particolare, sei esemplari a stampa contenenti chiose o postille autografe (o probabilmente autografe) di edizioni del Convivio e della Commedia. Per quanto riguarda il Convivio si segnalano due esemplari, relativi ancora a edizioni veneziane: Sabio 1521 e Sessa 1531. Quest’ultimo, le cui postille tassiane erano note agli studiosi da fonti secondarie, è stato rintracciato in tempi recentissimi presso la Van Pelt Library della University of Pennsylvania di Philadelphia.
Per quanto riguarda la Commedia ci sono noti quattro esemplari postillati relativi a tre edizioni. Due di essi si riferiscono all’edizione veneziana di Gabriel Giolito de Ferrari e fratelli del 1555 (uno conservato presso la Biblioteca Angelica di Roma, l’altro presso la Medicea Laurenziana di Firenze): si tratta della prima edizione nella quale compare per la Commedia dantesca l’aggettivazione ‘Divina’ nel titolo. Gli altri due esemplari, Sessa 1564 e Da Fino 1568, appartengono, come si è detto, al fondo Barberiniano. Sull’esemplare Da Fino 1568 gli studiosi non hanno ancora fugato del tutto i dubbi sulla reale autografia delle postille, le quali sono, per altro, del tutto coerenti dal punto di vista stilistico e contenutistico con la Weltanschauung tassiana. Due esemplari di questa edizione sono anche conservati presso la Biblioteca Angelo Mai. Uno di essi ha anche una splendida legatura in marocchino con decorazioni a secco e in oro e tagli dorati e cesellati (segnatura: Cinq 4.175).
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Dante Alighieri, Dante con l’espositione di m. Bernardino Daniello da Lucca, sopra la sua Comedia dell’Inferno, del Purgatorio, & del Paradiso. Nuouamente stampato & posto in luce, Venezia, Pietro da Fino, 1568.
Si tratta di una delle edizioni della Commedia dantesca postillate, con buona probabilità, da Torquato Tasso
- Lettera dedicatoria con iniziale xilografica contenuta nell’edizione da Fino 1568 della Commedia
- Legatura in marocchino con decorazioni in oro dell’esemplare della Commedia dantesca nell’edizione da Fino 1568 posseduto dalla Biblioteca
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La Commedia di Dante nell’edizione di Pietro da Fino del 1568.
Nella pagina di sinistra: raffigurazione dei gironi infernali; in quella di destra: primi versi dell’Inferno attorniati dal commento di Bernardino Daniello
Particolarmente significativo l’esemplare Giolito 1555 della Biblioteca Angelica perché contiene annotazioni solo per i primi 24 canti dell’Inferno. Si tratta dell’esemplare che Tasso ebbe modo di analizzare durante il suo soggiorno a Pesaro e improvvisamente abbandonato in quella città allorquando fuggì alla volta di Torino sentendosi perseguitato. Gli studiosi hanno stabilito che si tratta della più remota testimonianza di Tasso postillatore di Dante: vi si trovano annotazioni, per lo più concise e discontinue, che tradiscono la sua attenzione per verbi, aggettivi, scelte lessicali e stilistiche, ma che verranno poi riprese e ampliate successivamente come è testimoniato dagli altri tre esemplari postillati superstiti con riferimenti più pregnanti in ambito linguistico, filosofico, morale. Sostantivi, aggettivi, paragoni, metafore sono studiati nel progressivo innalzarsi del livello stilistico dall’Inferno al Paradiso.
Fra i primissimi studiosi che si sono occupati esplicitamente dell’influenza di Dante su Tasso, e che si sono preoccupati di rintracciare le relative fonti documentarie, va segnalato Pierantonio Serassi, il quale, nella sua Vita di Torquato Tasso pubblicata per la prima volta a Roma nel 1785, e del quale la Biblioteca Mai conserva un prezioso esemplare, vi fa esplicito riferimento.
