La Biblioteca Angelo Mai augura ai lettori, agli amici, agli studiosi, ai visitatori
una serena Pasqua 2021
con la fiduciosa certezza di incontrarci presto anche nel nostro bell’edificio e non solo tramite web.
La Biblioteca Angelo Mai augura ai lettori, agli amici, agli studiosi, ai visitatori
una serena Pasqua 2021
con la fiduciosa certezza di incontrarci presto anche nel nostro bell’edificio e non solo tramite web.
Per la celebrazione dei settecento anni dalla morte di Dante, molte case editrici hanno programmato la pubblicazione delle opere del poeta, arricchite da nuovi commenti; o promosso studi originali per approfondire la conoscenza di questa figura straordinaria del panorama letterario italiano, vero e proprio fondamento della nostra cultura.
Proseguiamo nella presentazione di alcune novità giunte in Biblioteca, edite nel 2020 e nei primi mesi di quest’anno, disponibili per il prestito, iniziando con le edizioni delle opere.
«Per seguire la Comedia passo a passo, il curatore Roberto Mercuri ha costruito un’organizzazione degli apparati di ogni singolo canto che aiuta il lettore a entrare nel mondo trinitario e tripartito descritto da Dante: un brevissimo riassunto che presenta, oltre a quanto accadrà, gli uomini e le donne che si incontreranno; un commento approfondito sulla struttura del canto, sui personaggi, sulle allegorie, sui nodi di senso piú oscuri e problematici; le note a piè di pagina, puntuali ed esplicative del testo».
Franco Nembrini, al termine di una lezione tenuta a Roma su Dante e la Commedia, «è stato avvicinato da un ragazzo che gli ha confessato che le sue parole gli avevano cambiato la vita. Questo ragazzo era Gabriele Dell’Otto, uno dei più importanti disegnatori del mondo, artista di punta delle due grandi casi editrici americane di supereroi, Marvel e DC. È nato così il loro progetto – un po’ folle – della Divina Commedia che è anche un sogno: rivestire l’opera di Dante per restituirla ai lettori di ogni età.
Ogni canto dei loro volumi ha un’introduzione alla lettura scritta da Nembrini, il testo originale di Dante con, a fronte, una parafrasi in italiano contemporaneo, e una riproduzione delle tavole di Gabriele Dell’Otto che illustrano il contenuto del canto. Nembrini trova le parole più semplici e toccanti per avvicinarci al testo di Dante e farci sentire quanto esso abbia a che fare con la nostra quotidianità. Gabriele Dell’Otto trova una cifra unica ed emozionante nel tratto e nelle scelte cromatiche, contribuendo a rendere concreta, quasi materica, per i lettori l’esperienza del viaggio dantesco».
Di prossima uscita l’ultima cantica, il Paradiso.
«Il convenzionale intreccio della figura pubblica e privata di Dante con la sua opera e il contesto storico e culturale dell’Italia tra Due e Trecento ha favorito in passato non poche ingenuità metodologiche e comode semplificazioni che questa nuova vita di Dante evita accuratamente. Combinando, in un linguaggio chiaro e accessibile a un pubblico di lettori non specialisti, le acquisizioni più recenti con gli esiti di ricerche personali e di prima mano, Paolo Pellegrini propone sostanziose novità rispetto alle biografie precedenti. Sia nella scrupolosa ricostruzione dell’esistenza del poeta, sia nell’attenta analisi della tradizione testuale, della cronologia e della stesura delle opere, che passa i più recenti contributi della medievistica moderna al vaglio della migliore filologia novecentesca. Al tempo stesso, attraverso una più solida selezione puntuale della bibliografia dantesca, il saggio intende offrire alle generazioni di studiosi più giovani o ai semplici appassionati un’indicazione di metodo che potrà essere messa a frutto per ulteriori e future ricerche».
«Un uomo del Medioevo, immerso nel suo tempo. Questo il Dante che ci racconta un grande storico in pagine di vivida bellezza. Dante è l’uomo su cui, per la fama che lo accompagnava già in vita, sappiamo forse più cose che su qualunque altro uomo di quell’epoca, e che ci ha lasciato la sua testimonianza personale su cosa significava, allora, essere un giovane uomo innamorato o cosa si provava quando si saliva a cavallo per andare in battaglia. Alessandro Barbero segue Dante nella sua adolescenza di figlio d’un usuraio che sogna di appartenere al mondo dei nobili e dei letterati; nei corridoi oscuri della politica, dove gli ideali si infrangono davanti alla realtà meschina degli odi di partito e della corruzione dilagante; nei vagabondaggi dell’esiliato che scopre l’incredibile varietà dell’Italia del Trecento, fra metropoli commerciali e corti cavalleresche. Il libro affronta anche le lacune e i silenzi che rendono incerta la ricostruzione di interi periodi della vita di Dante, presentando gli argomenti pro e contro le diverse ipotesi e permettendo a chi legge di farsi una propria idea, come quando il lettore di un romanzo giallo è invitato a gareggiare con il detective per arrivare per proprio conto a una conclusione».
