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Didattica in Biblioteca, 2021-2022

Nella fiduciosa speranza che l’autunno sia immune da nuove emergenze virali, la Biblioteca Angelo Mai rilancia l’attività didattica per l’anno scolastico 2021-2022, offrendo i tradizionali percorsi legati alla storia del libro ma aggiungendo anche nuove proposte, che è possibile visionare sulla pagina dedicata, dove è disponibile un pieghevole in PDF.
Sul canale YouTube della Biblioteca è caricato un breve video di presentazione delle proposte.

L’attività didattica è rivolta agli studenti di ogni ordine e grado ed è proposta a titolo gratuito, fino ad esaurimento delle disponibilità, previo accordo con i docenti di riferimento che dovranno scrivere a marcello.eynard@comune.bergamo.it per stabilire data, ora, contenuti e durata degli incontri.
Si ricorda che, in base alle norme vigenti, tutti coloro che abbiano compiuto 12 anni dovranno presentare il ‘Green Pass’ prima di accedere alla Biblioteca. Possono essere ammessi al massimo 15 ragazzi in contemporanea.
Vi aspettiamo in biblioteca.

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L’Edizione nazionale dei Commenti Danteschi

L’Edizione Nazionale dei Commenti Danteschi è stata ufficialmente istituita nel 2001 e la sua realizzazione affidata alla Salerno Editrice e a un comitato scientifico presieduto da Enrico Malato, coordinatore presso il Centro Pio Rajna e per conto del medesimo editore romano del grande progetto inerente la Nuova Edizione Commentata delle Opere di Dante, ormai giunta alla pubblicazione dell’Inferno, con il primo dei tomi previsti per la Commedia dantesca. Il Censimento, edito in tre volumi per quattro tomi complessivi tra il 2011 e il 2014, e la presentazione a stampa dei commenti danteschi mirano a dare conto del cosiddetto secolare commento e di tutta l’ingente mole delle testimonianze antiche e moderne, tra chiose e appunti di natura storico-linguistica, talvolta corredati da illustrazioni che trasformano i versi danteschi in figure e in spazi scaturiti dall’incontro tra il sistema culturale dei commentatori e l’opera monumentale dell’Alighieri.


Il piano si divide tra le esposizioni critiche, veri e propri commenti letterari, e le rappresentazioni per immagini del dettato dantesco. Il progetto relativo a questa seconda sezione prevede la riproduzione in facsimile dei più importanti commenti figurati al poema, mentre la sezione letteraria si estende dalla massima prossimità a Dante, con i contributi esegetici dei figli Jacopo e Pietro Alighieri, alla critica erudita d’inizio Novecento, assestata entro il commento alla Commedia che venne approntato da Isidoro Del Lungo nei tre volumi editi da Le Monnier nel 1926. Dunque, l’Edizione Nazionale dei Commenti Danteschi va intesa come la riproposizione minuziosa dell’insieme di tanti interventi interpretativi che ogni epoca, ogni realtà culturale e geografica, ha ritenuto necessari per affrontare il poema dantesco in tutta la sua complessità e meraviglia. Naturalmente una costruzione tanto vasta e polifonica deve improntarsi al criterio dell’esaustività, specialmente per quanto attiene i primi tre secoli di esegesi, ma anche dimostrarsi selettiva nella produzione a stampa della piena età moderna, operando scelte in direzione di quei testi che fino ai giorni nostri abbiano conservato utilità e forza attrattiva per gli studi di critica dantesca.

 

Nel novero dei 75 volumi, in un numero ben più consistente di tomi, globalmente previsti tra i commenti letterari alla Commedia, un rilievo particolare spetta al testo compilato dal bolognese Iacomo della Lana in anni precoci, tra il 1324 e il 1328, in uno sforzo interpretativo che rappresenta il primo lavoro di completa disamina in volgare condotto sulle tre cantiche dantesche. La prossimità alla vita e all’operato di Dante e la fortuna che arrise al commento per come viene certificata dagli oltre cento esemplari manoscritti, tra integrali e parziali, che ancora oggi se ne conservano fanno dello scritto lanèo, il terzo cronologicamente inteso nella disposizione dell’Edizione Nazionale, un caso di particolare complessità filologica, comportante scelte drastiche da parte degli editori. Un aspetto di radicale incertezza è quello che investe la ricostruzione delle sembianze linguistiche originarie di un’opera redatta da un uomo certamente bolognese, ma cólto e incline al confronto costante con il volgare toscano degli stessi canti danteschi. Quale, pertanto, la prima natura del commento di Iacomo della Lana? A ulteriore riprova d’incertezza l’annotazione di Alberico da Rosciate che, lavorando alla traduzione del testo di volgare in latino verso la metà del Trecento, indica il componimento scritto in sermone vulgari tusco.


Il nome dell’illustre giurista bergamasco e il riferimento al suo celebre commento latino alla Commedia, non certo considerabile quale mera trasposizione in lingua latina dei contenuti lanèi, conducono a una nuova intrapresa, vale a dire la diretta pubblicazione dell’opera esegetica di Alberico da Rosciate, sempre nell’ambito dell’Edizione Nazionale qui esposta. Il commento ebbe due versioni, databili tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta del XIV secolo. Se nella prima il giureconsulto orobico si limitò a una sostanziale traduzione del testo di Iacomo della Lana, pur mitigata dal ricorso al commento latino di Graziolo de’ Bambaglioli e a quello in volgare del cosiddetto Anonimo Fiorentino e dalla piena originalità dei prologhi alle cantiche, durante la seconda elaborazione il chiosatore migliorò grammatica e terminologia, inserì nuovi particolari e corresse storture proprie della fonte bolognese. Il testo critico è attualmente in lavorazione e trova uno dei propri rappresentanti manoscritti più significativi nel Codice Grumelli della Biblioteca Civica di Bergamo, documento in cui è tràdita la seconda e, per così dire, definitiva redazione del commento albericiano.