- Pierantonio Serassi, La vita di Torquato Tasso, Roma, Pagliarini, 1785. Frontespizio con immagine calcografica
- Catalogo dei manoscritti, delle edizioni e delle trascrizioni in diverse lingue delle opere di Torquato Tasso contenuto in La vita di Torquato Tasso di Pierantonio Serassi, Roma, Pagliarini, 1785. Contiene la segnalazione dei postillati tassiani alla Commedia
Infatti, nell’appendice dedicata al Catalogo de’ manoscritti, dell’Edizioni, e delle Traduzioni in diverse lingue dell’Opere di Torquato Tasso, Serassi propone vari riferimenti a postillati tassiani da lui identificati. In particolare alle pagine 538-539 segnala l’esemplare Giolito 1555 «fregiato di postille dal nostro grand’Epico», allora presso la Libreria Giordani di Pesaro, il codice della Biblioteca Chigiana con la trascrizione delle annotazioni tassiane allo stesso esemplare e, sempre nella Libreria Giordani, un esemplare del Convivio: si tratta di quello relativo all’edizione Sessa 1531 ritrovato recentemente negli USA, come si è detto. Serassi riferisce anche dell’annotazione sul frontespizio: «postillato dal Tasso nel 1578».
Qui l’edizione della Vita di Torquato Tasso di Serassi.
La Biblioteca Mai conserva un esemplare a stampa in tre volumi di un’importante edizione storica della Divina Commedia con la proposta, in calce, delle chiose e postille tassiane riprese dagli esemplari Sessa 1564 e Da Fino 1568 e delle trascrizioni delle annotazioni dell’esemplare Giolito 1555 della Biblioteca Angelica, al tempo dato per perduto, presenti in manoscritti del fondo Chigi (quello segnalato da Serassi) e Barberini.
Si tratta di un’edizione del 1830: Dante Alighieri, La Divina Commedia postillata da Torquato Tasso, Pisa, Didot, 1830 (segnatura: Tassiana I 7.22/1-3).
- Edizione pisana della Divina Commedia del 1830 con in calce le postille di Torquato Tasso. Si tratta della prima edizione che propone in contemporanea le postille tassiane tratte da diverse edizioni della Commedia
L’esemplare è stato donato dall’avvocato Luigi Locatelli, il quale, fra il 1922 e il 1932, omaggiò la Biblioteca Civica di Bergamo della sua ricca collezione di edizioni di opere di Torquato e Bernardo Tasso o d’argomento tassiano, per oltre 1100 esemplari, e delle migliaia di schede di una Bibliografia tassiana, da lui elaborata in un ventennio di ricerche, volta al censimento delle edizioni tassiane presenti nelle biblioteche di tutto il mondo e corredata da numerose annotazioni, a tutt’oggi consultata dagli studiosi tassisti.
L’edizione pisana del 1830 è di pregevole fattura come ci si aspetta da un editore della statura di Firmin Didot, noto per la creazione di nuove forme di caratteri e per il progresso tecnico nell’arte tipografica. Vi compaiono i ritratti a piena pagina, in calcografia, di Dante e di Tasso.
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Edizione pisana della Divina Commedia del 1830 con in calce le postille di Torquato Tasso.
Si tratta della prima edizione che propone in contemporanea le postille tassiane tratte da diverse edizioni della Commedia
- Edizione pisana della Divina Commedia del 1830: nella pagina di destra i primi versi dell’Inferno con le prime postille tassiane; in quella di sinistra l’effigie di Torquato Tasso
Viene dichiarata una tiratura di 166 copie in carte di vario pregio e una in pergamena.
La lettera ai lettori è firmata da Giovanni Rosini, poeta, romanziere, drammaturgo e accademico, noto soprattutto per aver scritto il romanzo La monaca di Monza, pubblicato nel 1829, ma anche autore di alcuni drammi fra i quali proprio un Torquato Tasso nel 1832.
Nella lettera riferisce di aver riportato a piè di pagina tutte le dichiarazioni o osservazioni tassiane mettendo in corsivo le frasi e le parole che particolarmente impressionarono Torquato Tasso: «S’incontreranno pure qua e là poche varie lezioni proposte, che meritano d’esser considerate; come di considerazione degnissime mi sembrano le altre poche avvertenze, dalle quali apparisce quel che l’ingegno del Tasso trovava d’umano talvolta nei versi del divino poeta».
Segue un contributo del curatore Luigi Maria Rezzi A Giovanni Rosini professore d’eloquenza nella Università di Pisa, con il quale si entra nel merito delle numerose allusioni alla Commedia nella Gerusalemme liberata che tradiscono un attento studio del poema dantesco da parte del Tasso. Si citano studiosi precedenti che già avevano affrontato la questione del rapporto di Tasso con Dante e fra questi Pierantonio Serassi, del quale si riportano le osservazioni in merito ai postillati. Si dà quindi conto delle fonti a stampa e manoscritte considerate, contenenti le postille tassiane.