«A sette secoli dalla sua morte Dante sorprende ancora per l’originalità e la complessità della sua opera, né cessa di attirare lettori e studiosi. Le sue opere, che si affermano e rimangono come straordinari unica nella nostra tradizione culturale, rifondono in una dimensione al tempo stesso autobiografica e universale certezze e contraddizioni dell’uomo medievale. Ma la ragione prima del fascino e della perdurante attualità dell’invenzione dantesca sta nella sua prodigiosa capacità di trascendere tale alterità e imporsi nella coscienza del lettore di ogni tempo. Scritti da alcuni dei massimi specialisti nell’ambito della filologia e della critica dantesca, i saggi compresi nel volume presentano sia una lettura incisiva e autorevole di ognuna delle opere di Dante, dalle Rime alla Commedia, sia un attraversamento critico delle principali questioni e delle tradizioni culturali che ne sono a fondamento. Nell’insieme il volume disegna quindi, e rende accessibile a tutti i lettori, un quadro ampio e rigoroso dei migliori risultati degli attuali studi danteschi. Con uno stile sempre chiaro e divulgativo, ma allo stesso tempo rigoroso, si rivolge sia al mondo universitario sia a un pubblico più ampio».
«Se Dante non avesse scritto, negli anni della maturità, quello straordinario poema che è la Commedia, sarebbe rimasto comunque nella storia della letteratura italiana ed europea grazie al capolavoro della sua giovinezza, ossia per aver scritto la Vita nova: storia dell’amore per Beatrice dall’infanzia fino a poco dopo la morte di lei, composta in un misto di poesia e di prosa. Questo saggio intende approfondire la fisionomia del libro d’esordio di Dante, che intreccia autobiografia, storia di un amore, storia di una poetica e spiritualizzazione dell’amore profano. Disamina, questa, non fine a se stessa bensì in funzione del rapporto strettissimo che il testo intrattiene con il grande poema della maturità, di cui costituisce l’antefatto e di cui pone le necessarie premesse sia sul piano narrativo sia su quello dottrinale, al punto da configurare un vero e proprio dittico, quasi che Vita nova e Commedia fossero state concepite come le due metà di una storia sola».
«Dante. Un uomo che ancora, dopo secoli, chiamiamo poeta nazionale. Autore della Divina commedia, da lui definita addirittura un «poema sacro», di certo l’opera grandiosa di un uomo tormentato dalle sciagure politiche, cacciato dalla patria e costretto a vagare per le corti italiane in cerca di ospitalità e sostegno. Nelle terzine del poema risuonano con fragore le lotte intestine che dilaniavano i comuni italiani e risplende l’amore del poeta per Dio, per Beatrice e per Firenze, che lo conduce alla contemplazione della più alta verità. La Divina commedia è universale ma è legata a vicende personali e contingenti. Come è arrivata fino a noi e come ha fatto a conservare una tale potenza? Alberto Casadei, intrecciando indagine storica e analisi poetica, ripercorre le tappe del poema, dalla prima circolazione nelle mani di Boccaccio e Petrarca fino alle più recenti interpretazioni, artistiche e persino informatiche. Perché l’eredità di Dante è tutt’altro che esaurita, e la Divina commedia continua a dialogare con l’umanità del presente e del futuro».
«Uno studio originale, che apre prospettive inedite e rivoluzionarie sulle fonti del pensiero e dell’opera di Dante Alighieri. Da una invocazione nascosta in un antico e poco conosciuto commento alto-medievale ai primi libri della Bibbia, composto dal monaco italiano Bruno di Segni verso la metà del secolo XI, emerge inattesa la fonte che suggerisce a Dante la prima idea della «selva oscura», «amara», «aspra», «forte» e deviante dalla «diritta via», sulla cui tragica descrizione si apre la Commedia. Tale scoperta si traduce nell’occasione per aprire una nuova prospettiva di approccio al pensiero filosofico e teologico dell’Alighieri. Il lettore scopre così che fonti dirette del sapere di Dante non sono solo i classici antichi, poeti, scienziati o filosofi, o i magistri universitari suoi contemporanei, ma anche alcuni tra i tipici rappresentanti della letteratura patristica (da Ambrogio e Agostino a Girolamo) e della sapienza monastica dell’alto Medioevo (dai ‘fondatori’ come Boezio, Cassiodoro e Gregorio Magno ai più recenti e luminosi modelli di pensiero teologico come Giovanni Scoto, Anselmo d’Aosta e Bernardo di Chiaravalle, dagli eruditi Isidoro di Siviglia e Rabano Mauro al contemplativo Riccardo di San Vittore). La nuova luce proveniente dalla densa teoresi e dall’intima spiritualità meditativa e mistica di questa tradizione di pensiero, dominata dal principio unificante, in senso platonico, della caritas universale, evidenzia nell’intera opera di Dante i tratti precisi della sua vocazione di poeta-teologo: la coscienza, cioè di essere chiamato, nel «mezzo» della sua esistenza terrena, al compimento di un’alta missione, teoretica ed etica, di rieducazione dell’umanità».
