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Apertura straordinaria per Sant’Alessandro

Giovedì 26 agosto è la festa del patrono di Bergamo, Sant’Alessandro. Come avviene da qualche anno, l’Amministrazione comunale coglie l’occasione della ricorrenza per porre l’accento su una virtù: dopo Misericordia, Gratitudine, Coraggio, Speranza, Umiltà, Fraternità, Compassione, è la volta della Fiducia, virtù civica e religiosa mai così necessaria come oggi, dopo quanto accaduto nel mondo intero.

Sono numerose le iniziative organizzate nell’occasione dal Comune di Bergamo, alle quali la Biblioteca Mai partecipa con l’apertura straordinaria del 26 agosto, dalle 10 alle 18, dell’Atrio scamozziano, nel quale è allestita la mostra Fantasia e Sublime di Piranesi. Le Carceri d’invenzione, che potrà essere visitata liberamente.

L’accesso all’Atrio è subordinato al possesso del ‘Green Pass’, per un numero massimo di dieci visitatori in contemporanea.

 

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La Commedia esposta da Alessandro Vellutello

Nel 1544 viene pubblicata la prima edizione della Commedia con l’esposizione di Alessandro Vellutello. Il commento dantesco di Vellutello fu poi riedito, insieme a quello di Cristoforo Landino, a cura di Francesco Sansovino, a Venezia, presso Melchiorre Sessa nel 1564 e poi ristampato nel 1578 e nel 1596.

Nato a Lucca il 13 novembre 1473 – come si ricava dall’atto di battesimo conservato all’Archivio arcivescovile di Lucca – dopo la prima formazione toscana e un passaggio milanese, prima del 1525 Vellutello si stabilisce a Venezia, dove pubblica tutte le sue opere: Le volgari opere del Petrarcha con la espositione di Alessandro Vellutello da Lucca, Venezia, G.A. Nicolini da Sabbio e fratelli, 1525; Publii Vergilii Maronis Bucolica, Georgica, Aeneis cum Servii Probique commentariis ac omnibus lectionum variationibus in antiquis codicibus repertis, in Venetiis, per Alexandrum Vellutellum accuratissime revisi, et emendati, et propriis expensis in aedibus Petri de Nicolinis de Sabbio impressi, 1534 mense Septembri.
Non è nota la data della morte.

La Comedia di Dante Aligieri con la nova espositione di Alessandro Vellutello, Venezia, Francesco Marcolini, 1544 vede la partecipazione finanziaria dell’autore, come documenta la concessione a nome del privilegio per la pubblicazione da parte del Senato veneziano nel novembre del 1543 prima della stipula del contratto editoriale con lo stampatore Francesco Marcolini.
Stampata in 4° (mm 230×156) su 442 pagine in elegante carattere corsivo, l’opera dantesca è racchiusa all’interno del commento in corpo minore. La struttura della Nova esposizione è preceduta, dopo la dedica a papa Paolo III, da una premessa del commentatore ai lettori e da una «Vita e costumi del poeta» sostanzialmente basata sulla biografia dantesca di Leonardo Bruni. Ogni cantica è preceduta da una descrizione topografica, con una ricostruzione minuziosa del viaggio dedotta dai versi della Commedia. Il commento vero e proprio è svolto canto per canto, a porzioni selezionate di testo. Il volume è illustrato da ottantasette xilografie, tre grandi a piena pagina premesse a ciascuna cantica e ottantaquattro vignette più piccole.

Nella premessa Ai lettori Vellutello spiega le finalità e le caratteristiche dell’edizione, affermando che la migliore interpretazione si ha con la spiegazione precisa del significato letterale e allegorico del testo attraverso la stretta interrelazione tra esegesi e filologia. Secondo Vellutello, infatti, senza un testo rigorosamente accertato risulta impossibile esercitare una corretta esegesi. In contrasto con la vulgata dantesca dell’ultimo Quattrocento, Vellutello propone un nuovo testo della Commedia e, soprattutto, un nuovo modo di leggere Dante ponendosi in alternativa anche alla consolidata tradizione del testo a cura di Pietro Bembo per le due edizioni di Aldo Manuzio (1502 e 1515).

Alla filologia bembiana del codex antiquissimus e dunque optimus di Bembo (basata principalmente sul Codice Vat. lat. 3199), Vellutello contrappone un nuovo allestimento del testo della Commedia fondato sulla collazione di diversi testi manoscritti e a stampa, scelti soprattutto in funzione dell’esegesi. La mise en page di Marcolini bene evidenzia questa impostazione attraverso l’utilizzo del corpo maggiore dei caratteri per il testo del poema e del corpo minore per il commento. Quest’ultimo solitamente inizia a destra dei versi per poi espandersi sino alla piena pagina.

L’imponente apparato iconografico è costituito da ottantasette incisioni in legno, comprese due ripetizioni: trentanove sono inserite nell’Inferno, 21 nel Purgatorio e 27 nel Paradiso. A parte le tre xilografie a piena pagina, che precedono ciascuna cantica, le vignette più piccole sono costruite secondo schemi ben riconoscibili: quelle della prima cantica sono caratterizzate dal cerchio, spesso inserito in una cornice quadrata e le scene rappresentate vengono viste dall’alto; nel Purgatorio lo schema base prevalente è un tronco di cono; nel Paradiso torna il cerchio che rappresenta il corpo astrale, circondato da raggi di luce e fiammelle. Queste illustrazioni incontrano il favore dei contemporanei: opera probabilmente del tedesco Johannes Brit o Breit (italianizzato Giovanni Britto), legato a Tiziano e all’Aretino, e che lavorava anche per Marcolini, vedono anch’esse il diretto impegno di Alessandro Vellutello nell’ideazione.

Completamente innovative rispetto alla precedente tradizione iconografica, le illustrazioni non sono una raffigurazione più o meno artistica di scene ispirate al testo, ma rappresentano visivamente, come a continuazione del commento e con costante attenzione alla topografia, il viaggio dantesco, che narrano senza soluzione di continuità. Gli stessi legni vennero utilizzati nelle successive stampe del 1564, 1578 e 1596 delle quali furono editori i Sessa. Dalle tre xilografie a piena pagina derivano inoltre le copie ridotte, attribuite a Pierre Eskrich del Dante lionese del 1551 in 16°, ristampato nel 1552 e nel 1571.

L’esemplare dell’edizione del 1544 di proprietà della Biblioteca Angelo Mai, conservato alla segnatura Cinq. 4. 1420, riporta una nota manoscritta di possesso di Marco Moroni.
Ha una legatura del secolo XVIII, eseguita a Bergamo e uguale ad un altro esemplare coevo bergamasco di questa Biblioteca, in cuoio marrone marmorizzato su cartone, decorato in oro. La cornice a rotella raffigura rami fioriti avvolti attorno ad un’asta. Il dorso a cinque nervi rilevati e senza capitelli decorato da un fiorone centrale entro due bande a torciglione in testa e al piede, riporta nel secondo compartimento, entro un tassello in cuoio rosso, la scritta “VELLUTELLO/COMEDIA/DI DANTE”. Il taglio è rosso, mentre le carte interne sono del genere “caillouté” e bianche.