L’anno successivo questa edizione verrà riproposta per il volume XXX delle Opere di Torquato Tasso con le controversie sulla Gerusalemme, poste in miglior ordine, Pisa, Capurro, 1821-1833.
L’edizione Pisa 1830 è la prima a proporre un diretto confronto fra diversi postillati tassiani alla Commedia. Il suo pregio è quello della facile consultazione e dell’agile confronto, pagina per pagina, fra le postille e le chiose in relazione al testo dantesco.
Il difetto, agli occhi degli studiosi e dei filologi di oggi, riguarda i criteri di restituzione delle annotazioni tassiane che presentano qui parecchi adattamenti, come lo scioglimento delle abbreviazioni, la modernizzazione dell’uso della punteggiatura, l’evidenza di alcune omissioni. Per di più l’edizione scelta per il testo della Commedia non è fra quelle postillate dal Tasso, ma l’edizione degli Accademici della Crusca (Firenze, Domenico Manzani, 1595, che fu più volte ripresa e ristampata con emendamenti anche nei primi decenni dell’Ottocento). Manca anche qualsiasi nota esplicativa che dia conto dei criteri adottati.
Questa edizione si configura quindi oggigiorno più come significativa e pregevole testimonianza storica che come reale fonte di studio.
#maididomenica
Si conclude domenica 28 novembre l’iniziativa #maididomenica 2021, che prevede visite guidate gratuite alla mostra L’Assiette au beurre. L’immagine satirica della Belle Époque e alle sale storiche della Biblioteca.
Ancora posti liberi per la prenotazione, da effettuare scrivendo a info@bibliotecamai.org. Partenza visite ogni mezz’ora, con inizio alle 9.30. Ultima visita ore 12.00.
Ricordiamo che per entrare in Biblioteca è richiesto il certificato verde (‘Green Pass’) accompagnato da un documento di identità.
Ugo Foscolo e il Discorso sulla Commedia di Dante
L’entusiasmo giovanile di Ugo Foscolo per l’opera di Vittorio Alfieri e di Giambattista Vico accompagnò ben presto il poeta a riflettere sul binomio di poesia e religione, talvolta studiato alla luce della Commedia dantesca. Sullo scorcio del XVIII secolo, negli anni della formazione veneziana, Foscolo approfondì la propria conoscenza dell’Alighieri con la mediazione di Vincenzo Monti, arrivando a comporre un’ode A Dante, pubblicata sul «Mercurio d’Italia» nel 1796, nella quale il fiorentino viene presentato come padre e vate, ispiratore e profeta dunque del pensiero italiano. Sono gli anni in cui l’autore redige un primo e fondamentale quadro critico-estetico all’interno del proprio Piano di studi, nel quale emerge la predilezione foscoliana per la classicità greco-latina ma soprattutto la sua visione universalistica della letteratura. Di lì a poco tempo, Venezia avrebbe perso la propria indipendenza con il trattato di Campoformio e nello scrittore ionico sarebbero maturati i propositi per le Ultime lettere di Jacopo Ortis, il romanzo epistolare scritto e rimaneggiato con suggestioni romantiche e disillusioni politiche tra il 1798 e il 1802.
Incipit delle Ultime lettere di Jacopo Ortis e frontespizio del Discorso sul testo della Commedia di Dante,
accorpati nel volume del 1877 custodito in Biblioteca con segnatura Sala.24.P.5.26.
L’Ortis sarebbe tornato ben oltre al centro degli sforzi editoriali di Foscolo, considerando che la versione autoriale definitiva venne promossa a Londra solo nel 1817. Nel mezzo era intercorso un quindicennio di fervida attività letteraria, di passioni travolgenti e impegni militari e civili, durante il quale lo scrittore di Zacinto compose i Sepolcri, ideò le incompiute Grazie, tradusse versi omerici e il Viaggio sentimentale di Laurence Sterne sotto lo pseudonimo di Didimo Chierico. Per allontanare da sé l’obbligo di fedeltà all’Austria, nella primavera del 1815 Foscolo lasciò l’Italia e passò per Zurigo, dove l’anno successivo venne impressa la terza edizione dell’Ortis, arricchita di una notizia bibliografica. Qui assunse temporaneamente la falsa identità di Lorenzo Aldighieri, in uno strano connubio nominale tra Lorenzo Alderani, amico e destinatario delle missive di Jacopo Ortis, e il nome di Alighieri. Nella tarda estate del 1816 il poeta giunse a Londra, dove trascorse gli ultimi undici anni della sua vita, esule e lontano dagli affetti familiari, costantemente afflitto da preoccupazioni di natura economica.