Diciotto sono i volumi ad oggi pubblicati dell’Edizione Nazionale dei Commenti Danteschi, un patrimonio al quale la Biblioteca Mai presta particolare attenzione, offrendo già alla consultazione di studiosi e appassionati i tanti e poderosi tomi che custodiscono un corpus letterario sterminato, grazie al quale l’Alighieri ci conduce a conoscere tempi e luoghi di un’Italia che da settecento anni fa i conti con il sommo poeta, cumulando interpretazioni e approfondimenti che spaziano, giusto per citare qualche ulteriore nome, dalle Expositiones et glose di Guido da Pisa al successivo Ottimo commento di area fiorentina, dall’esegesi di Cristoforo Landino agli studi critici di Niccolò Tommaseo, dalle Chiose Palatine del secondo quarto del Trecento alle esposizioni cinquecentesche di Alessandro Vellutello e di Lodovico Castelvetro, lungo una traiettoria che arriva ai nostri tempi, asseverando la centralità nazionale di Dante.


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L’Edizione nazionale dell’opera di Dante

Nell’Italia unificata di fine Ottocento sorse l’esigenza di costruire un patrimonio letterario comune alla nazione e legittimato dalle istituzioni politiche del paese, partendo da alcuni tra gli autori più significativi della nostra storia culturale. Da questa spinta nacquero le Edizioni Nazionali, che trovarono una prima realizzazione con l’edizione completa delle opere di Galileo Galilei (1890-1909). Ben più travagliati furono i percorsi relativi ai testi di Niccolò Machiavelli, Giuseppe Mazzini e Francesco Petrarca, dei quali venne promossa l’Edizione Nazionale tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Nel novero di questi letterati colpisce l’assenza di Dante Alighieri, poeta della patria che lo stesso Mazzini ebbe a definire «monumento dell’intelletto nazionale». Questo si spiega con i tempi imprevedibili di analisi delle lezioni e di ricostruzione filologica che i testi di Dante, e la Commedia anzitutto, avrebbero richiesto ai più eminenti dantisti e agli storici della letteratura italiana del tempo. Già nel tardo Settecento si era imposta una discussione sulla pubblicazione dell’opera completa dell’Alighieri, un dibattito tornato in auge in occasione del VI centenario della nascita nel 1865, quando le singole città italiane diedero prova di memoria e di riconoscenza al sommo poeta, come fece Bergamo, dove venne promossa la stampa de L’illustrazione del codice dantesco Grumelli dell’anno 1402, edita dalla Tipografia Pagnoncelli, dando risalto a quella che pochi anni dopo, nel 1872, avrebbe significato una tra le più prestigiose acquisizioni della Biblioteca Civica.
Sorta nel 1888 a Firenze con il compito istituzionale di realizzare un’edizione critica delle opere di Dante, la Società Dantesca Italiana rinnovò gli auspici nel 1913, in vista delle celebrazioni per il VI centenario dalla morte del poeta. Di fatto, le difficoltà oggettive dell’impresa cui si volle attendere e l’incombenza della Grande Guerra fecero svanire il progetto iniziale, che prevedeva l’edizione di 15 volumi entro il 1921. Nacque, in questo modo, un’editio minor, il cosiddetto Dante del Centenario, una pubblicazione delle opere dantesche con testi accertati, ma privi di corredo filologico e di commento storico.

(Qui sopra: la seconda edizione, pubblicata presso la Società Dantesca Italiana nel 1960, del testo critico e completo de Le opere di Dante, ritorno al contributo che Michele Barbi e gli altri eminenti studiosi d’inizio Novecento avevano offerto all’edizione del 1921, nota come Dante del Centenario).

Questa iniziativa avrebbe ulteriormente rallentato i lavori dell’Edizione Nazionale, il cui primo volume vide la luce nel 1932, con l’uscita della Vita Nuova, curata da Michele Barbi per l’editore fiorentino Bemporad, ma sostanzialmente affine al testo già pubblicato presso la milanese Hoepli nel 1907. Da questo momento, complice la scomparsa di alcuni eminenti studiosi del panorama italiano quali Pio Rajna e lo stesso Michele Barbi e l’imminenza di una durissima stagione per il paese, i lavori sarebbero andati incontro a una lunga sosta. Giova in questo frangente ricordare che proprio negli anni Trenta l’impresa venne affiancata da piani editoriali affini, come quello dell’editore Le Monnier, affidato inizialmente al Barbi e ancora attivo negli anni Sessanta con la supervisione di Vittore Branca. Nel dopoguerra altre operazioni di questo tipo presero avvio e nuovi editori accarezzarono l’idea di pubblicare l’opera dantesca completa, salvo poi ritrarsi, forse poco convinti dalla complessità del lavoro e dalla possibile risposta del mercato a più iniziative mirate nella medesima direzione.
Solo dal 1957 le operazioni per l’Edizione Nazionale vennero riavviate sotto l’egida di Gianfranco Contini e l’affidamento del piano editoriale alla casa editrice Mondadori portò alla pubblicazione, nel 1965, della Monarchia, curata da Pier Giorgio Ricci, e alla ristampa anastatica del De vulgari eloquentia edito da Pio Rajna presso Le Monnier nel 1896. Il testo, infatti, conservava il pregio di essere un’incrollabile applicazione del metodo lachmanniano, pur venendo etichettato come una semplice appendice all’Edizione Nazionale del trattato sulla lingua di Dante che sarebbe sopraggiunta. In effetti, all’inizio del Novecento furono rinvenuti nuovi codici testimonianti l’opera dantesca, al punto che lo stesso Rajna apportò modifiche al testo nel 1921 e ancora vi attese negli ultimi anni di vita. La ricostruzione venne proseguita dall’allievo Aristide Marigo e trovò compimento in un’edizione del 1938 presso Le Monnier. L’Edizione Nazionale del De vulgari eloquentia avrebbe dovuto fare la sua comparsa partendo dall’opera del Marigo, opportunamente rivista da Pier Giorgio Ricci e da Francesco Mazzoni, ma i lavori rimasero allo stadio di bozza quando il contratto presso Mondadori scadde nel 1984.