La comedia di Dante Aligieri [!] con la noua espositione di Alessandro Vellutello. – (Impressa in Vinegia : per Francesco Marcolini ad instantia di Alessandro Vellutello, del mese di gugno [!] 1544). – [442] carte : ill. ; 4º. Corsivo; romano; illustrazioni xilografiche intervallate al testo. – Variante B: a carta V7r integrata una terzina (Dianzi uenimmo inanzi a uoi un poco …).

Delle successive edizioni la Biblioteca Mai conserva un bell’esemplare della copia del 1596 (Cinq. 6. 1095). Dante con l’espositioni di Christoforo Landino et d’Alessandro Vellutello. Sopra la sua Comedia dell’Inferno, del Purgatorio, & del Paradiso, con tauole, argomenti, & allegorie; & riformato, riueduto & ridotto alla sua uera lettura, per Francesco Sansouino fiorentino. – In Venetia : appresso Gio. Battista, & Gio. Bernardo Sessa, fratelli, 1596 (In Venetia : appresso Domenico Nicolini : ad istanza di Gio. Battista, & Gio. Bernardo Sessa, fratelli, 1596) 396 c. : ill. ; fol. ((Marca dei Sessa (U29) a carta 3C8v. – In front. ritratto di Dante in cornice.

Questa edizione della Divina Commedia è scherzosamente denominata “del nasone”, poiché nel frontespizio compare un ritratto del profilo di Dante incoronato d’alloro con un naso molto pronunciato, che riprende la fisionomia del ritratto dantesco di Agnolo Bronzino. Le novantacinque xilografie sono tratte dall’edizione Marcolini del 1544. Al curatore, Francesco Sansovino (1521-1586) si deve il recupero del commento di Alessandro Vellutello, che – a parte una ristampa a Lione nel 1551 – non era stato più pubblicato in Italia. La cinquecentina riporta in carattere corsivo il testo della Commedia e in carattere rotondo, disposto su due colonne, i commenti di Cristoforo Landino e di Alessandro Vellutello ponendo a confronto la lettura quattrocentesca e quella ‘moderna’ del poema dantesco. L’edizione, tratta dalle precedenti di Sessa del 1564 e 1578 sorte nel clima degli anni immediatamente seguenti al Concilio di Trento, venne inserita nell’Index Librorum Expurgandorum, pubblicato a Madrid nel 1614, in ragione di alcuni passi del commento del Landino.

Numerose le riproduzioni digitali dell’edizione 1544 presenti in rete: quella proposta dalla Biblioteca Centrale di Montpellier Méditerranée Métropole in PDF; due esemplari della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (qui il primo, qui il secondo); l’esemplare della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco.

Sempre da Monaco, la riproduzione dell’edizione 1596.

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La Commedia illustrata da Salvador Dalì

Nel 1950, preparandosi a commemorare il settecentesimo anniversario della nascita di Dante Alighieri, il Governo italiano commissiona al grande pittore surrealista catalano Salvador Dalí le illustrazioni dei cento canti della Divina Commedia. L’artista inizia subito a lavorare alla realizzazione di centodue acquarelli destinati ad essere pubblicati dall’Istituto Poligrafico dello Stato: le illustrazioni vengono presentate il 14 maggio 1954 a Palazzo Pallavicini Rospigliosi a Roma, nell’ambito della prima retrospettiva di Salvador Dalí in Italia.

La decisione di affidare ad un artista non italiano le illustrazioni della Divina Commedia è causa di polemiche molto accese sia per i costi sia per la scelta stessa di Dalì: il cambio di governo costituisce l’occasione per affidare ad un pittore italiano l’illustrazione della Commedia e per revocare il contratto tra il pittore catalano e l’Istituto Poligrafico dello Stato. Quest’ultimo aveva già sostenuto le spese per il diritto di riproduzione delle illustrazioni della Divina Commedia mentre, per quanto riguarda gli acquarelli, lo stesso accordo prevedeva che venissero restituiti al pittore dopo quattro anni. Rientratone in possesso, Salvador Dalí li vende nel 1959 all’editore francese Joseph Foret, che li pubblica a Parigi l’anno successivo con il titolo 100 aquarelles pour la Divine Comédie de Dante Alighieri par Salvador Dalí (Joseph Foret, Paris, 1960).

La pubblicazione italiana degli acquarelli avverrà solo nel dicembre 1963: presso la Scuola Grande di San Teodoro di Venezia le case editrici Adriano Salani di Firenze e Arti e Scienze di Roma organizzano una Mostra Internazionale del Libro d’Arte nella quale viene presentata l’edizione italiana della Divina Commedia illustrata da Salvador Dalí. La pubblicazione si deve a Milko Skofic, già proprietario della casa editrice Arti e Scienze che acquista, agli inizi degli anni ‘60, anche la Salani di Firenze.

Ne scaturisce una splendida edizione in sei volumi con tiratura limitata di 3044 copie. Quarantaquattro esemplari vengono impressi dall’Officina Bodoni di Verona su carta di tino del Giappone “Kaji Torinoko”; i restanti 3000 esemplari sono impressi dalla Stamperia Valdonega di Verona su carta a mano dei Fratelli Magnani di Pescia.
Giovanni Nencioni, nella sua premessa all’opera, sottolinea come sia «superfluo segnalare l’importanza dell’incontro tra la Divina Commedia e l’arte di Dalì, e l’impegno con cui il celeberrimo pittore surrealista si è applicato alla illustrazione dell’intero poema, come sarebbe arduo addentrarsi nelle ragioni e nei modi dell’incontro». Invita il lettore a tenere presente che «il contatto del testo di Dante col pennello di Dalì non è stato cogente ma sprigionante e inventivo; non rimpianga dunque la fedeltà che è solito chiedere all’illustrazione subordinata». Le immagini, che si riconducono al suo periodo “classicista”, sono infatti la trasposizione dell’opera dantesca nell’universo visionario del pittore catalano: Dalì nella Commedia ripercorre la sua evoluzione artistica, dal surrealismo dell’Inferno al misticismo del Paradiso, illustrando il testo attraverso il suo personale alfabeto simbolico e distanziandosi da qualsiasi precedente interpretazione figurativa come spiega l’artista:

«Poiché mi domandano la ragione per cui ho abbellito l’inferno con colori chiari rispondo che il romanticismo ha perpetrato l’ignominia di far credere che l’inferno fosse nero come le miniere di carbone di Gustave Dorè dove non si vede niente. Tutto ciò è falso. L’inferno di Dante è rischiarato dal sole e dal miele del Mediterraneo ed è per questo che i terrori delle mie illustrazioni sono analitici e supergelatinosi con il loro coefficiente di viscosità angelica»