Frontespizi delle Prose (1850) e del secondo volume dei Saggi di critica storico-letteraria (1859-1862) nell’ambito
della nota edizione postuma delle opere foscoliane promossa dalla fiorentina Le Monnier a metà Ottocento.
Eppure, le vicissitudini biografiche non bastano a spiegare l’intenso lavorio dantesco cui Foscolo attese nel suo ultimo decennio inglese. L’autoesilio politico dovette senz’altro indurlo a ripensare il ruolo del poeta di fronte alla società del suo tempo, ma il ritorno a Dante coincise anche con una specifico clima culturale, quello dell’alta società londinese dell’epoca, vòlto alla riscoperta del medioevo cristiano e in anni affini a imprese di traduzione e commento ai versi della Commedia. L’immedesimazione con quello che un tempo aveva definito il ghibellin fuggiasco non era più smossa nello scrittore italo-greco dal giacobinismo della giovinezza, mentre Dante si trasformò ai suoi occhi in un modello di consolazione morale, sorretto dagli appassionati dibattiti storiografici presso i salotti della nobiltà anglosassone. Al 1818 risalgono due contributi sull’Alighieri destinati all’«Edinburgh Review» nei quali Foscolo discusse di problemi storici, gettando uno sguardo innovativo su quella terre inconnue che era la poesia medievale al tempo, sempre più acceso dalla convinzione che il testo non potesse essere disgiunto dalla realtà storica nel quale era sorto. In questo senso si spiega anche l’interesse foscoliano per i commenti secolari al poema di Dante, passati in rassegna e illustrati evidenziando l’epoca in cui visse e operò ogni singolo chiosatore. Lo scrittore non tace gli abbagli di molti dantisti, cui rimprovera eccessi estetizzanti e una mai sufficiente menzione dell’importanza dell’Alighieri per la nascita della lingua italiana.
L’Edizione Nazionale delle opere di Ugo Foscolo dedicò i due tomi del IX volume all’intero corpo degli scritti di storia e critica dantesca dell’autore tra il 1979 e il 1981, affidandoli alle cure di Giovanni Da Pozzo e Giorgio Petrocchi.
L’occasione per un’interpretazione risolutiva dell’autore sulla forza della poesia dantesca sembrò aprirsi con la sottoscrizione di un contratto nel 1824 con l’editore Pickering, cui Foscolo si prestò a fornire dai quattro ai sei volumi annui di edizione e commento dei classici della letteratura italiana. Le premesse dovettero apparire convincenti, considerato che con l’arrivo del 1825 il letterato consegnò alle stampe la sua edizione commentata del Decameron di Boccaccio, sorretta da un ampio saggio inaugurale. Un’operazione analoga sarebbe spettata alla Commedia, il cui testo debitamente chiosato sarebbe sopraggiunto a tappe dopo la pubblicazione del Discorso sul testo della Commedia di Dante, in cui confluirono e vennero approfonditi i temi già cari al Foscolo degli ultimi anni. Deluso, tuttavia, dalla scarsa cura tipografica con cui l’editore fece circolare il Discorso, il letterato non avrebbe visto realizzati i quattro volumi comprensivi delle tre cantiche, lasciando allo stadio di bozze la propria edizione dell’Inferno. L’apporto foscoliano si dimostrò rilevante anche in tal senso, per l’uso di una tradizione filologica salda e da poco fissatasi nell’edizione romana di Baldassarre Lombardi, opportunamente vagliata e intersecata con lezioni minori, come quelle dettate da due codici passati per le sue stesse mani. A testimonianza di questa e di altre peculiarità del dantista resta l’edizione londinese della Commedia illustrata da Foscolo che Giuseppe Mazzini diede alle stampe presso Pietro Rolandi nel 1842.
Incisione con la tomba di Foscolo a Turnham Green, dove le spoglie del poeta riposarono per oltre quaranta anni, riprodotta in antiporta al secondo volume dell’edizione dei Saggi di critica storico-letteraria del 1862.
Prefazione firmata da un italiano all’edizione mazziniana della Commedia illustrata da Ugo Foscolo,
qui riprodotta nel terzo volume delle Prose letterarie di Le Monnier del 1850.