«Quali immagini ha visto Dante? Su quali di esse si è soffermato a pensare? Che ruolo hanno avuto nella scrittura della Commedia? In questo volume, Laura Pasquini ci guida come in un ideale viaggio (Firenze, Roma, Padova, Ravenna, Venezia) attraverso le opere che hanno agito sulla principale creazione dantesca. Mosaici, affreschi, sculture, di cui Dante non parla direttamente, ma che di certo hanno catturato la sua attenzione, finendo per concorrere in vario modo alla costruzione dell’immagine poetica. Talvolta presenza emersa dalla memoria, talvolta riconoscibile spunto figurativo consapevolmente amplificato. Ne risulta un libro fitto di richiami testuali e di prospettive inedite su quello che dovette essere l’immaginario dell’Alighieri; un libro ricco di suggestioni e di scoperte affascinanti (in particolare sul suo soggiorno romano in occasione del Giubileo del 1300) corredato di un denso e prezioso apparato iconografico».
«Il volume affronta la ricezione di Dante e la contestuale istituzionalizzazione, o meglio canonizzazione, della sua figura di autore volgare attraverso lo studio della circolazione e ricezione della sua produzione lirica per come è stata copiata nelle miscellanee e antologie manoscritte, e poi pubblicata nelle prime edizioni a stampa, anche alla luce delle divergenti interpretazioni che il ‘Dante rimatore’ ha originato tra Medioevo ed età contemporanea. I tre capitoli si concentrano su tre ‘casi di studio’, ossia su una singola poesia e i suoi libri, sui libri legati a un poeta, e a una città. Si parte da un testo peculiare, la cui prima tradizione e la successiva storia editoriale definiscono un quadro sfaccettato della ricezione del Dante lirico, ossia la canzone trilingue – francese, latino e italiano – Aï faus ris, la cui interpretazione e la prima ricezione sono argomento del primo capitolo. Il secondo capitolo si concentra invece sull’antologia di poesia appartenuta a un poeta minore, il cantor fiorentino Andrea Stefani, la cui esperienza illumina la trasmissione e ricezione del Dante lirico al passaggio tra XIV e XV secolo. Infine, il terzo capitolo affronta i volumi delle liriche di Dante presenti in Veneto, e in particolare a Padova, tra l’inizio del Tre e la metà del Quattrocento: la circolazione delle rime in contenitori testuali assai diversi genera un cortocircuito critico di fondamentale importanza per comprendere la cultura della seconda metà del Trecento, nonché per approfondire come la dialettica Dante-Petrarca si configuri assai precocemente».
Non dimenticatevi: alcuni volumi tra quelli segnalati sono disponibili in formato digitale su Media LibraryOn Line.
Guarda tutte le puntate precedenti di «… a riveder le stelle»
Oggi, 25 marzo, è Dantedì, la Giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri, istituita nel 2020 dal Consiglio dei ministri su proposta del Ministro Dario Franceschini.
Quale miglior occasione per ricordare ai nostri iscritti l’iniziativa promossa dalla Biblioteca per le celebrazioni dei settecento anni dalla morte del poeta!
«… a riveder le stelle»: Dante negli esemplari della Biblioteca Civica Angelo Mai, la mostra virtuale che presenta 50 esemplari tra le centinaia di opere dantesche conservate, continua ogni domenica sul sito e sulla pagina facebook della Biblioteca.
Se avete perso le puntate precedenti, potete ritrovarle grazie ai link presenti in fondo alla pagina di presentazione dell’iniziativa.
E’ il 21 di marzo del 1402 quando i copisti Pietro de Nibiallo da Como e Pietro de Berardi iniziano, su fogli di pergamena di riuso (palinsesti), la stesura manoscritta della Commedia di Dante con il commento in latino di Alberico da Rosciate che oggi, a 619 anni di distanza, offriamo ai lettori. Il Commento è contenuto nel celebre Codice Grumelli, conservato dalla Biblioteca Mai alla segnatura Cassaforte 6.1.
Custodito in una cassetta di legno di noce, il codice si presenta esternamente confezionato in una legatura bergamasca coeva, ma di riuso, in assicelle coperte in marocchino marrone decorato a secco con quattro cantonali a bottone, impreziositi da volute fogliate e rosette, e con al centro dei piatti un umbone circolare provvisto di una dicitura in caratteri gotici. Anche il decoro a tabula ansata, il nodo moresco e le contrograffe in uso nelle legature bergamasche suggeriscono una realizzazione orobica della coperta nonostante le differenti provenienze geografiche degli elementi metallici.