A giudizio della critica, Dalì illustra il viaggio di Dante attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso reinterpretando il percorso dantesco in un’ottica psicoanalitica, ponendo al centro di ogni tavola un personaggio o un evento particolarmente significativo del canto. La rappresentazione è onirica e dissacrante: Inferno, Purgatorio e Paradiso emergono sospesi fra sogno e realtà, in un unico capolavoro, in cui all’eleganza del segno si coniuga un uso magistrale del colore. La figurazione è ironica, grottesca ed immaginifica nelle rappresentazioni dell’Inferno e del Purgatorio, mentre delicatissime e celestiali sono le rappresentazioni di Beatrice, come in un immaginario viaggio dell’artista dentro di sé. Il viaggio nell’oltre mondo dantesco è quindi interpretato in chiave metafisica e psicologica, mescolando in maniera magistrale il senso più profondo della Commedia con il senso artistico di Salvador Dalì, che mantiene la sognante atmosfera dantesca aggiungendo ad essa il suo inconfondibile tocco surrealista con le celebri figure molli, le stampelle, i corni di rinoceronte e le ossa volanti.

L’edizione Salani adotta il testo della Società Dantesca Italiana, curato da Giuseppe Vandelli per il centenario del 1921 – e poi da lui costantemente ritoccato – nello stato della decima edizione. Solo in pochi casi (citati) è adottata una lezione che appare decisamente migliore (vedi edizione commentata di Natalino Sapegno) e che tiene conto dei risultati della filologia dantesca aggiornata, in particolare degli studi di Giorgio Petrocchi. Speciale è l’ attenzione posta all’interpunzione e all’uso coerente delle maiuscole e minuscole. Anche l’eliminazione dei segni diacritici concorre a rendere più agevole e meno ambigua la lettura, modificando l’interpretazione o il ritmo. Il testo è impaginato allineato al centro, con rientro a sinistra del primo verso di ogni terzina; il primo verso di ogni canto è in carattere maiuscolo, in corpo maggiore e disposto su due righe, con iniziale colorata di altezza pari a tre righe.

Ogni canto è corredato da un acquarello a piena pagina. Furono necessari cinque anni di lavoro, dal ’60 al ’64 per incidere i 3500 legni ed imprimere in progressiva i 35 colori di ogni tavola; l’opera di incisione delle lastre in legno è stata realizzata dal Maestro Raymond Jacquet sotto la diretta supervisione dell’autore.
Le tavole sono prive di titolo e di citazioni; i riferimenti ai canti sono presenti ne “Le tavole dell’Inferno”, “Le tavole del Purgatorio” e “Le tavole del Paradiso” poste al termine dei volumi.
Il testo è a due colori, rosso per l’Inferno, viola per il Purgatorio e blu per il Paradiso. Ciascun volume è entro brossura con titolo in rosso al piatto anteriore; cartella e custodia in cartonato editoriali a motivi geometrici colorati.

Per la ricostruzione delle complesse vicende di questa edizione del poema dantesco è prezioso il saggio di Ilaria Schiaffini dal titolo La Divina Commedia di Salvador Dalí. Una storia italiana, pubblicato in “Critica del testo” XIV/2, 2011, pp. 643-674.

La Divina Commedia / illustrazioni di Dalì.- [Roma] : Arti e scienze ; [Firenze] : Salani, stampa 1963-1964. – 6 v. : 100 tav. ; 33 cm. – Ed. di 3044 esemplari di cui 44 stampati dall’Officina Bodoni di Verona. Esemplare n. 703. Collocazione: Sala 1 Cass. D 2 8/1-6.

 

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Il Convivio

Dante compone il Convivio presumibilmente fra il 1304 e il 1307 o, al massimo, fra il 1303 e il 1308, in ogni caso durante i primi anni dell’esilio. L’opera è coeva al De vulgari eloquentia ed è rimasta anch’essa incompiuta. La struttura originaria prevedeva un’introduzione generale e la presentazione ed il commento di quattordici canzoni, scritte dal poeta negli anni precedenti: ma il lavoro dell’autore si è interrotto dopo soltanto tre trattati, preceduti da un’introduzione che giustifica, fra l’altro, la scelta della lingua volgare per la trattazione di materie tradizionalmente affidate al latino. Le tre canzoni commentate, scritte dallo stesso Dante, sono: Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete, Amor che nella mente mi ragiona, Le dolci rime d’amor ch’ i’ solia.

Scritta nei primi anni dell’esilio, l’opera contiene una riflessione su quanto accaduto e su come salvare la dignità e la correttezza del proprio agire. Dante si rivolge ad un pubblico nuovo, emergente, diverso da quello accademico. Ecco perché la scelta del volgare. Alla spiegazione letterale segue quella allegorica, morale e anagogica ovvero quell’interpretazione del testo che rimanda a significati altri e superiori.

Il Convivio è componimento misto di versi e prosa, genere già noto nel mondo classico – si pensi, ad esempio al Satyricon di Petronio – e rientra nella tradizione dei commenti poetici, ma è eccezionale la circostanza di un poeta che commenta sé stesso introdotta dallo stesso Dante nella Vita Nuova. Utilizzando un tipo di commento legato all’insegnamento teologico e filosofico-medico in uso nelle università (Bologna, Parigi, Oxford) con inserimento di dubbi e questioni, il ricorso alla parafrasi e alle catene di sillogismi, l’uso dell’allegoria, Dante rivoluziona la tradizione del commento per lemmi, per parole, con riferimenti etimologici e precisazioni grammaticali e sintattiche. Nel quarto libro le considerazioni di carattere cosmologico e fisico lasciano il posto ad una netta prevalenza di tematiche etiche e politiche che danno modo all’autore di accogliere e rielaborare posizioni diverse.

Fondamentale la scelta del volgare come lingua di rango, con tutte le sue potenzialità comunicative, capace di raggiungere e perfino superare il livello del latino. Nel Convivio la similitudine poetica traduce in immagini concetti astrattamente scientifici. Ardita la contaminazione di linguaggi diversi ritrascritti in un registro del tutto nuovo e inimitabile.

Benché i primi commentatori dell’opera si affaccino già in pieno Trecento, la trasmissione del testo non fu né immediata né accurata: dei quaranta manoscritti più antichi pervenuti, solo due risalgono al secondo o al terzo quarto del Trecento, mentre gli altri sono tutti databili dalla fine del Trecento alla metà del Quattrocento. Tutti sono lacunosi e corrotti per quanto discendenti da un unico archetipo anch’esso evidentemente di cattiva qualità.