Pur di fatto compilata, specie per le chiose inerenti il Purgatorio e il Paradiso, dallo stesso Mazzini, quest’ultima veste della Commedia ha il pregio di raccogliere le correzioni e i ripensamenti dell’ultimo biennio della vita dello scrittore ionico. Per le mani di Mazzini passò, infatti, non solo il corpo preparatorio con il testo dell’Inferno, ma anche l’esemplare della prima edizione del Discorso sopra il testo della Commedia fittamente postillato da Foscolo medesimo e oggi conservato presso la Biblioteca Labronica di Livorno. La riflessione sul primato poetico di Dante e sulla potenza religiosa del suo messaggio, in grado di travalicare ben oltre le contingenze politiche e le avversità personali, accompagnò il poeta di Zacinto fino agli ultimi giorni, tanto che lo stesso Mazzini lo indica come «il lavoro che costò ad Ugo la vita» nel settembre del 1827.
Prima e quarta di copertina del primo volume dell’edizione Vanelli del Discorso sopra la Commedia di Dante
e il sottostante frontespizio, seguito dalla dedica dell’opera all’amico inglese Hudson Gurney.
Proprio in concomitanza con la scomparsa di Foscolo, la stamperia Vanelli di Lugano, già promotrice di un’edizione dei Saggi sul Petrarca e della traduzione del Viaggio sentimentale di Sterne tra il 1824 e il 1825, propose una nuova edizione del Discorso sopra il testo della Commedia. Si tratta, nei fatti, di un’opera più simile a una ristampa che a un autentico ripensamento librario del testo. Risalta, ad esempio, la piena aderenza del frontespizio al modello originario, modificato per il solo riferimento alla tipografia e alla data di impressione. Scompare una nota che Pickering appose in apertura a giustificare le numerose sviste ortografiche, giustificate dall’assenza dell’autore alle prove sui torchi, qui rimpiazzata da un altro piccolo schema degli errori trascorsi nell’originale. Le differenze nei caratteri tipografici sono più evidenti per cifre e punteggiatura, mentre l’impaginazione si differenzia sin dall’apertura del testo. La stampa ticinese ebbe senz’altro il pregio di favorire per prossimità una lettura italiana del Discorso, preambolo a una proposta dantesca che Foscolo concepì anzitutto a beneficio degli italiani, non accontentandosi delle mode letterarie inglesi che pure l’editore aveva inteso sfruttare.
Frontespizi dei due volumi de Il secolo di Dante,
commento storico arricchito delle illustrazioni foscoliane nella seconda edizione del 1830.
Da questo momento le illustrazioni storiche di Foscolo sul poema dell’Alighieri avrebbero preso a circolare rapidamente, irrobustendo opere come Il secolo di Dante, il commento dedicato da Ferdinando Arrivabene alla Commedia, giunto a seconda stampa nel 1830. Più in generale, altre occasioni di associazione tra l’esule fiorentino e il cantore delle sacre sponde sarebbero giunte con l’onda mazziniana, perdurando per l’intero Risorgimento. Nella seconda metà del XIX secolo, non pochi lettori dell’Ortis sarebbero rimasti suggestionati dall’epigrafe posticcia, retorica ma certamente calzante, che in alcune edizioni del tempo apriva il romanzo con i celeberrimi versi danteschi:
[…] libertà va cercando, ch’è sì cara, | come sa chi per lei vita rifiuta (Purg, I, 71-72).
I due volumi dell’edizione luganese del Discorso sul testo della Commedia di Dante (prima edizione Pickering) sono consultabili in Biblioteca con segnatura Salone.Loggia.Q.2/6-7. Per una versione criticamente aggiornata e cronologicamente documentata di questo e degli altri studi su Dante il rimando indispensabile è ai due tomi del volume IX dell’Edizione Nazionale delle opere di Ugo Foscolo, disponibili in lettura con segnatura Sala.4.N.5.1/9/1-2.
Tra le numerose edizioni del Foscolo presenti in Biblioteca si segnala per precocità e completezza il volume di Prose e versi nella prima impressione milanese di Giovanni Silvestri del 1822 (segn. Salone.Cassapanca.3.4.38). L’opera in due volumi di Ferdinando Arrivabene Il secolo di Dante, nella seconda stampa con le illustrazioni storiche del poeta, è consultabile con segnatura Salone.Q.3/43-44.