Il codice è formato da 408 carte, di mm 314 x 207, e contiene il testo commentato della Commedia (alle carte 2r-396v) in scrittura gotica per i testi e corsiva per il commento con semplici iniziali in rosso ed una sola iniziale filigranata in rosso, giallo, blu e bruno. Lo scritto, composto a piena pagina per il testo e per il commento della prima cantica, è disposto in colonna per il testo e in riga intera per le altre due cantiche.
La redazione è avvenuta tra il 21 marzo e il 7 settembre del 1402 per mano di Pietro de Nibiallo da Como e di Pietro de Berardi che lasciano la propria ‘firma’ in diversi punti del codice: in particolare si segnalano la firma e data alla c. 397r dove «Petrus 1402» è inscritta in un cerchio, e la chiusa a c. 397v «Liber iste inceptus fuit scribere de anno 1402 in mense marcii die 21 huius mensis et finitus fuit eodem anno de mense septembris die 7 mensis ipsius, qui et scriptus quid per me P(etrus de Berardis), cuius est liber, et quid per Petrum de Nibiallo Cumanum».
I fogli dal 397 a 400 contengono: Credo di Iacopo della Lana; Epitaphium Dantis di Menchinus de Mezano; Sonetti dei sette peccati, di Fazio degli Uberti; O comedia del doctor sovrano, sonetto anonimo; un Capitolo di Iacopo Alighieri ed uno di Bosone da Gubbio; Tal par che cum passi lenti vada chi va ben tosto, componimento anonimo.
Sono presenti numerosi e semplici disegni a penna, raffigurazioni astronomiche, una tavola da gioco, elementi geometrici, tra i quali spicca un interessante Minotauro al centro di un labirinto. Coloriti a tempera invece uno stemma della famiglia della Scala e alcune aquile in nero su fondo aureo.
Il codice, a lungo conservato presso i conti Pedrocca Grumelli, è stato donato alla Biblioteca Civica nel 1872, con il divieto assoluto di alienarlo come si legge in una nota a c. 1v: «La sottoscritta, interpretando le intenzioni del benemerito di lei marito, conte Fermo Pedrocca Grumelli, fa oggi consegna del presente codice alla Biblioteca della città di Bergamo, con la proprietà del comune di Bergamo, e con la proibizione allo stesso di alienarlo o di altrove disportarlo. Bergamo, 24 maggio 1872. Contessa Degnamerita Albani vedova Pedrocca Grumelli».
Il manoscritto è stato recentemente digitalizzato nell’ambito del progetto Illuminated Dante Project (IDP) nato in seno al gruppo di ricerca di Filologia Italiana dell’Università di Napoli ‘Federico II’ e che si propone, in prospettiva delle attuali celebrazioni, di allestire un archivio online e un database codicologico e iconografico di tutti gli antichi manoscritti della Commedia di Dante provvisti di immagini che intrattengano relazioni col testo del poema. Presto sarà pertanto consultabile sul sito dell’IDP.
Il codice Grumelli è il testimone fondamentale per la seconda redazione del Commento a Dante di Alberico da Rosciate e l’unico per Inferno e Purgatorio.
Nato a Rosciate (Bergamo) attorno al 1290 da famiglia di giudici e notai, Alberico compì gli studi giuridici a Padova. A Bergamo, dal secondo decennio del ‘300, oltre che alla professione forense dedicò il suo tempo alla vita pubblica cittadina e agli studi. Fu rappresentante della sua città nell’atto di dedizione di essa a Giovanni di Boemia e riformatore degli statuti bergamaschi in senso favorevole alla signoria viscontea per la quale svolse diverse ambascerie. Compì pellegrinaggio a Roma con la famiglia nell’anno giubilare 1350, morì a Bergamo il 14 settembre del 1360. Famoso giurista, il suo Commento alla Commedia, oggetto continuo di studio da parte dei filologi, riflette in molte parti la sua profonda cultura documentata dall’elenco dei libri che possedeva offerto nel testamento del 1345.
Il progetto originario del suo lavoro letterario è esplicitato dallo stesso Alberico in una nota posta in calce al suo commento: «Hunc comentum totius comedie composuit quidam dominus Iacobus de la lana Bonominesis, licentiatus in artibus et theologia, qui fuit filius fratyris Filippi de la Lana, ordinis Gaudentium, et fecit in sermone vulgari Tusco. Et quia tale ydioma non est omnibus noum, ideo ad utilitatem volentium studere in ipsa comedia transtuli de vulgari Tusco in grammaticali scientia litteratorum ego Albericus de Roxiate».