Nel frattempo era venuta alla luce l’opera più attesa dell’intera Edizione Nazionale, con la pubblicazione tra il 1966 e il 1967 dei quattro volumi con i quali Giorgio Petrocchi fornì La Commedia secondo l’antica vulgata, con le tre cantiche precedute da un’introduzione motivante le scelte filologiche adottate dal curatore in un’impresa tanto vasta e complicata. Partendo dal celebre monito recentiores non deteriores, Petrocchi optò per un’edizione del capolavoro di Dante costruita sui testimoni dei tre decenni intercorsi tra la morte del poeta e il lavoro sul testo di Giovanni Boccaccio, egli stesso editore della Commedia, in una stagione di forte interesse per l’opera, ma nella quale la tradizione prese inesorabilmente a contaminarsi. Per allargare il raggio d’azione e dare conto dei manoscritti recenziori della Commedia con le debite varianti, il curatore annunciava un ulteriore spoglio, questa volta dei testimoni successivi, ma il lavoro non venne condotto a termine. Seguì la pubblicazione delle opere Il Fiore e il Detto d’Amore, presentate sin dal frontespizio come attribuibili a Dante Alighieri, edite per diretta mano di Gianfranco Contini nel 1984, giusto in tempo per la sopraggiunta scadenza del contratto con Mondadori, prima del passaggio del successivo piano per l’Edizione Nazionale a Le Lettere. Nel 1994 l’editore fiorentino propose una stampa riveduta della Commedia del Petrocchi, affiancata l’anno seguente dall’uscita del Convivio, curato da Franca Brambilla Ageno in un’edizione critica poderosa, composta di un volume introduttivo diviso in due tomi e del volume con la proposta del testo dantesco, frutto di una ricerca trentennale di cui la studiosa aveva offerto anticipazioni e aggiornamenti in corso d’opera.

L’Edizione Nazionale di Dante è proseguita nel 2002 con la stampa delle Rime, filologicamente accertate da Domenico De Robertis in un lavoro monumentale, concretizzatosi in tre volumi suddivisi in cinque tomi, dove il curatore ha dato accuratamente conto del materiale documentario raccolto sin dagli anni Cinquanta, classificando gli oltre 150 testimoni su cui appoggia quest’opera, che nel terzo volume offre i testi danteschi e quelli a Dante attribuibili, aggiungendovi quelli dei suoi corrispondenti e una breve serie di componimenti di attribuzione incerta. Lavori recenti sono, inoltre, le nuove edizioni cui sono stati sottoposti la Monarchia, nel 2009, e il Fiore e il Detto d’amore, nel 2011. Per quanto riguarda il celebre trattato politico di Dante la nuova curatrice, Prue Shaw, è ripartita dal lavoro di Ricci per l’edizione del 1965, aggiungendo lo spoglio di due nuovi manoscritti della Monarchia rinvenuti nell’ultimo cinquantennio e apportando significative modifiche allo stemma codicum dell’opera. Si tratta di un testo, peraltro, non più disponibile in commercio nell’edizione Mondadori da molto tempo, così come per il Fiore e il Detto d’amore editi negli anni Ottanta da Gianfranco Contini. In questo caso, la nuova veste ai poemetti è stata approntata da Paola Allegretti, che ha aggiunto apparati, indici e una piccola enciclopedia.


È fresca di annuncio la pubblicazione in tre volumi di una nuova Edizione Nazionale della Commedia, sempre presso Le Lettere e a cura di Giorgio Inglese, basata sui progressi di oltre un cinquantennio di esegesi e cultura dantesca intercorso tra la prima edizione del Petrocchi e i giorni nostri, con una ridefinita classificazione dei testimoni che tiene conto delle più recenti e cospicue acquisizioni. L’auspicio è quello che il corpus delle opere dantesche pubblicate dall’Edizione Nazionale e dalla Società Dantesca Italiana prosegua assicurando l’approdo nelle biblioteche di quei testi che ancora mancano all’appello di questo smisurato progetto, come le Epistole, le Egloghe, la Questio de aqua et terra, oltre al caso tuttora irrisolto di un’effettiva rielaborazione sul testo del De vulgari eloquentia. Si tratterebbe di aggiungere nuovi, importantissimi contributi in una stagione di consistente fermento cartaceo attorno alla figura dell’Alighieri. In questo senso è opportuno ricordare il lavoro congiunto di filologia e critica per la definizione in tre volumi delle Opere dantesche presso i Meridiani Mondadori, uno sforzo in cantiere dal 2011 e destinato ad accompagnare la ben nota Commedia a cura di Anna Maria Chiavacci Leonardi, punto di riferimento per appassionati e studiosi sin dagli anni Novanta. Si aggiungano, inoltre, le iniziative meritorie della Salerno Editrice, attraverso la pubblicazione della Nuova Edizione Commentata delle Opere di Dante, voluta dal Centro Pio Rajna di Roma, e il Censimento e l’Edizione Nazionale dei Commenti Danteschi, con i quali il filtro di Dante ci conduce alla conoscenza delle interpretazioni e del pensiero dei tanti chiosatori che si sono affastellati nel corso dei secoli a venire e già nei decenni successivi a quel settembre di settecento anni fa, quando Dante morì poco dopo aver terminato il suo più mirabile prodigio. Un nome tra gli altri, quello di Alberico da Rosciate, rimanda a Bergamo e, ancora più precisamente, alla nostra Biblioteca Civica, tra le pagine del Codice Grumelli, dove troviamo il primo commento integrale e in volgare alla Commedia, quello di Iacomo della Lana, per come venne rielaborato in latino dal giurista bergamasco, in una redazione su cui l’Edizione Nazionale dei Commenti Danteschi potrà garantire nuovi punti fermi.

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Dante con l’espositione di Bernardino Daniello

Dante con l’espositione di m. Bernardino Daniello da Lucca, pubblicato a Venezia nel 1568, contiene l’ultimo commento integrale e continuo alla Commedia del Cinquecento, a conclusione di una tradizione esegetica ininterrotta lungo i due secoli precedenti.