Numerose le edizioni del Convivio, antiche e moderne, possedute dalla Biblioteca Angelo Mai. La più antica posseduta, quella veneziana del 1529 per l’editore Niccolò Zoppino (segnatura: Cinq.1.762) che si rifà all’editio princeps del 1490, è caratterizzata da un frontespizio xilografico nel quale una cornice riccamente decorata racchiude al centro l’effige di Dante, visto di profilo, e il titolo L’amoroso Convivio di Dante, con la additione, & molti suoi notandi, accuratamente revisto & emendato. MDXXIX. Segue un ricco indice degli argomenti trattati. L’esemplare è legato con la Physionomia del matematico, filosofo e studioso scozzese Michael Scot pubblicata l’anno successivo, in una coperta in cartone rivestito di pergamena.

La Biblioteca possiede anche l’edizione veneziana del 1531, con lo stesso titolo, per l’editore Melchiorre Sessa (segnatura: Cinq.1.1979). La marca tipografica di quest’ultima, posta al termine del volume, raffigura un gatto con un topo in bocca, in un cerchio sormontato da corona e le iniziali «M» «S». La stessa raffigurazione è presente anche nella cornice xilografica che adorna il frontespizio caratterizzata da elementi fitomorfi, zoomorfi e antropomorfi. L’esemplare ha una coperta in pergamena floscia. Al taglio inferiore è stata impressa a mano con inchiostro l’indicazione «Convito di Dante».

E’ anche presente un esemplare di quella che è considerata la prima edizione moderna dell’opera: si tratta di un’edizione veneziana pubblicata nel 1741 da Giambattista Pasquali che recita Delle opere di Dante Alighieri. Tomo I contenente il Convito, e le Pistole, con le Annotazioni del Dottore Anton Maria Biscioni fiorentino (segnatura: Sala 3 I 5.19). Nella lettera ai lettori si avvisa che le opere contenute nel volume «si sono prese da’ miglior fonti; cioè dalle più accreditate impressioni». La prima pagina dell’opera riprende l’indicazione di autore e titolo preceduta da un elemento decorativo. La prima iniziale del testo è decorata.

Venendo a tempi più recenti, segnaliamo un’elegante edizione critica del Convivio uscita a Firenze per l’editore G. Barbèra nel 1919 (preceduta nel 1917 da un’edizione speciale in 100 esemplari, in formato più piccolo; la Biblioteca possiede la seconda edizione riveduta e corretta del 1921, segnatura: Morali 1193). Dopo l’occhietto, l’antiporta riproduce, in una fotografia in bianco e nero dei fratelli Alinari, il celebre ritratto di Dante a figura intera, dipinto da Domenico di Michelino conservato nella cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze. Il volume, grazie all’utilizzo di un carattere piuttosto minuto e alla disposizione del testo su due colonne, riesce a contenere tutte le principali opere di Dante, compresa la Divina Commedia. Il frontespizio, oltre a presentare la marca tipografica, caratterizzata da una rosa sormontata dalla scritta «non bramo altr’esca», promette «un copiosissimo indice del contenuto». Si tratta di un indice generale, piuttosto articolato, dei nomi di persone, luoghi e cose per tutte le opere contenute nel volume. E’ il frutto del lavoro di due eminenti dantisti dell’epoca: Arnaldo della Torre e Ernesto Giacomo Parodi. Pregevole la coperta rigida telata con incisione dorata della marca tipografica al piatto anteriore e ripresa del titolo e altri elementi decorativi sul dorso. Il colore avorio della coperta contrasta con i tagli colorati in rosso.

Tra le numerose riproduzioni digitali delle opere presentate segnaliamo alcuni esemplari: L’amoroso convivio del 1529 e del 1531 presso la Österreichische Nationalbibliothek di Vienna; Delle opere di Dante Alighieri, 1741, presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco; l’edizione Barbèra del 1919 è disponibile in Internet Archive grazie all’Università di Toronto.

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Il ‘Green pass’ per le biblioteche

In ottemperanza alle disposizioni governative (D.L. n. 105 del 23 luglio 2021), da venerdì 6 agosto 2021 per accedere alla Biblioteca è necessario esibire una certificazione verde COVID-19 (‘Green Pass’) unitamente a un documento di riconoscimento.
Sono esentati dall’esibizione i minori di anni 12.
In mancanza di regolare documentazione, l’accesso non sarà consentito.

Restano invariate le altre modalità di fruizione dei servizi della Biblioteca, come indicato nella pagina dedicata sul nostro sito.

Per maggiori informazioni sul ‘Green Pass’, è possibile consultare l’apposito sito del Governo.

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La Commedia illustrata da Gustave Doré

«Gustave Doré rimane per molti il più illustre degli illustratori, e alcune sue illustrazioni della Bibbia o dell’Inferno di Dante resteranno per sempre impresse nella memoria collettiva. Forte di una straordinaria diffusione sia in vita che dopo la morte, in Europa come negli Stati Uniti, Doré è stato uno dei maggiori diffusori della cultura europea attraverso le illustrazioni dei grandi classici (Dante, Rabelais, Cervantes, La Fontaine, Milton…), ma anche di autori a lui contemporanei (Balzac, Gautier, Poe, Coleridge, Tennyson…) … Oltre ad occupare un posto di primo piano nella cultura visiva del XIX secolo, egli segna l’immaginario del XX e quello di inizio XXI, tanto nel fumetto, di cui è considerato uno dei padri fondatori, quanto nel campo cinematografico. Come nessun altro artista del suo secolo, Doré adopera le tecniche più disparate per mostrare attraverso il filtro del suo “occhio visionario” lo spettacolo ricco e pullulante della poesia frutto della sua immaginazione, come alla perenne ricerca di nuovi confini» (da Gustave Doré (1832-1883). La fantasia al potere, Musee d’Orsay 18 febbraio – 11 maggio 2014).

Le illustrazioni di Gustave Doré e la Divina Commedia sono diventate così intimamente connesse che ancora oggi, a più di 160 anni dalla loro prima pubblicazione, la resa del testo dantesco di Doré determina la nostra visione della Commedia.
Progettate nel 1855, le illustrazioni della Commedia, nelle intenzioni di Doré, avrebbero inaugurato una serie editoriale di “capolavori della letteratura” dei più grandi autori (Omero, Byron, Goethe, Racine, Corneille…). La scelta di aprire la serie con la Commedia riflette la popolarità di Dante nella cultura francese di metà Ottocento. Sino a tutto il Settecento, l’interesse della Francia per Dante è principalmente rivolto alla figura del poeta e si limita per la sua opera agli episodi di Paolo e Francesca (Inferno, canto V) e Ugolino (Inferno, canto XXXIII). Dal XIX secolo si assiste alla crescita della fortuna dell’opera dantesca con numerose traduzioni in francese della Commedia, studi critici, la nascita di giornali e riviste specializzate e oltre duecento opere di pittura e scultura a tema dantesco realizzate tra il 1800 e il 1930.