In un’età dominata dai volgarizzamenti, Alberico da Rosciate compie dunque un’operazione culturalmente considerevole che ha per l’area italiana importnti precedenti, tutti volti alla traduzione latina, per facilitare la lettura e la comprensione di testi volgari. Gli studiosi hanno individuato due redazioni del suo lavoro: in una prima fase egli si limitò a tradurre in latino le parole del Commento di Iacopo della Lana sia letteralmente, sia attraverso sintesi; successivamente Alberico operò sul proprio testo apportando migliorie lessicali e sintattiche e arricchendolo di nuovi particolari originali, non presenti nel commento di Iacopo della Lana, che gli derivavano dalle sue letture per giungere, nella seconda redazione, a corredare l’Inferno e il Paradiso di una spiegazione decisamente letterale.
La composizione del Commento copre un arco temporale che va dal 1336 al 1342:
• Per l’Inferno il termine post quem del 1336 è certo. Nel prologo a Inf. XII, dedicato alle sette ereticali, si accenna al decretale Benedictus deus, emanato da papa Benedetto XII appena eletto, appunto nel 1336, per placare le polemiche a proposito della visione beatifica. Il termine ante quem può essere considerato il 1350, anno nel quale Alberico si reca a Roma per il Giubileo.
• Per il Paradiso, la chiosa a Par. XIX 127-129 cita il sovrano angioino Roberto come quondam e ciò spingerebbe la data del testo di Alberico successivamente al 1343, anno della morte di Roberto d’Angiò.
Le fonti del giurista bergamasco si ritrovano principalmente nei testi di diritto canonico e giuridico mentre grandi assenti sono i classici che si limitano a qualche citazione dalle Epistole di Seneca, a qualche esametro virgiliano e a briciole ovidiane. Ampia la conoscenza della Bibbia e del patrimonio della letteratura latina medioevale di opere quali la Historia destructionis Troie di Guido delle Colonne (opera composta tra il 1272 e il 287), la Vita Scholastica di Bonvesin de la Riva (morto nel 1313) e qualche testo storico, come la Cronica Marchie Trivixiane di Rolandino da Padova, elaborato tra il 1260 e il 1262. Certamente noto ad Alberico l’Inventarium universi orbis Bartholomei de Osa, opera enciclopedica perduta di Bartolomeo de Osa, morto nel 1340, segretario del Cardinale Guglielmo Longhi attivo a Bergamo e Avignone. L’opera di Bartolomeo in sedici libri venne composta negli ultimi anni di sua vita ed era una cronaca dalle origini del mondo ai suoi tempi.
Il Commento di Alberico non solo documenta la fortuna trecentesca della Commedia, iniziata come noto all’indomani della morte di Dante grazie alle trascrizioni commentate, ma è celebre anche perché cerca di offrire una spiegazione letterale a tutti o quasi i versi del capolavoro.
Del Commento di Alberico da Rosciate si conserva un altro codice, anch’esso di fattura bergamasca, alla Biblioteca Laurenziana di Firenze (Codice Laurenziano Plut. 26, sin 2).
A partire dal lunedì 15 marzo, con l’ingresso della Regione Lombardia in ‘zona rossa’, la Biblioteca modifica orari ed erogazione dei servizi offerti alla cittadinanza.
ll prestito su prenotazione con ritiro in sede sarà attivo dal lunedì al venerdì, dalle 8.45 alle 17.30. Sarà garantito il prestito a domicilio per gli iscritti residenti nel Comune di Bergamo che abbiano compiuto i 70 anni di età o che si trovino in condizioni di fragilità.
Restano attivi anche i servizi di consulenza da remoto e di riproduzione digitale. E’ invece sospesa la consultazione in sede.
A partire dal 20 marzo, la Biblioteca sarà chiusa il sabato.
Leggi le informazioni dettagliate e le modalità operative alla pagina dedicata.
Nel 1943 l’Istituto geografico De Agostini dà alle stampe la Divina Commedia su testo critico della Società dantesca italiana. Espressa volontà dell’editore è che i versi danteschi possano salire «con l’impeto delle grandiosi sinfonie» e che la voce di Dante si faccia «intendere sola»: da ciò la scelta di commentare la Divina Commedia dando concretezza visibile al mondo dantesco attraverso l’uso della illustrazione che «mira alla sintesi dell’alto racconto e più ne fa intendere la bellezza», e non ricorrendo a note e commenti «sulle parole sui versi delle terzine», che costituirebbero «fastidiosi bisbiglii».
Le illustrazioni devono mantenere precise caratteristiche: escluse le interpretazioni personali che hanno «consumato la deformazione romantica dell’invenzione dantesca», o che hanno «ecceduto in rappresentazioni anatomiche le quali farebbero credere che (…) il mondo dantesco non accolga che una popolazione di ignudi», le «immagini vestite di sola bellezza» o legate a un verismo che «esclude i giovani dai casti incontri con l’Alighieri».