Daniello (nato ai primi del sec. XVI, morto a Padova nel 1565), letterato, traduttore di Virgilio e commentatore di Dante e Petrarca, redige un ampio commento alla Commedia, pubblicato postumo a Venezia, a tre anni dalla sua morte, dallo stampatore di origini bergamasche Pietro da Fino, che dedica il libro al suo congiunto, Giovanni da Fino da Bergamo. Questa unica edizione del commento di Daniello, non premiata dalla fortuna dei lettori, non ha avuto ristampe; è tuttavia interessante per comprendere quanto fosse rimasto, e come, delle interpretazioni precedenti, all’alba di un nuovo periodo – il Seicento – in cui gli interessi danteschi avrebbero subito una drastica flessione negli studi.

Dopo la dedica e la biografia dantesca, il volume si apre con un’«Introduzzione universale nella Comedia di Dante, e della misura, sito, forma e distinzione dell’Inferno». Il commento a ogni canto è preceduto da una breve nota introduttiva che sintetizza il contenuto con frequenti rimandi ad altri passi e ad altre opere di Dante (Rime, De vulgari eloquentia, Convivio) e numerose citazioni da altri autori, in particolare da Petrarca.

La versione della Commedia cui si affiancano le chiose di Daniello, secondo i recentissimi studi condotti da Calogero Giorgio Priolo per l’Edizione nazionale dei Commenti Danteschi, «è diversa da quella (o quelle) che lesse per compilarle». Lo studioso ha esaminato più di trenta fra incunaboli e cinquecentine, al fine di risalire alle fonti di Daniello e di ricostruirne le modalità di impiego, per verificare «le discrepanze rilevate fra la forma del poema fissata dall’editore e quella desumibile dalle chiose».

L’opera di Daniello, fortemente svalutata dalla critica otto-novecentesca, è importante non solo a livello contenutistico ma per la sua particolare storia e per l’eleganza editoriale. Il volume presenta la marca tipografica al frontespizio e in formato più grande all’ultima pagina. Le tre cantiche sono precedute da tre xilografie a tutta pagina che raffigurano lo spaccato dei tre regni oltremondani e da capilettera figurati xilografici. La mise en page è particolarmente bilanciata tra il testo poetico, in carattere corsivo italiano, e il commento che lo circonda in carattere romano ed in corpo minore.

La Biblioteca Angelo Mai possiede due esemplari dell’opera. Uno di essi, proveniente dalla Biblioteca Storica Ponti, come testimoniato dall’ex-libris di Antonia Suardi Ponti posto all’interno del piatto anteriore, ha una splendida legatura che è stata identificata da Federico Macchi come eseguita a Venezia dal “Leermauresken-Meister” nel terzo quarto del secolo XVI. In marocchino rosso, con piccole spellature marginali, è decorata a secco ed in oro e presenta filetti concentrici a secco e una cornice dorata a due coppie di filetti. Lo specchio, provvisto di cerchielli vuoti, ha volute fogliate, foglie trilobate e rosette vuote, sprazzi a sfondo di seminato di cerchielli pieni ed ha, al centro, un cartiglio. Sono evidenti le tracce di quattro bindelle in tessuto rosso e giallo sul piatto anteriore, inversamente su quello posteriore. Il taglio del volume è dorato e cesellato con motivi a nodi di genere moresco. Si tratta di caratteristiche che Ilse Schunke ha identificato in un legatore veneziano del Cinquecento, battezzato “Leermauresken-Meister” – poi denominato “Arabesque Outline Tool Binder” da Anthony Hobson – i cui prodotti sono riconoscibili per l’uso di specifici ferri di gusto orientaleggiante.

A questo Maestro sono attribuite un gruppo di legature di Commissioni dogali e di alcuni manoscritti, oltre che legature su volumi a stampa di argomento religioso editi a Venezia, eseguite verso il 1560 e caratterizzate da una limitata variabilità dell’impianto ornamentale, dall’alternanza dei piatti ornati in oro, mentre il dorso è decorato a secco con motivi di tipo moresco cesellati sul taglio.

Dante con l’espositione di m. Bernardino Daniello da Lucca, sopra la sua Comedia dell’Inferno, del Purgatorio, & del Paradiso; nuouamente stampato & posto in luce. – In Venetia : appresso Pietro da Fino, 1568 ([Venezia : Pietro da Fino]). – [12], 727, [1] p. : ill. ; 4º. ((Riferimenti: EDIT16 CNCE1172. – Corsivo, romano; segnatura: ⁶ A-4Y⁴; ill. calcografiche con la raffigurazione di Inferno, Purgatorio e Paradiso a c. 6v, 2F3v, 3P1v; iniziali xilografiche. Segnatura: CINQ.4.175.

Sfoglia la riproduzione digitale dell’esemplare conservato alla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco.

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Bando Fondo per la cultura 2021

La Biblioteca Angelo Mai partecipa al bando Fondo per la cultura, Avviso pubblico finalizzato a sostenere investimenti e altri interventi per la tutela, la conservazione, il restauro, la fruizione, la valorizzazione e la digitalizzazione del patrimonio culturale materiale e immateriale, istituito dall’articolo 184 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77.

Il progetto presentato, dal titolo Bergamo: storiainComune. Progetto di digitalizzazione della documentazione storica e fondativa del Comune di Bergamo, dall’VIII al XX secolo, propone la digitalizzazione di diplomi imperiali, statuti della Città, Atti del Consiglio comunale (dall’età veneta al primo Novecento) conservati nell’Archivio storico comunale custodito dalla Biblioteca; nonché della maggior parte delle Pergamene (oltre 17.000) che compongono l’omonima Raccolta. La successiva pubblicazione su piattaforma on line consentirà la libera consultazione dei materiali a tutti i ricercatori o ai semplici curiosi che fossero interessati alla conoscenza della storia della città di Bergamo.

Gli esiti del bando sono attesi per gli inizi del mese di dicembre.