Nonostante il crescente interesse per il poema, Doré inizialmente non trova editori disposti a sostenere le spese di produzione della costosa edizione in-folio progettata: sarà dunque lo stesso artista a finanziare la pubblicazione del primo libro della serie, Inferno, stampata nel 1861 da Hachette. Il volume dell’Inferno ha subito un grande successo: «a partire dall’inverno 1860-1861 Gustave Doré invase la scena parigina con Dante» (Philippe Kaenel), la tiratura è presto esaurita e già l’anno successivo gli editori europei e statunitensi fanno a gara per assicurarsi i diritti. Diventa quindi naturale pensare di completare l’opera con le illustrazioni delle altre due cantiche della Commedia: nel 1868 Hachette pubblica il Purgatorio e il Paradiso e l’opera completa è illustrata da 135 tavole e dal ritratto di Dante nell’antiporta.

Doré sceglie di illustrare la Commedia, lasciandosi guidare essenzialmente dal proprio estro, attraverso gli episodi che più accendessero la fantasia, sua e dei lettori. Si spiegano così per l’Inferno, al quale sono in media dedicate più di due tavole per canto, il grande spazio per gli episodi di Paolo e Francesca e del conte Ugolino, o l’onore di una incisione per personaggi minimi come Taide (Inferno, canto XVIII) e Mirra (Inferno, canto XXX). Per la stessa ragione si comprendono vuoti che ci appaiono sorprendenti: Virgilio mostra a Dante le fiammelle dei consiglieri fraudolenti, ma Ulisse è assente; una sola tavola è riservata a Farinata degli Uberti, che occulta totalmente Cavalcante Cavalcanti. Non mancano infine “tradimenti” al testo a vantaggio dell’efficacia della rappresentazione (il Minotauro è rappresentato con corpo umano e testa di toro; Gerione ha ali di drago che non si trovano nella Commedia; Lucifero ha una faccia sola e non le tre che dovrebbero essere intente a divorare Giuda, Bruto e Cassio).

I settantasei disegni dell’Inferno, primo saggio d’interpretazione dantesca, affermano definitivamente la vocazione di Doré come illustratore capace di divulgare l’opera di Dante (ma anche altri poemi) attraverso un’interpretazione grafica d’immediata suggestione.
Le tavole, in bianco e nero, della Commedia sono unanimemente considerate dalla critica un perfetto connubio tra l’abilità di Doré e la vivida immaginazione visiva di Dante. Lo scrittore ed amico Théophile Gautier, recensendo l’edizione del 1861 dichiara che «nessun artista avrebbe potuto illustrare Dante meglio di Doré. Oltre al talento composito e grafico… possiede occhio visionario di cui parla il poeta, capace di svelare l’aspetto segreto e singolare della natura. Riconosce nelle cose il lato bizzarro, fantastico e misterioso… La sua matita vertiginosa […] crea quelle impercettibili deviazioni che conferiscono all’uomo l’aspetto spaventoso dello spettro, all’albero sembianze umane, alle radici il contorcimento dei serpenti, alle piante le biforcazioni inquietanti della mandragora, alle nubi forme ambigue e cangianti… con lui la foresta formicola di occhi fosforescenti che vi osservano… nelle sue pirotecniche architetture mescola Ann Radcliffe e Piranesi […] questi disegni sono composizioni così ampie e ricche da trasformarsi senza difficoltà in quadri storici».

Nel 1868 l’editore milanese Edoardo Sonzogno, nel pieno rilancio dell’attività editoriale familiare rilevata sette anni prima, pubblica la prima edizione italiana della Divina Commedia illustrata da Gustave Doré.

L’opera, un volume in tre parti, presenta un’introduzione sulla vita e le opere di Dante ed è corredata da 135 incisioni a piena pagina (75 per l’Inferno, 42 per il Purgatorio e 18 per il Paradiso) e da antiporta al primo volume con ritratto di Dante illustrato da Gustave Doré; il testo è disposto su due colonne ed è completato da note «tratte dai migliori interpreti antichi e moderni» a cura di Eugenio Camerini. La copertina è in cartonato, con il solo nome dell’autore stampato a caratteri cubitali in nero e oro su fondo fucsia e contornato da una cornice con elementi geometrici.

 

La biblioteca possiede un’altra edizione Sonzogno, pubblicata nel 1937 nella collana Biblioteca Classica illustrata: l’esemplare presenta identico contenuto rispetto all’edizione ottocentesca ma con numerazione e formato diversi; è inoltre priva dell’introduzione e delle veline a protezione delle tavole e il ritratto di Dante è posizionato all’inizio della cantica del Paradiso. La copertina è in finta pergamena con unghiature e lacci rossi, decorata con filetti, gigli fiorentini e ritratto di Dante in tondo dorati; il titolo è in inchiostro nero con iniziali in nero, rosso e oro, sia in copertina che sul dorso.

L’edizione Sonzogno ha avuto una enorme diffusione (è stata pubblicata sino al 1942) anche grazie alla scelta di essere venduta in edicola a fascicoli, così da poter raggiungere un numero nettamente superiore di lettori rispetto a quanti avrebbero potuto acquistare l’opera nella costosa versione in volume.
Le immagini di Doré entrano in questo modo nell’immaginario collettivo del pubblico italiano anche grazie alla pubblicazione delle sole tavole sia su carta, in collane popolari quali Oscar Mondadori, sia online.

Piace infine segnalare, e non solo come semplice curiosità, come nell’Italia ottocentesca in cui molti patrioti e intellettuali, animati dall’esigenza della definizione di un’identità italiana, fanno riferimento a “precursori” come Dante, Petrarca e Machiavelli, Giuseppe Garibaldi conservi nella sua biblioteca di Caprera anche la «famosa edizione della Divina Commedia illustrata da Gustavo Doré per la Sonzogno nel 1869».

La Divina Commedia / di Dante Alighieri ; illustrata da Gustavo Doré e dichiarata con note tratte dai migliori commenti per cura di Eugenio Camerini.- Milano : Sonzogno, 1868. – 3 v. ; 43 cm. – ((Antiporta con ritratto di Dante Alighieri. – Testo su due colonne. – 3 parti in un volume in-folio, ognuna con proprio frontespizio. – In antiporta al primo volume ritratto di Dante illustrato dal Doré; complessivamente, 135 incisioni a piena pagina fuori testo, tutte protette da velina. Collocazione: Salone P 10 13

La Divina Commedia / Dante Alighieri ; illustrata da Gustavo Doré e dichiarata con note tratte dai migliori commenti per cura di Eugenio Camerini. – Milano : Sonzogno, stampa 1937. – 679 p. : ill. ; 33 cm. Collocazione: Sala 21 G 5 57

Guarda le illustrazioni di Gustave Doré per la Divina Commedia sul sito della Fondazione Alinari per la fotografia.