La scelta cade sul pittore e illustratore bergamasco Giovanni Battista Galizzi (Bergamo, 1882 –1963). Figlio di Luigi e Selene Scuri, entrambi pittori, Giovanni Battista si formò alla scuola dell’Accademia Carrara sotto il magistero di Cesare Tallone e successivamente di Ponziano Loverini e si perfezionò a Roma grazie all’Arciconfraternita dei Bergamaschiin Roma.
Artista fecondo, accostò alla produzione pittorica, con importanti commissioni religiose e civili, l’attività di illustratore per prodotti editoriali di pregio italiani e stranieri e quella di caricaturista e disegnatore satirico. In questa veste Galizzi partecipò a diverse esposizioni lombarde e nel 1912 presentò al Circolo artistico di Bergamo, con scanzonata ironia, i grandi pannelli con l’ illustrazione umoristica dell’Inferno di Dante che pubblicò in un quasi introvabile volume edito nello stesso anno dall’Istituto Italiano d’Arti Grafiche.
Per l’edizione De Agostini, di grande formato, nella quale ogni canto è disposto su due colonne con inizio a pagina destra e termine nella successiva pagina sinistra, Galizzi realizzò le 105 tavole a colori a piena pagina, ciascuna delle quali riporta nel margine inferiore i versi ai quali si riferisce. Il legame tra testo e immagine è enfatizzato da un curioso strumento: al volume è allegato il «Regolo per la numerazione dei versi de LA DIVINA COMMEDIA illustrata da G.B. Galizzi».
Le tavole di Galizzi, degne di un abile maestro della grande illustrazione, alternano immagini capaci di «compiacere l’occhio comune e il gusto popolare più tradizionale» a composizioni «più fantasiose e audaci» in particolare per l’Inferno dove un’espressività più dirompente ricorda le esperienze di deformazione caricaturale ed espressionista delle realizzazioni giovanili. Umberto Ronchi, in un lungo articolo di presentazione comparso su La voce di Bergamo nel gennaio del 1943, sintetizza il valore dell’opera di Galizzi «nell’aver voluto e saputo mantenere l’unità interpretativa pittorica del pensiero cristiano del Poema: e in ciò è soprattutto l’originalità assoluta e senza riscontri di questa sua opera artistica».
L’edizione della Divina Commedia illustrata dal pittore bergamasco ebbe un grande successo ed è ancora oggi facilmente reperibile sul mercato antiquario, purtroppo quasi sempre priva del volume di commento a cura di Luigi Pietrobono.
La Biblioteca Angelo Mai conserva una edizione completa di quest’opera: Dante Alighieri, La Divina commedia, nel testo critico della Società dantesca italiana, con 105 tavole a colori di G. B. Galizzi, Novara, Istituto geografico De Agostini, 1943 (G.5.775); Luigi Pietrobono, Commento a la Divina Commedia illustrata da G. B. Galizzi, Milano, Edizioni Labor, 1943 (G.5.776).
Il fascino della Commedia dantesca ha sedotto molti letterati e poeti dialettali soprattutto a partire dall’Ottocento. Essi ci hanno dato trascrizioni integrali o parziali del poema a volte con intento parodistico.
La recentissima tesi di laurea magistrale di Michele Poli, La Commedia di Dante in dialetto bergamasco, discussa all’ Università degli Studi di Bergamo, Dipartimento di Lettere e Filosofia, Corso di laurea magistrale in culture moderne e comparate, nell’anno accademico 2019-2020, relatore Chiar.mo Prof. Massimo Zaggia, affronta la questione delle trascrizioni in bergamasco del poema dantesco.
Va subito detto che, per quanto è stato possibile accertare, non esistono trascrizioni integrali della Commedia in dialetto bergamasco.
La prima traduzione in bergamasco di cui si abbia notizia, riguardante i primi due canti dell’Inferno, realizzata nel 1864 da Raimondo Manzoni con il titolo Ol Dante a Tor de Büs, è purtroppo perduta. Solo qualche verso sopravvive in una trascrizione successiva a cura di Bortolo Belotti, uomo politico, storico e letterato, celebre soprattutto per La storia di Bergamo e dei Bergamaschi, pubblicata per la prima volta nel 1940 e riproposta con diversi ampliamenti nelle successive edizioni del 1959 e del 1989.
Un’altra traduzione in bergamasco dei primi canti dell’Inferno, con intenti parodistici e di assai incerta attribuzione, compare in un opuscolo a stampa del 1895 edito da Fagnani e Galeazzi.
Nel 1932 Bortolo Belotti, diede alle stampe, per la Società editrice S. Alessandro di Bergamo, i Saggi di traduzione della divina Commedia in dialetto Bergamasco con la proposta di alcuni canti del sommo poeta. In Biblioteca Mai se ne conservano alcuni esemplari: fra di essi, uno appartiene al fondo librario di Rosetta Locatelli (segnatura LOCAR 3.111) con dedica dell’autore all’aviatore Antonio Locatelli; un altro al fondo di Luigi Angelini (ANG 3.387), anch’esso con dedica di Belotti all’ingegnere.