 

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Apertura straordinaria per Sant’Alessandro

Giovedì 26 agosto è la festa del patrono di Bergamo, Sant’Alessandro. Come avviene da qualche anno, l’Amministrazione comunale coglie l’occasione della ricorrenza per porre l’accento su una virtù: dopo Misericordia, Gratitudine, Coraggio, Speranza, Umiltà, Fraternità, Compassione, è la volta della Fiducia, virtù civica e religiosa mai così necessaria come oggi, dopo quanto accaduto nel mondo intero.

Sono numerose le iniziative organizzate nell’occasione dal Comune di Bergamo, alle quali la Biblioteca Mai partecipa con l’apertura straordinaria del 26 agosto, dalle 10 alle 18, dell’Atrio scamozziano, nel quale è allestita la mostra Fantasia e Sublime di Piranesi. Le Carceri d’invenzione, che potrà essere visitata liberamente.

L’accesso all’Atrio è subordinato al possesso del ‘Green Pass’, per un numero massimo di dieci visitatori in contemporanea.

 

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La Commedia esposta da Alessandro Vellutello

Nel 1544 viene pubblicata la prima edizione della Commedia con l’esposizione di Alessandro Vellutello. Il commento dantesco di Vellutello fu poi riedito, insieme a quello di Cristoforo Landino, a cura di Francesco Sansovino, a Venezia, presso Melchiorre Sessa nel 1564 e poi ristampato nel 1578 e nel 1596.

Nato a Lucca il 13 novembre 1473 – come si ricava dall’atto di battesimo conservato all’Archivio arcivescovile di Lucca – dopo la prima formazione toscana e un passaggio milanese, prima del 1525 Vellutello si stabilisce a Venezia, dove pubblica tutte le sue opere: Le volgari opere del Petrarcha con la espositione di Alessandro Vellutello da Lucca, Venezia, G.A. Nicolini da Sabbio e fratelli, 1525; Publii Vergilii Maronis Bucolica, Georgica, Aeneis cum Servii Probique commentariis ac omnibus lectionum variationibus in antiquis codicibus repertis, in Venetiis, per Alexandrum Vellutellum accuratissime revisi, et emendati, et propriis expensis in aedibus Petri de Nicolinis de Sabbio impressi, 1534 mense Septembri.
Non è nota la data della morte.

La Comedia di Dante Aligieri con la nova espositione di Alessandro Vellutello, Venezia, Francesco Marcolini, 1544 vede la partecipazione finanziaria dell’autore, come documenta la concessione a nome del privilegio per la pubblicazione da parte del Senato veneziano nel novembre del 1543 prima della stipula del contratto editoriale con lo stampatore Francesco Marcolini.
Stampata in 4° (mm 230×156) su 442 pagine in elegante carattere corsivo, l’opera dantesca è racchiusa all’interno del commento in corpo minore. La struttura della Nova esposizione è preceduta, dopo la dedica a papa Paolo III, da una premessa del commentatore ai lettori e da una «Vita e costumi del poeta» sostanzialmente basata sulla biografia dantesca di Leonardo Bruni. Ogni cantica è preceduta da una descrizione topografica, con una ricostruzione minuziosa del viaggio dedotta dai versi della Commedia. Il commento vero e proprio è svolto canto per canto, a porzioni selezionate di testo. Il volume è illustrato da ottantasette xilografie, tre grandi a piena pagina premesse a ciascuna cantica e ottantaquattro vignette più piccole.

Nella premessa Ai lettori Vellutello spiega le finalità e le caratteristiche dell’edizione, affermando che la migliore interpretazione si ha con la spiegazione precisa del significato letterale e allegorico del testo attraverso la stretta interrelazione tra esegesi e filologia. Secondo Vellutello, infatti, senza un testo rigorosamente accertato risulta impossibile esercitare una corretta esegesi. In contrasto con la vulgata dantesca dell’ultimo Quattrocento, Vellutello propone un nuovo testo della Commedia e, soprattutto, un nuovo modo di leggere Dante ponendosi in alternativa anche alla consolidata tradizione del testo a cura di Pietro Bembo per le due edizioni di Aldo Manuzio (1502 e 1515).

Alla filologia bembiana del codex antiquissimus e dunque optimus di Bembo (basata principalmente sul Codice Vat. lat. 3199), Vellutello contrappone un nuovo allestimento del testo della Commedia fondato sulla collazione di diversi testi manoscritti e a stampa, scelti soprattutto in funzione dell’esegesi. La mise en page di Marcolini bene evidenzia questa impostazione attraverso l’utilizzo del corpo maggiore dei caratteri per il testo del poema e del corpo minore per il commento. Quest’ultimo solitamente inizia a destra dei versi per poi espandersi sino alla piena pagina.

L’imponente apparato iconografico è costituito da ottantasette incisioni in legno, comprese due ripetizioni: trentanove sono inserite nell’Inferno, 21 nel Purgatorio e 27 nel Paradiso. A parte le tre xilografie a piena pagina, che precedono ciascuna cantica, le vignette più piccole sono costruite secondo schemi ben riconoscibili: quelle della prima cantica sono caratterizzate dal cerchio, spesso inserito in una cornice quadrata e le scene rappresentate vengono viste dall’alto; nel Purgatorio lo schema base prevalente è un tronco di cono; nel Paradiso torna il cerchio che rappresenta il corpo astrale, circondato da raggi di luce e fiammelle. Queste illustrazioni incontrano il favore dei contemporanei: opera probabilmente del tedesco Johannes Brit o Breit (italianizzato Giovanni Britto), legato a Tiziano e all’Aretino, e che lavorava anche per Marcolini, vedono anch’esse il diretto impegno di Alessandro Vellutello nell’ideazione.

Completamente innovative rispetto alla precedente tradizione iconografica, le illustrazioni non sono una raffigurazione più o meno artistica di scene ispirate al testo, ma rappresentano visivamente, come a continuazione del commento e con costante attenzione alla topografia, il viaggio dantesco, che narrano senza soluzione di continuità. Gli stessi legni vennero utilizzati nelle successive stampe del 1564, 1578 e 1596 delle quali furono editori i Sessa. Dalle tre xilografie a piena pagina derivano inoltre le copie ridotte, attribuite a Pierre Eskrich del Dante lionese del 1551 in 16°, ristampato nel 1552 e nel 1571.