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Il Compendio della Commedia del 1696

Nonostante la forte presenza dantesca nella letteratura e nella cultura italiana, dall’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto alle Rime di Torquato Tasso che affermava di averlo preso a modello della Gerusalemme liberata, sino al manifesto interesse di Galileo Galilei incaricato nel 1588 dalla Accademia Fiorentina di risolvere una controversia intorno alla forma dell’Inferno, nel Seicento la fortuna editoriale di Dante è scarsissima.

Durante tutto il XVII secolo vengono pubblicate soltanto tre edizioni della Divina Commedia (a fronte delle trentasei stampe cinquecentesche e delle trentadue settecentesche) di qualità editoriale modesta. Tuttavia il dato non conferma, secondo un recente studio di Marco Arnaudo, Dante barocco, la supposta scarsa circolazione del poema, sia perché nel corso del Seicento hanno grande diffusione una serie di opere propedeutiche e complementari alla comprensione della Commedia – Dante si studiava ampiamente a Padova e a Firenze – sia perché la abbondante circolazione cinquecentesca aveva in qualche modo saturato il mercato editoriale. I lettori del Seicento non solo dispongono delle edizioni integrali della Commedia ma accedono ad opere di consultazione che si possono definire ‘para-edizioni’, come rimari e compendi.

In questo ambito si colloca l’edizione albrizziana del 1696 curata da Giovanni Palazzi. Su Giovanni Palazzi (Venezia, 1640 circa -1703) non esiste a tutt’oggi uno studio specifico: uomo di Chiesa, letterato, storico e incisore fu corrispondente con molti intellettuali del suo tempo (Gregorio Leti, Antonio Magliabechi, Girolamo Albrizzi, Michele Cicogna, Apostolo Zeno); pievano di Santa Maria Mater Domini a Venezia, consigliere imperiale, docente di diritto canonico all’Università di Padova, fondatore dell’Accademia Istorica e Teologica, editore-calcografo, prolifico letterato, autore di diversi libri dei quali cura in prima persona anche il corredo iconografico anche grazie agli speciali rapporti di collaborazione con i maggiori tipografi di Venezia.

Il Compendio in prosa della Commedia, basato sulle edizioni commentate da Cristoforo Landino e Alessandro Vellutello, è una tra le edizioni più ricche di xilografie. L’opera è illustrata da ottantanove legni tratti dall’edizione della Commedia stampata da Francesco Marcolini con commento del Vellutello apparsa a Venezia nel 1544: tre immagini a piena pagina e ottantaquattro su un terzo o mezza pagina, attribuite allo stesso Marcolini, ottimo disegnatore amico di Tiziano e Sansovino. Le matrici di legno, conservate per quasi centocinquant’anni vengono acquisite da Girolamo Albrizzi, iniziatore a Venezia, negli ultimi decenni del secolo XVII, della rinomata azienda tipografico-editoriale degli Albrizzi, che decide di riutilizzarle come commento figurato all’opera di Palazzi.

Di questa rara opera, la Biblioteca Angelo Mai conserva due esemplari. Il volume con segnatura Salone O 2 15, integro e completo di ogni pagina con tutte le illustrazioni in bianco e nero, proviene dal legato dei sacerdoti ed eruditi bergamaschi Carlo e Giuseppe Bravi, giunto nel 1865 e forte di oltre 2700 opere. Oltre al timbro del legato Bravi sul frontespizio del volume è presente una nota di possesso manoscritta: «ex libris P. Ioanni Dominici Rogeri» che corrisponde a quella riscontrata sul manoscritto MA 156 della Biblioteca Mai che Francesco Lo Monaco ipotizza sia il domenicano Giovanni Domenico Roggeri (1766-1846).

Il secondo esemplare della Mai, collocato alla segnatura Cassapanca 5 G 1 22, risulta purtroppo mutilo del frontespizio, sostituito da una nota manoscritta dal bibliotecario che evidenzia i dati editoriali del volume, e delle due pagine finali. Si distingue però per una gradevole coloritura a mano delle tavole e delle vignette e per la presenza all’ultima carta di uno stemma gentilizio disegnato e colorito a mano con torre e tre stelle sormontato dalla scritta «Stemma gentilizio Girò».

Leggi la copia digitalizzata del Compendio (non colorato) conservato dalla biblioteca del British Museum. 

Compendio della Comedia di Dante Alighieri, Diuisa in tre Parti. Inferno, Purgatorio, Paradiso per la filosofia morale, adornata con bellissime Figure, e Geroglifici. Consagrata Al Nobilissimo Praeclariss. Sig. Sig. Padrone Colendiss. Reuerendiss. Alberto Abbate di S. Paolo Monastero Frà Benedettini il Grande, Consigliero secreto degli Eccelsi Principi, Arciuescouo di Saltzburgh, e Vescouo di Bamberga, Arcidiacono di S. Lorenzo nell’Eremo, e Machling, deputato al Consiglio Supremo degli Ordini della Carinthia. Venezia, Girolamo Albrizzi, 1696.

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I disegni di William Blake per la Commedia

Il «massimo monumento iconografico dantesco dell’età moderna»: così sono stati definiti i disegni per la Divina Commedia di William Blake dal critico d’arte Fortunato Bellonzi.

Poeta, pittore ed incisore, Blake (1757-1827) fu un «utopista socialrivoluzionario, mistico esoterico e profeta visionario» (Sebastian Schutze): considerato eccentrico in vita, ottenne gloria postuma grazie alla sua concezione dell’arte come perenne ricerca dell’immaginario, del sovrannaturale e del mistico, alternativa alla ragione dominante nel periodo illuminista. Icona dei romantici, per Blake l’artista ha il compito di risvegliare nell’umanità il ricordo della propria condizione ‘divina’, perduta dopo la cacciata dall’Eden: fine dell’arte è quindi la riconquista del Paradiso, inteso non come oltremondo ‘fisico’ ma come spazio interiore del quale l’uomo può riappropriarsi grazie all’immaginazione. La ricerca della spiritualità perduta è un elemento che accomuna l’artista inglese a Dante Alighieri, il cui poema è considerato da secoli una profezia che, toccando problemi fondamentali per l’uomo, ha come fine ultimo il suo rinnovamento spirituale.

Commissionati nel 1824 dal pittore e naturalista John Linnell, suo amico e fervente ammiratore della sua opera, i disegni occuparono instancabilmente Blake fino alla morte, avvenuta tre anni dopo: impressionato dal potenziale espressivo della Commedia, accettò il compito con entusiasmo, al punto che diversi contemporanei parlano del suo sforzo di imparare in poco tempo l’italiano e leggere il poema in lingua originale. In realtà non era la prima volta che Blake si approcciava alla Commedia: negli anni Ottanta del Settecento aveva realizzato un’incisione ispirata al canto del Conte Ugolino, tradotto in lingua inglese sulla scia dell’interesse per le tendenze ‘gotiche’ dell’Alighieri, apprezzate in ambito letterario ed artistico.

