biblioteca_mai Nessun commento

La Divina Commedia illustrata da Sandro Botticelli

In occasione del settimo centenario della nascita di Dante, la casa editrice Canesi pubblica nel 1965 una edizione numerata di 2000 copie che riproduce i novantadue fogli superstiti di pergamena contenenti i disegni della Commedia realizzati da Sandro Botticelli. Il nucleo, smembrato sin dal diciassettesimo secolo, è oggi conservato in due corpi distinti: uno al Kupferstichkabinett di Berlino l’altro alla Biblioteca Apostolica Vaticana.

L’edizione Canesi, benché finalizzata alla riproduzione dei disegni botticelliani, non è una edizione facsimilare. L’editore dichiara: «Qui si riproduce la Divina Commedia secondo la lezione stabilita da Giuseppe Vandelli per la Società Dantesca italiana in occasione del sesto centenario della morte del poeta (Le opere di Dante, Firenze, 1921) e riconfermata dallo stesso critico (Firenze, 1927). Questa edizione, che si può considerare ai nostri giorni come la “vulgata”, è stata migliorata dagli interventi di Mario Casella (Zanichelli, Bologna, 1923) e convalidata nelle successive ristampe, tra cui quella di N. Zingarelli, Bergamo, 1934».

Il volume è inserito in un cofanetto editoriale in cartonato telato con margini in pelle e titolo impresso in oro a un margine ed è rilegato in tutta pelle con titolo impresso in oro al dorso con nervature; il piatto anteriore presenta illustrazioni in bianco e nero su tela. Il testo è disposto su tre colonne, con la prima lettera del canto miniata nei colori nero e rosso e un dettaglio tratto dai disegni botticelliani impresso a chiusura.

Che il focus della edizione siano i disegni di Botticelli è provato dall’attenzione all’apparato critico, con la “storia dei disegni” affidata al bibliotecario della Apostolica Vaticana Lamberto Donati e il “commento alle tavole” al pittore e critico d’arte Virgilio Guzzi.

 

I disegni che illustrano la Divina Commedia sono tra le opere meno conosciute di Sandro Botticelli. Commissionati da Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici detto il Popolano, cugino di Lorenzo il Magnifico – al cui mecenatismo si devono alcune tra le opere più conosciute del pittore fiorentino (la Primavera, la Nascita di Venere e Pallade e il Centauro) – avrebbero dovuto illustrare una redazione monumentale e pregiata del Poema, come attestato nel manoscritto Anonimo Gaddiano o Magliabechiano (Codice Magliabechiano XVII 17, 1540ca., Biblioteca Nazionale di Firenze) che cita: «[Botticelli] Dipinse e storiò un Dante in cartapecora a Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, il che fu cosa meravigliosa tenuta».

Secondo molti storici dell’arte non era la prima volta che Botticelli si cimentava nell’illustrazione della Commedia: già nel 1481 il pittore aveva dipinto una serie di tavole destinate ad essere incise per l’edizione edita da Niccolò della Magna con il commento di Cristoforo Landino: si tratta della prima edizione a stampa del Poema corredata di immagini, ma la qualità artistica delle incisioni eseguite dall’orefice fiorentino Baccio Baldini non rende giustizia all’estro di Botticelli. Di queste tavole sono pervenute a noi solo 19 incisioni a commento dei canti dell’Inferno.

Di ben altro valore artistico sono i novantatre disegni (su 92 fogli) riprodotti in questa edizione, tratti da un manoscritto del quale si perdono le tracce nel ‘500 e che nel 1632 risulta già smembrato: sette fogli sono ritrovati nella libreria della Regina Cristina di Svezia, acquistata dal pontefice Alessandro VIII per essere collocati nella Biblioteca Apostolica Vaticana, dove sono custoditi ancora oggi; altri 88 fogli (con 85 tavole) furono acquistati nel 1819 da Alexander Douglas, decimo duca di Hamilton, da cui il nome tradizionalmente attribuito al codice (Codice Hamilton 201). Nel 1882 Hamilton dovette vendere all’asta le sue collezioni che Friedrich Lippmann, direttore del Gabinetto Reale di Stampe e Disegni di Berlino, riuscì ad acquistare per il proprio istituto. Da allora i disegni sono rimasti in Germania, smembrati in due diverse collezioni dopo la seconda guerra mondiale e riaccorpati in un’unica raccolta depositata presso il Kupferstichkabinett di Berlino solo dopo la riunificazione del 1989. Purtroppo la serie non è completa: mancano le illustrazioni di otto canti dell’Inferno (II-III-IV-V-VI-VII, XI, XIV) e le tavole di due canti del Paradiso (XXXI e XXXIII), forse mai realizzate.

Botticelli, ispirato dai versi di Dante, crea un incredibile mondo visionario, ricchissimo di personaggi e dettagli in composizioni che riassumono l’intera vicenda narrata nel canto. La maggior parte delle illustrazioni per l’Inferno e per il Purgatorio presentano un numero infinito di elementi, spesso ripetuti più volte nella medesima figurazione, in un rapporto monumentale con l’ambiente che richiamano una composizione di vaste dimensioni: secondo un’ipotesi suggestiva, sposata tra gli altri dallo storico dell’arte Alessandro Parronchi, i disegni sarebbero stati realizzati come modello per la decorazione pittorica progettata da Botticelli per l’interno della Tribuna di Santa Maria del Fiore in Firenze.