L’esemplare dell’edizione del 1544 di proprietà della Biblioteca Angelo Mai, conservato alla segnatura Cinq. 4. 1420, riporta una nota manoscritta di possesso di Marco Moroni.
Ha una legatura del secolo XVIII, eseguita a Bergamo e uguale ad un altro esemplare coevo bergamasco di questa Biblioteca, in cuoio marrone marmorizzato su cartone, decorato in oro. La cornice a rotella raffigura rami fioriti avvolti attorno ad un’asta. Il dorso a cinque nervi rilevati e senza capitelli decorato da un fiorone centrale entro due bande a torciglione in testa e al piede, riporta nel secondo compartimento, entro un tassello in cuoio rosso, la scritta “VELLUTELLO/COMEDIA/DI DANTE”. Il taglio è rosso, mentre le carte interne sono del genere “caillouté” e bianche.

La comedia di Dante Aligieri [!] con la noua espositione di Alessandro Vellutello. – (Impressa in Vinegia : per Francesco Marcolini ad instantia di Alessandro Vellutello, del mese di gugno [!] 1544). – [442] carte : ill. ; 4º. Corsivo; romano; illustrazioni xilografiche intervallate al testo. – Variante B: a carta V7r integrata una terzina (Dianzi uenimmo inanzi a uoi un poco …).

Delle successive edizioni la Biblioteca Mai conserva un bell’esemplare della copia del 1596 (Cinq. 6. 1095). Dante con l’espositioni di Christoforo Landino et d’Alessandro Vellutello. Sopra la sua Comedia dell’Inferno, del Purgatorio, & del Paradiso, con tauole, argomenti, & allegorie; & riformato, riueduto & ridotto alla sua uera lettura, per Francesco Sansouino fiorentino. – In Venetia : appresso Gio. Battista, & Gio. Bernardo Sessa, fratelli, 1596 (In Venetia : appresso Domenico Nicolini : ad istanza di Gio. Battista, & Gio. Bernardo Sessa, fratelli, 1596) 396 c. : ill. ; fol. ((Marca dei Sessa (U29) a carta 3C8v. – In front. ritratto di Dante in cornice.

Questa edizione della Divina Commedia è scherzosamente denominata “del nasone”, poiché nel frontespizio compare un ritratto del profilo di Dante incoronato d’alloro con un naso molto pronunciato, che riprende la fisionomia del ritratto dantesco di Agnolo Bronzino. Le novantacinque xilografie sono tratte dall’edizione Marcolini del 1544. Al curatore, Francesco Sansovino (1521-1586) si deve il recupero del commento di Alessandro Vellutello, che – a parte una ristampa a Lione nel 1551 – non era stato più pubblicato in Italia. La cinquecentina riporta in carattere corsivo il testo della Commedia e in carattere rotondo, disposto su due colonne, i commenti di Cristoforo Landino e di Alessandro Vellutello ponendo a confronto la lettura quattrocentesca e quella ‘moderna’ del poema dantesco. L’edizione, tratta dalle precedenti di Sessa del 1564 e 1578 sorte nel clima degli anni immediatamente seguenti al Concilio di Trento, venne inserita nell’Index Librorum Expurgandorum, pubblicato a Madrid nel 1614, in ragione di alcuni passi del commento del Landino.

Numerose le riproduzioni digitali dell’edizione 1544 presenti in rete: quella proposta dalla Biblioteca Centrale di Montpellier Méditerranée Métropole in PDF; due esemplari della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (qui il primo, qui il secondo); l’esemplare della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco.

Sempre da Monaco, la riproduzione dell’edizione 1596.

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La Commedia illustrata da Salvador Dalì

Nel 1950, preparandosi a commemorare il settecentesimo anniversario della nascita di Dante Alighieri, il Governo italiano commissiona al grande pittore surrealista catalano Salvador Dalí le illustrazioni dei cento canti della Divina Commedia. L’artista inizia subito a lavorare alla realizzazione di centodue acquarelli destinati ad essere pubblicati dall’Istituto Poligrafico dello Stato: le illustrazioni vengono presentate il 14 maggio 1954 a Palazzo Pallavicini Rospigliosi a Roma, nell’ambito della prima retrospettiva di Salvador Dalí in Italia.

La decisione di affidare ad un artista non italiano le illustrazioni della Divina Commedia è causa di polemiche molto accese sia per i costi sia per la scelta stessa di Dalì: il cambio di governo costituisce l’occasione per affidare ad un pittore italiano l’illustrazione della Commedia e per revocare il contratto tra il pittore catalano e l’Istituto Poligrafico dello Stato. Quest’ultimo aveva già sostenuto le spese per il diritto di riproduzione delle illustrazioni della Divina Commedia mentre, per quanto riguarda gli acquarelli, lo stesso accordo prevedeva che venissero restituiti al pittore dopo quattro anni. Rientratone in possesso, Salvador Dalí li vende nel 1959 all’editore francese Joseph Foret, che li pubblica a Parigi l’anno successivo con il titolo 100 aquarelles pour la Divine Comédie de Dante Alighieri par Salvador Dalí (Joseph Foret, Paris, 1960).

La pubblicazione italiana degli acquarelli avverrà solo nel dicembre 1963: presso la Scuola Grande di San Teodoro di Venezia le case editrici Adriano Salani di Firenze e Arti e Scienze di Roma organizzano una Mostra Internazionale del Libro d’Arte nella quale viene presentata l’edizione italiana della Divina Commedia illustrata da Salvador Dalí. La pubblicazione si deve a Milko Skofic, già proprietario della casa editrice Arti e Scienze che acquista, agli inizi degli anni ‘60, anche la Salani di Firenze.