Si suppone che Blake per le sue illustrazioni abbia usato come testo di riferimento la prima vera traduzione integrale in inglese della Commedia ad opera di Francis Cary: pubblicata nel 1814, contribuì al successo di Dante presso il pubblico inglese grazie alla resa filologica e stilistica del testo in chiave visionaria, in perfetta sintonia con la cultura romantica dell’epoca (evidente già dal titolo The Vision, or Hell, Purgatory and Paradise of Dante Alighieri). La versione in italiano letta da Blake potrebbe invece essere un’edizione in-folio del 1564 pubblicata a Venezia dai fratelli Sessa e commentata da Alessandro Vellutello: il testo è corredato da 87 xilografie, commissionati dallo stesso Vellutello, a cui Blake sembra essersi chiaramente ispirato nella costruzione della struttura dei tre regni ultraterreni (Dante con l’espositione di Christoforo Landino, et di Alessandro Vellutello, sopra la sua Comedia dell’Inferno, del Purgatorio, & del Paradiso… , In Venetia, appresso Giouambattista, Marchiò Sessa, & fratelli, 1564).

Le illustrazioni commentano ed interpretano il poema alla luce della poetica creativa e visionaria di Blake: non sono un’immagine fedele dell’oltretomba dantesco ma un autonomo atto creativo, illustrazioni che dialogano con il testo mettendone in discussione i fondamenti politici, teologici e poetici. Blake vuole restituire al poema una dimensione universale e trascendente, che secondo il suo pensiero Dante ha spesso ‘tradito’ con l’inserimento di elementi mondani e politici contingenti alla situazione dell’epoca. Molte le critiche, poste ai margini nelle illustrazioni non completate, che il poeta-pittore rivolge all’Alighieri: Blake rinnega il ruolo della cultura classica – tanto cara a Dante – come fonte ispiratrice di un poema ‘profetico’, sostenendo che solo la Bibbia possa avere questo ruolo in quanto unica depositaria dell’ispirazione divina; ritiene il concetto di Inferno, con le sue punizioni legate alla legge del contrappasso, in contraddizione con la misericordia di Dio (nonostante la maggior parte delle tavole illustrino proprio la prima Cantica); considera la Commedia un’opera ispirata da una visione materialistica dell’Universo in cui l’arte imita la Natura, mentre per Blake l’arte è immaginazione e ricerca della Reminiscenza, la perfetta conoscenza che si acquisisce quando l’anima trova in sé la verità di cui è da sempre in possesso. Ma nonostante le critiche Blake ama appassionatamente Dante, con cui ha in comune il concetto di poesia come profezia: adora il suo essere visionario e si fa coinvolgere dall’espressività figurativa della Commedia al punto da farsi assorbire pienamente nel lavoro e farlo sembrare agli amici in visita negli ultimi giorni di vita «un Michelangelo morente», la cui tensione vitale aveva come unico scopo quello di completare i disegni.

Le 102 illustrazioni (72 tavole ispirate all’Inferno, 20 al Purgatorio e 10 al Paradiso) sono state realizzate in tre passaggi: disegno a matita, coloritura ad acquarello in più mani e in ultimo ritocchi a penna per delineare e sottolineare i contorni. Solo sette illustrazioni verranno incise, con una tecnica innovativa, elaborata da Blake, chiamata acquaforte a rilievo: metodo inverso a quello tradizionale, consentiva di incidere sia testo che illustrazione su un’unica lastra; il disegno così ottenuto veniva poi colorato a mano, creando esemplari unici.
Nonostante critichi i modelli classici, in Blake sono evidenti echi di influenze soprattutto michelangiolesche nella raffigurazione di tipi umani universali, senza caratteri distintivi: originale è invece la gestualità dei personaggi, evidente nella raffigurazione dei dannati dell’Inferno, ispirati ai modelli teatrali prevalenti nella sua epoca. Innovativo è anche l’uso della luce e del colore, strumenti espressivi grazie ai quali riesce a rendere le qualità atmosferiche dei tre regni, passando dal canone drammatico dell’Inferno ai toni sfumati dei chiarori lunari e delle aurore del Purgatorio fino alla luce eterea del Paradiso.

Dopo la morte di Blake, le 102 illustrazioni – rimaste a diversi stadi di completezza – finiscono divise in sette diverse istituzioni del Commonwealth.
Nel 2014 l’editore Taschen di Colonia pubblica tutte le 102 tavole in un volume corredato da due saggi, di Maria Antonietta Terzoli, docente di letteratura italiana all’Università di Basilea, sul mondo ultraterreno dantesco, e di Sebastian Schutze, professore di Storia dell’arte moderna all’Università di Vienna, sulle differenze e analogie tra questi due maestri del «visibile parlare». Segue il catalogo dei disegni (di cui dieci in formato paesaggio) e delle incisioni. Ogni illustrazione è corredata da una scheda, introdotta da una terzina in colore rosso tratta del canto cui si riferisce (citazioni da Dante Alighieri, Le opere, a cura di Giorgio Petrocchi, edite dalla Società Dantesca Italiana nel 2004), con il titolo attribuito alla tavola, la descrizione della tecnica e le misure, e il museo ove ora è conservata; chiude il testo un breve riassunto del canto.
La rappresentazione grafica dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso è resa con tre tavole datate 2011 e realizzate da Ruth Gesser, provenienti da una collezione privata.
Il volume è pubblicato contemporaneamente in cinque lingue (italiano, tedesco, inglese, francese, spagnolo) aumentandone a dismisura la carica di diffusione e circolazione.

Per chi vuole divertirsi e continuare a sfogliare… può confrontare le tavole disegnate da William Blake con le illustrazioni di Gustave Dorè.

William Blake. I disegni per la Divina Commedia di Dante / Sebastian Schutze, Maria Antonietta Terzoli ; directed and produced by Benedikt Taschen . – Colonia : Taschen, 2014 . – 323 p. : in gran parte ill. ; 40 cm ((Carte di tav. ripiegate incluse nella numerazione. Collocazione: G 5 826.

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Novità nei servizi della Biblioteca

Dal 19 luglio e fino al 27 agosto, tradizionale periodo di applicazione dell’orario estivo, si realizzano alcuni importanti ampliamenti nei servizi della Biblioteca:

Accesso

L’Atrio scamozziano rimarrà sempre aperto con l’attuale orario continuato, dal lunedì al venerdì, dalle 8.45 alle 17.30, per consentire la visita alla mostra Fantasia e sublime di Piranesi. Le Carceri d’invenzione.

Viene ripristinato l’accesso su prenotazione alla Sala periodici, per due presenze giornaliere, che vanno ad aggiungersi alle otto del Salone.

Le otto postazioni del Salone Furietti e le due aggiuntive di Sala periodici potranno essere occupate ad esaurimento anche senza prenotazione: basterà rivolgersi alla reception per sapere se vi sono posti liberi per la giornata, ritirare la chiave dell’armadietto e raggiungere il tavolo assegnato.