Questa traduzione è preceduta da Considerazioni introduttive sul tradurre Dante in dialetto nelle quali Bortolo Belotti dichiara di voler rifuggire dagli intenti parodistici o, comunque, da traduzioni troppo libere e di optare piuttosto per una fedeltà all’originale con l’inserimento di «moderati ma diretti accenni a cose e a fatti della vita vernacola», senza che ciò porti a trasformare Dante in un personaggio vernacolare o addirittura in una maschera.
Questo approccio porta Belotti a concludere sull’impossibilità di una traduzione integrale in bergamasco del poema dantesco, in particolare per i passaggi che esprimono concetti filosofici elevati, presenti soprattutto nel Paradiso, per i quali il lessico dialettale si rivelerebbe insufficiente a rendere pienamente il significato originale. Viceversa, il dialetto risulta calzante laddove prevalgano i sentimenti terreni come «nell’episodio del conte Ugolino e dell’arcivescovo Ruggeri [nel quale] c’è veramente tanta umanità, tanto amore, tanto odio, tanto patimento, tanta disperazione, da non sembrare strano che ve ne sia anche per un dialetto».
Le Considerazioni restituiscono solo alcuni dei canti tradotti da Bortolo Belotti. Cinque quelli dall’Inferno: il primo (La selva oscura), il terzo (La porta infernale: Caronte), il quinto (Francesca da Rimini), il ventunesimo (Il canto dei diavoli), il trentatreesimo (Il canto del conte Ugolino). Chiude la serie il canto XXXIII del Paradiso che contiene la preghiera di San Bernardo.
La traduzione dei canti, nella quale è sempre rispettata la sequenza di terzine di endecasillabi, è presentata con la versione originale a fronte, aspetto questo che rende più diretto e serrato il confronto.
Ecco come Bortolo Belotti presenta la traduzione dell’inizio del canto III dell’Inferno:
«Per me si va nella città dolente, per me si va nell’eterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore, fecemi la divina protestate, la somma sapienza e il primo amore. Dinanzi a me non fur cose create, se non eterne; ed io eterno duro. Lasciate ogni speranza, voi che entrate». | «De ché ‘s va ‘n del país di despiràcc, de ché ‘s va eternament in del dulùr, de ché ‘s va in mès al pòpol di danàcc. Me m’à fàcc la giöstésia del Signùr, che töt la pöl quando la öl vergót, col so pós de sapiensa e col so amùr. Al mond, prima de me, gh’era negót Che no ‘l fös in eterno, e chi vé ché, s’i gh’à speranse, i laghe zo ‘l fagòt». |
Sfoglia in rete l’intera pubblicazione di Bortolo Belotti.
E’ in distribuzione il numero CXIII, annata 2019, di Bergomum. Bollettino della Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo, destinato in gran parte ad ospitare i contributi presentati in occasione della giornata di studio Lotto, Venezia, Cinquecento, svoltasi in Biblioteca il 7 dicembre 2018 e dedicata alla studiosa Francesca Cortesi Bosco, recentemente scomparsa.
L’occasione ha consentito di riprendere e approfondire argomenti frutto delle ricerche sviluppate nel corso di un’intera vita dalla studiosa, assidua e affezionata frequentatrice della nostra Biblioteca e autrice di interventi su Bergomum fin dal 1976. Sette i saggi presentati, a firma di altrettanti studiosi. Potete consultare qui l’indice in anteprima.
La seconda parte del volume è riservata alla sezione ‘Vita della biblioteca’ che include, tra le altre informazioni, un’interessante relazione di Chiara Perugini sul restauro del codice in pergamena, miniato, del 1453 contenente lo Statuto della città di Bergamo. Sfoglialo in linea sul sito della BDL.
Un indice analitico dei nomi di persona, degli enti e dei luoghi completa il volume. Indici e spogli di tutte le annate sono pubblicati sul sito della Biblioteca.
Per informazioni, info@bibliotecamai.org.
La Biblioteca resta regolarmente aperta anche in zona arancione, come indicato dai Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 gennaio 2021 che, all’articolo 3, comma 4, lettera m), prevede la sospensione «dei servizi al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura […] ad eccezione delle biblioteche dove i relativi servizi sono offerti su prenotazione […]».
La Mai offre infatti su prenotazione i servizi di prestito e di consultazione in sede, oltre a garantire la consulenza da remoto e la realizzazione delle riproduzioni su richiesta.
Vedi tutte le informazioni e le modalità operative alla pagina dedicata.
Nel 1965 la stampa nazionale italiana dà ampio risalto all’inaugurazione – avvenuta il 13 novembre alla presenza del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat – del Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico – CNUCE presso l’Università di Pisa, che mette a disposizione di studiosi e ricercatori italiani «uno dei più potenti calcolatori esistenti nel mondo», l’IBM 7090 donato dalla società omonima.