Ne scaturisce una splendida edizione in sei volumi con tiratura limitata di 3044 copie. Quarantaquattro esemplari vengono impressi dall’Officina Bodoni di Verona su carta di tino del Giappone “Kaji Torinoko”; i restanti 3000 esemplari sono impressi dalla Stamperia Valdonega di Verona su carta a mano dei Fratelli Magnani di Pescia.
Giovanni Nencioni, nella sua premessa all’opera, sottolinea come sia «superfluo segnalare l’importanza dell’incontro tra la Divina Commedia e l’arte di Dalì, e l’impegno con cui il celeberrimo pittore surrealista si è applicato alla illustrazione dell’intero poema, come sarebbe arduo addentrarsi nelle ragioni e nei modi dell’incontro». Invita il lettore a tenere presente che «il contatto del testo di Dante col pennello di Dalì non è stato cogente ma sprigionante e inventivo; non rimpianga dunque la fedeltà che è solito chiedere all’illustrazione subordinata». Le immagini, che si riconducono al suo periodo “classicista”, sono infatti la trasposizione dell’opera dantesca nell’universo visionario del pittore catalano: Dalì nella Commedia ripercorre la sua evoluzione artistica, dal surrealismo dell’Inferno al misticismo del Paradiso, illustrando il testo attraverso il suo personale alfabeto simbolico e distanziandosi da qualsiasi precedente interpretazione figurativa come spiega l’artista:

«Poiché mi domandano la ragione per cui ho abbellito l’inferno con colori chiari rispondo che il romanticismo ha perpetrato l’ignominia di far credere che l’inferno fosse nero come le miniere di carbone di Gustave Dorè dove non si vede niente. Tutto ciò è falso. L’inferno di Dante è rischiarato dal sole e dal miele del Mediterraneo ed è per questo che i terrori delle mie illustrazioni sono analitici e supergelatinosi con il loro coefficiente di viscosità angelica»

A giudizio della critica, Dalì illustra il viaggio di Dante attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso reinterpretando il percorso dantesco in un’ottica psicoanalitica, ponendo al centro di ogni tavola un personaggio o un evento particolarmente significativo del canto. La rappresentazione è onirica e dissacrante: Inferno, Purgatorio e Paradiso emergono sospesi fra sogno e realtà, in un unico capolavoro, in cui all’eleganza del segno si coniuga un uso magistrale del colore. La figurazione è ironica, grottesca ed immaginifica nelle rappresentazioni dell’Inferno e del Purgatorio, mentre delicatissime e celestiali sono le rappresentazioni di Beatrice, come in un immaginario viaggio dell’artista dentro di sé. Il viaggio nell’oltre mondo dantesco è quindi interpretato in chiave metafisica e psicologica, mescolando in maniera magistrale il senso più profondo della Commedia con il senso artistico di Salvador Dalì, che mantiene la sognante atmosfera dantesca aggiungendo ad essa il suo inconfondibile tocco surrealista con le celebri figure molli, le stampelle, i corni di rinoceronte e le ossa volanti.

L’edizione Salani adotta il testo della Società Dantesca Italiana, curato da Giuseppe Vandelli per il centenario del 1921 – e poi da lui costantemente ritoccato – nello stato della decima edizione. Solo in pochi casi (citati) è adottata una lezione che appare decisamente migliore (vedi edizione commentata di Natalino Sapegno) e che tiene conto dei risultati della filologia dantesca aggiornata, in particolare degli studi di Giorgio Petrocchi. Speciale è l’ attenzione posta all’interpunzione e all’uso coerente delle maiuscole e minuscole. Anche l’eliminazione dei segni diacritici concorre a rendere più agevole e meno ambigua la lettura, modificando l’interpretazione o il ritmo. Il testo è impaginato allineato al centro, con rientro a sinistra del primo verso di ogni terzina; il primo verso di ogni canto è in carattere maiuscolo, in corpo maggiore e disposto su due righe, con iniziale colorata di altezza pari a tre righe.

Ogni canto è corredato da un acquarello a piena pagina. Furono necessari cinque anni di lavoro, dal ’60 al ’64 per incidere i 3500 legni ed imprimere in progressiva i 35 colori di ogni tavola; l’opera di incisione delle lastre in legno è stata realizzata dal Maestro Raymond Jacquet sotto la diretta supervisione dell’autore.
Le tavole sono prive di titolo e di citazioni; i riferimenti ai canti sono presenti ne “Le tavole dell’Inferno”, “Le tavole del Purgatorio” e “Le tavole del Paradiso” poste al termine dei volumi.
Il testo è a due colori, rosso per l’Inferno, viola per il Purgatorio e blu per il Paradiso. Ciascun volume è entro brossura con titolo in rosso al piatto anteriore; cartella e custodia in cartonato editoriali a motivi geometrici colorati.

Per la ricostruzione delle complesse vicende di questa edizione del poema dantesco è prezioso il saggio di Ilaria Schiaffini dal titolo La Divina Commedia di Salvador Dalí. Una storia italiana, pubblicato in “Critica del testo” XIV/2, 2011, pp. 643-674.

La Divina Commedia / illustrazioni di Dalì.- [Roma] : Arti e scienze ; [Firenze] : Salani, stampa 1963-1964. – 6 v. : 100 tav. ; 33 cm. – Ed. di 3044 esemplari di cui 44 stampati dall’Officina Bodoni di Verona. Esemplare n. 703. Collocazione: Sala 1 Cass. D 2 8/1-6.

 

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Il Convivio

Dante compone il Convivio presumibilmente fra il 1304 e il 1307 o, al massimo, fra il 1303 e il 1308, in ogni caso durante i primi anni dell’esilio. L’opera è coeva al De vulgari eloquentia ed è rimasta anch’essa incompiuta. La struttura originaria prevedeva un’introduzione generale e la presentazione ed il commento di quattordici canzoni, scritte dal poeta negli anni precedenti: ma il lavoro dell’autore si è interrotto dopo soltanto tre trattati, preceduti da un’introduzione che giustifica, fra l’altro, la scelta della lingua volgare per la trattazione di materie tradizionalmente affidate al latino. Le tre canzoni commentate, scritte dallo stesso Dante, sono: Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete, Amor che nella mente mi ragiona, Le dolci rime d’amor ch’ i’ solia.