Non è consentito spostarsi dal Salone Furietti alla Sala periodici e viceversa.

Prestiti e restituzioni

Il ritiro dei libri prenotati e la restituzione dei libri in prestito rimangono attivi per tutto l’orario di apertura dell’Atrio scamozziano (8.45-17.30).

Consultazione

Viene aumentato a 6 il numero massimo di pezzi consultabili su prenotazione nella giornata, con il limite di tre pezzi per ogni tipologia di scheda (rosa per materiali antichi, archivi, iconografie, ecc.; bianche per opere moderne; azzurre per periodici). Rimane sempre preclusa la possibilità di richiedere al momento il prelievo dei materiali conservati nei depositi.

Coloro che accedono ai tavoli, potranno consultare liberamente i libri esposti nel Salone Furietti o le riviste esposte in Sala periodici (eccetto i quotidiani), per un massimo di 3 pezzi ad utente, in aggiunta a quelli prenotati. I materiali asportati dagli scaffali, al termine della consultazione, dovranno essere lasciati sul tavolo assegnato per essere posti in quarantena.

Tutte le altre norme previste per la sicurezza restano invariate, inclusa l’inibizione all’accesso ai servizi igienici della Biblioteca.

Informazioni esaustive e dettagliate sulla pagina dedicata del sito.

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La prima edizione italiana della Monarchia

La Biblioteca Mai conserva un esemplare della prima edizione italiana dell’opera Monarchia: si tratta di un’elegante e illustrata edizione veneziana del 1758 per l’editore Antonio Zatta. La Monarchia è inserita nella seconda parte del quarto tomo di un’edizione dedicata all’opera omnia del sommo letterato con il titolo Prose, e rime liriche edite ed inedite di Dante Alighieri, con copiose ed erudite aggiunte. Tomo quarto. Parte seconda, In Venezia, appresso Antonio Zatta, 1758.

Come noto, la pubblicazione di Monarchia inclusa nell’edizione dell’Opera omnia di Dante dell’editore veneziano Pasquali (1739-41) riporta in frontespizio le false indicazioni: Dantis Aligherii florentini Monarchia, Coloniae Allobrogum, apud Henr. Albert. Gosse & Soc., 1740. Colpisce la data piuttosto tarda per una prima edizione italiana di un’importante testo dantesco conosciuto e dibattuto dagli intellettuali già dagli anni Venti del Trecento: Dante scrisse infatti quest’opera in un periodo non ben precisato ma collocabile tra gli ultimi anni del Duecento e la sua morte.

La Monarchia affronta temi di filosofia politica riallacciandosi a riflessioni già precedentemente espresse nel Convivio. Dante dedica i tre libri nei quali è suddivisa l’opera ad altrettante questioni. La prima è se la monarchia sia necessaria per la migliore condizione del mondo; la seconda se sia uno stato di diritto il fatto che il popolo romano attribuì a se stesso il compito di monarca; la terza se l’autorità del monarca derivi direttamente da Dio o sia mediata da un ministro o vicario di Dio. Alle prime due questioni la risposta è affermativa: la monarchia è necessaria alla migliore condizione del mondo; il popolo romano attribuì a sé con diritto l’impero. La terza questione è risolta a favore della prima alternativa: l’autorità del monarca deriva direttamente da Dio, e non vi è alcun altro soggetto che sia intermediario (e in particolare non lo è il pontefice).
Dante intende dimostrare che la monarchia universale è il miglior ordine politico per l’intero genere umano, il cui fine, voluto da Dio e conforme al disegno della natura, è quello di raggiungere la realizzazione completa delle sue potenzialità conoscitive e condizione necessaria perché ciò avvenga è che il genere umano si trovi unito in pace e libertà. Ciò che avviene tra gli uomini è conforme al diritto quando coincide con la volontà di Dio. Allo scopo di mostrare che l’autorità del monarca universale deriva direttamente da Dio, si assume che Dio non vuole ciò che è contrario al disegno complessivo della natura. Dante si interroga sulle caratteristiche fondamentali della natura umana ponendosi su un piano filosofico morale prima ancora che politico.

L’editio princeps, ovvero la prima edizione assoluta dell’opera, uscì nel 1559 a Basilea a cura di Johannes Herbst col titolo De monarchia, poi rimasto nella tradizione fino al Novecento. Si tratta di un’edizione importante perché, ci dicono gli studiosi moderni, basata su una fonte manoscritta antica diversa dai 21 manoscritti trecenteschi che riportano l’opera oggi accreditati con valore filologico.
Come si spiega l’assenza di edizioni italiane per i successivi due secoli?

La Monarchia di Dante trattando questioni ‘scottanti’ in relazione al potere spirituale e temporale è stata inserita negli indici dei libri proibiti (cioè di libri che non si potevano leggere e neppure possedere) pubblicati dalla Chiesa di Roma nel corso della seconda metà del Cinquecento a partire da quello di Venezia del 1554 cui seguirono quelli del Sant’Offizio del 1559, 1564 (Indice del Concilio di Trento), 1590 e 1593 ai quali dobbiamo aggiungere quello di Parma del 1580.

L’edizione veneziana del 1758, oltre ad essere di assai pregevole fattura (per la mise en page, la scelta dei caratteri, la qualità della carta, l’apparato decorativo) esplicita anche le fonti di riferimento e il necessario confronto fra di esse a testimonianza di un precoce intento filologico: nell’introduzione si fa riferimento infatti ad una sua edizione comparsa in una vasta opera del filologo, giurista, storico e traduttore tedesco Simon Schard intitolata Syntagma tractatuum De imperiali iurisdictione, authoritate et præeminentia, ac potestate ecclesiastica […] citata in un’edizione postuma di Strasburgo del 1609, ma in realtà già pubblicata a Basilea nel 1566, messa a confronto con un altro antico manoscritto non meglio precisato «in hac nostra locupleti Editione desiderari non sivissemus, auctum non paucis ex antiquissimo perinsigni Codice variantibus lectionibus».

L’edizione è impreziosita da pregevoli incisioni calcografiche talvolta anche a piena pagina come accade con la scena d’insieme scelta per l’antiporta al piede della quale campeggia una terzina tratta dal capitolo diciassettesimo del Paradiso: «Le sue magnificenze conosciute/ saranno ancora sì che i suoi nimici/ non le potran tener le lingue mute» che è un elogio all’imperatore Enrico VII che discese in Italia nel 1311 prima favorito, poi osteggiato dal papa.

L’esemplare della Biblioteca Angelo Mai (segnatura Sala 24 B 8 19/5) si presenta con legatura dell’epoca in cartone ricoperto da un’elegante carta marmorizzata. Il dorso è caratterizzato da doratura in corrispondenza dei nervi in rilievo e dall’enunciazione sommaria di autore, titolo generale della raccolta e indicazione del numero di tomo e volume.