Il cerimoniale di stato prevede che il Presidente della Repubblica, entrato nella sala del calcolatore, spinga «un tasto del tavolo di comando, che metta in moto il 7090», passi «dinanzi ai contenitori dei nastri magnetici, delle unità di elaborazione», quindi prema «un tasto che metterà in funzione la stampatrice stessa, nella quale apparirà qualcuna delle elaborazioni della Divina Commedia. A fianco delle stampatrici, sopra un alto leggio, sarà collocata una copia del volume prodotto dal 7090».
Certa che l’applicazione dei calcolatori si inserisse «nei più svariati settori dell’attività umana», la Direzione IBM Italia aveva deciso che il primo lavoro prodotto dal CNUCE celebrasse il VII centenario della nascita di Dante e per tale motivo, nella primavera 1965, si era rivolta a Carlo Tagliavini, docente di Glottologia all’Università di Padova, proponendo di applicare l’informatica agli studi filologici sulla Divina Commedia con nuovi calcolatori IBM 1401 e 7090.
Per costruire la mappa delle concordanze (cioè il repertorio alfabetico delle parole con l’indicazione e, in genere, anche la citazione di tutti i luoghi in cui esse ricorrono) fu scelto come testo di riferimento Le opere di Dante. Testo critico della Società dantesca Italiana a cura di Giuseppe Vitelli, Firenze 1960, che avrebbe permesso di superare l’edizione del 1888 delle Concordance of the Divina Commedia di Edward Allen Fay.
Per la elaborazione si riportò su schede perforate l’intero testo della Divina Commedia, trascrivendo ogni singolo verso su una scheda e ottenendo così un totale di 14.233 schede (numero dei versi del poema) su ognuna delle quali fu anche perforato il numero di riferimento del verso; questo lavoro impiegò «2 perforatrici per una settimana» e il sistema IBM 7090-1041 per elaborare i dati «non ha impiegato più di 9 ore!». L’elaborazione si svolse in più fasi successive, per le quali fu necessario eseguire un totale di 19 programmi.
Fu scelto di presentare il testo così come uscito dalla macchina, che per i calcolatori IBM tipo 1401 prevedeva solo lettere maiuscole; per poter impaginare l’opera, i tabulati usciti dal calcolatore furono fotografati e ridotti al 47% delle dimensioni originali (59% per il testo delle Cantiche).
Significativa e singolare la scelta di presentare le riproduzioni dei tabulati con una rilegatura di pregio in pelle con impressioni a secco sul piatto anteriore e impressioni in oro sul dorso con autore e titolo, ad ‘ornamento’ degli scaffali delle biblioteche fisiche cui l’opera era destinata.
Il volume è diviso in due parti: la prima (pp. 1-205) è data dal testo della Divina Commedia che inizia, contro ogni norma e consuetudine tipografica, in pagina pari: questa scelta ha lo scopo di presentare sempre un intero canto in due pagine a fronte.
La seconda parte è data dalle Concordanze (pp. 207-725), cui seguono Lessico alfabetico, Indice delle frequenze in ordine decrescente, Lessico latino e Lessico provenzale, Indice dei nomi propri, Rimario, Indice dei capoversi, Lessico inverso, Indice degli omografi.
Marco Pecoraro, in un articolo pubblicato in Lettere italiane nel 1966, recensisce i due grandi lavori pubblicati nel 1965 sulle Concordanze, quello italiano a cura di Tagliavini e quello della Società Dantesca americana pubblicato dalla Harvard University Press, riconoscendo all’edizione italiana «un carattere prettamente scientifico» che «gioverà senza dubbio agli specialisti che in essa troveranno un ricco materiale – privo per di più di gravi incoerenze o inesattezze – che potrà essere utilizzato, con proficui effetti, per qualsiasi ricerca di carattere linguistico e filologico».
La Biblioteca Mai conserva una copia di quei volumi prodotti dal 7090, che fortunatamente per noi oggi possono ancora essere letti perché ‘fissati sulla carta’ (segnatura: G 4 957).
Il volume proviene dalla biblioteca della Scuola superiore di giornalismo e mezzi audiovisivi, scuola biennale di specializzazione post-laurea, fondata nel 1961 su iniziativa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e con il concorso del Comune di Bergamo, sotto la direzione del prof. Mario Apollonio; la scuola ha avuto sede nel Palazzo Suardi in piazza Vecchia a Bergamo sino al 1967, quando venne trasferita a Milano, dove ancora oggi è in funzione con il nome di Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Della Scuola superiore di giornalismo e mezzi audiovisivi la Biblioteca Angelo Mai conserva anche circa 50 testate di quotidiani nazionali ed esteri con consistenza dagli anni ‘60 agli anni ‘80 del Novecento, oggi depositate in un magazzino esterno e aggregate al patrimonio della Biblioteca alla chiusura della Scuola superiore di Giornalismo e mezzi audiovisivi.