Scritta nei primi anni dell’esilio, l’opera contiene una riflessione su quanto accaduto e su come salvare la dignità e la correttezza del proprio agire. Dante si rivolge ad un pubblico nuovo, emergente, diverso da quello accademico. Ecco perché la scelta del volgare. Alla spiegazione letterale segue quella allegorica, morale e anagogica ovvero quell’interpretazione del testo che rimanda a significati altri e superiori.

Il Convivio è componimento misto di versi e prosa, genere già noto nel mondo classico – si pensi, ad esempio al Satyricon di Petronio – e rientra nella tradizione dei commenti poetici, ma è eccezionale la circostanza di un poeta che commenta sé stesso introdotta dallo stesso Dante nella Vita Nuova. Utilizzando un tipo di commento legato all’insegnamento teologico e filosofico-medico in uso nelle università (Bologna, Parigi, Oxford) con inserimento di dubbi e questioni, il ricorso alla parafrasi e alle catene di sillogismi, l’uso dell’allegoria, Dante rivoluziona la tradizione del commento per lemmi, per parole, con riferimenti etimologici e precisazioni grammaticali e sintattiche. Nel quarto libro le considerazioni di carattere cosmologico e fisico lasciano il posto ad una netta prevalenza di tematiche etiche e politiche che danno modo all’autore di accogliere e rielaborare posizioni diverse.

Fondamentale la scelta del volgare come lingua di rango, con tutte le sue potenzialità comunicative, capace di raggiungere e perfino superare il livello del latino. Nel Convivio la similitudine poetica traduce in immagini concetti astrattamente scientifici. Ardita la contaminazione di linguaggi diversi ritrascritti in un registro del tutto nuovo e inimitabile.

Benché i primi commentatori dell’opera si affaccino già in pieno Trecento, la trasmissione del testo non fu né immediata né accurata: dei quaranta manoscritti più antichi pervenuti, solo due risalgono al secondo o al terzo quarto del Trecento, mentre gli altri sono tutti databili dalla fine del Trecento alla metà del Quattrocento. Tutti sono lacunosi e corrotti per quanto discendenti da un unico archetipo anch’esso evidentemente di cattiva qualità.

Numerose le edizioni del Convivio, antiche e moderne, possedute dalla Biblioteca Angelo Mai. La più antica posseduta, quella veneziana del 1529 per l’editore Niccolò Zoppino (segnatura: Cinq.1.762) che si rifà all’editio princeps del 1490, è caratterizzata da un frontespizio xilografico nel quale una cornice riccamente decorata racchiude al centro l’effige di Dante, visto di profilo, e il titolo L’amoroso Convivio di Dante, con la additione, & molti suoi notandi, accuratamente revisto & emendato. MDXXIX. Segue un ricco indice degli argomenti trattati. L’esemplare è legato con la Physionomia del matematico, filosofo e studioso scozzese Michael Scot pubblicata l’anno successivo, in una coperta in cartone rivestito di pergamena.

La Biblioteca possiede anche l’edizione veneziana del 1531, con lo stesso titolo, per l’editore Melchiorre Sessa (segnatura: Cinq.1.1979). La marca tipografica di quest’ultima, posta al termine del volume, raffigura un gatto con un topo in bocca, in un cerchio sormontato da corona e le iniziali «M» «S». La stessa raffigurazione è presente anche nella cornice xilografica che adorna il frontespizio caratterizzata da elementi fitomorfi, zoomorfi e antropomorfi. L’esemplare ha una coperta in pergamena floscia. Al taglio inferiore è stata impressa a mano con inchiostro l’indicazione «Convito di Dante».

E’ anche presente un esemplare di quella che è considerata la prima edizione moderna dell’opera: si tratta di un’edizione veneziana pubblicata nel 1741 da Giambattista Pasquali che recita Delle opere di Dante Alighieri. Tomo I contenente il Convito, e le Pistole, con le Annotazioni del Dottore Anton Maria Biscioni fiorentino (segnatura: Sala 3 I 5.19). Nella lettera ai lettori si avvisa che le opere contenute nel volume «si sono prese da’ miglior fonti; cioè dalle più accreditate impressioni». La prima pagina dell’opera riprende l’indicazione di autore e titolo preceduta da un elemento decorativo. La prima iniziale del testo è decorata.

Venendo a tempi più recenti, segnaliamo un’elegante edizione critica del Convivio uscita a Firenze per l’editore G. Barbèra nel 1919 (preceduta nel 1917 da un’edizione speciale in 100 esemplari, in formato più piccolo; la Biblioteca possiede la seconda edizione riveduta e corretta del 1921, segnatura: Morali 1193). Dopo l’occhietto, l’antiporta riproduce, in una fotografia in bianco e nero dei fratelli Alinari, il celebre ritratto di Dante a figura intera, dipinto da Domenico di Michelino conservato nella cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze. Il volume, grazie all’utilizzo di un carattere piuttosto minuto e alla disposizione del testo su due colonne, riesce a contenere tutte le principali opere di Dante, compresa la Divina Commedia. Il frontespizio, oltre a presentare la marca tipografica, caratterizzata da una rosa sormontata dalla scritta «non bramo altr’esca», promette «un copiosissimo indice del contenuto». Si tratta di un indice generale, piuttosto articolato, dei nomi di persone, luoghi e cose per tutte le opere contenute nel volume. E’ il frutto del lavoro di due eminenti dantisti dell’epoca: Arnaldo della Torre e Ernesto Giacomo Parodi. Pregevole la coperta rigida telata con incisione dorata della marca tipografica al piatto anteriore e ripresa del titolo e altri elementi decorativi sul dorso. Il colore avorio della coperta contrasta con i tagli colorati in rosso.

Tra le numerose riproduzioni digitali delle opere presentate segnaliamo alcuni esemplari: L’amoroso convivio del 1529 e del 1531 presso la Österreichische Nationalbibliothek di Vienna; Delle opere di Dante Alighieri, 1741, presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco; l’edizione Barbèra del 1919 è disponibile in Internet Archive grazie all’Università di Toronto.

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Il ‘Green pass’ per le biblioteche

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