La serie di disegni si apre con La voragine infernale, illustrazione completa dei gironi dell’Inferno: l’attribuzione a Botticelli di questa tavola è molto controversa, così come oggetto di dibattito è stata anche la sua collocazione in questa serie di disegni; oggi si tende a considerarla parte integrante dei fogli medicei collocati nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Questo è l’unico disegno completamente colorato: altri quattro fogli sono dipinti solo parzialmente. Nelle altre tavole Botticelli ha illustrato – se non addirittura solo abbozzato – il canto servendosi di uno stilo d’argento con il piombo, e ne ha poi ripassato i contorni con inchiostro ocra, oro o nero. I fogli, di pergamena di pecora, misurano circa 32,5 cm di altezza e 47,5 cm di larghezza, tranne una tavola doppia denominata il Grande Satana che misura 46,8×63,5 cm. Ad eccezione de La voragine infernale, le illustrazioni sono state dipinte sul lato interno e liscio della pelle mentre il testo era sul lato esterno e poroso, detto il fiore.

La Divina Commedia / Dante Alighieri ; illustrata da Sandro Botticelli ; proemio Salvatore Battaglia ; storia dei disegni Lamberto Donati ; commento alle tavole Virgilio Guzzi. – [Roma] : Canesi, [1965]. – XXXIX, 289 p. : ill. ; 33×43 cm. ((Edizione di 2000 copie numerate 1-2000, 100 copie speciali num. I-C. – Data desunta dall’occhietto: nel settimo centenario della nascita di Dante Alighieri. – In custodia (esemplare n. 1050). Collocazione: Sala 1 G 11 13.

biblioteca_mai Nessun commento

Fantasia e sublime di Piranesi. Le Carceri d’invenzione

Venerdì 2 luglio 2021, nell’Atrio scamozziano della Biblioteca, si è aperta la mostra Fantasia e Sublime di Piranesi. Le Carceri d’invenzione.
In mostra le 16 tavole della serie completa della seconda versione delle Carceri d’invenzione, messa a disposizione da un collezionista bergamasco. La serie rappresenta una tiratura precoce dei rami (probabilmente tra la metà degli anni Sessanta ed i primi Settanta del Settecento), con caratteristiche di ‘freschezza’ delle lastre che offre ottima testimonianza dell’efficacia del segno del maestro nella sua fase matura.
A corredo delle Carceri, una bella edizione delle Osservazioni di Gio. Battista Piranesi sopra la Lettre de m. Mariette e edizioni piranesiane conservate dalla Biblioteca.

La mostra nasce dalla felice collaborazione tra collezionismo privato e Istituzione pubblica e consente il godimento di una delle celebri serie di incisioni dell’artista veneto del quale si è celebrato nel 2020 il trecentesimo anniversario della nascita. Queste celebri incisioni “invenzione di luoghi insieme inferi e architettonici: ambiti di supplizi e carceri”, realizzate in due versioni, la prima fra il 1745 e il 1750, e la seconda, ampliata e con nuove incisioni, nel 1761, esprimono uno dei vertici della sperimentazione di Piranesi.

La mostra a cura di Piervaleriano Angelini e Attilio Pizzigoni, con la collaborazione del personale della Biblioteca, è visitabile sino all’11 settembre da lunedì a venerdì dalle 8.45 alle 17.30, anche nel periodo 16 luglio – 28 agosto, nel quale la Biblioteca adotta tradizionalmente l’orario ridotto. Apertura straordinaria dalle 10 alle 18 anche il 26 agosto, festa di Sant’Alessandro patrono della Città.

Gli ingressi sono contingentati per un massimo di dieci persone in contemporanea.

Qui disponibile il pieghevole in italiano, in inglese e in francese.

Read more

biblioteca_mai Nessun commento

Il De vulgari eloquentia nella traduzione di Trissino

Il De vulgari eloquentia fu composto da Dante fra il 1302 e il 1305 e rimase incompiuto in quanto fu interrotto a metà del capitolo 14° del secondo libro dei quattro probabilmente previsti.

Si tratta di uno scritto importante per scoprire come il Dante della maturità, ormai prossimo alla stesura della Commedia, consideri la lingua e la poesia in volgare. Il poeta conduce un’ampia riflessione sul linguaggio visto come caratteristica peculiare dell’uomo rispetto agli altri animali e ne ripercorre le tappe dall’origine dell’umanità, quindi da Adamo, alla dispersione linguistica conseguente alla la torre di Babele.

Dante propone un’incisiva analisi degli stili tragico, comico, elegiaco e della lingua volgare che può avere un registro illustre, mediocre o umile a seconda delle circostanze; confronta le lingue d’oc, d’oïl e di , con un latino dotato di stabilità, funzionalità e consapevole struttura interna, per affrontare poi il tema della mutabilità delle lingue parlate con dialetti diversi da una regione all’altra, fino a tracciare una carta linguistica dell’Italia. Il grande divario fra lingue parlate e lingua italiana (volgare illustre) dimostra come il volgare illustre (o volgare italiano) dimori nelle élite e sia appannaggio solo dei grandi poeti. L’autore traccia anche un ampio quadro della lirica duecentesca, dai siciliani allo Stilnovo, descrive le forme poetiche – la canzone, la ballata e il sonetto – e tratta questioni di metro, versificazione, lessico. Considerando l’opera di molti letterati del suo tempo, sia italici sia d’oltralpe, esprime giudizi talvolta impietosi e taglienti.

La Biblioteca Angelo Mai conserva un esemplare della prima edizione a stampa dell’opera (segnatura: Cinq. 5.886). Ignorata e negletta per due secoli, comparve a Vicenza nel gennaio del 1529 per i tipi del tipografo bresciano Tolomeo Gianicolo, significativamente in una traduzione in italiano ad opera di Giovan Giorgio Trissino (Vicenza 1478 – Roma 1550). Grande umanista, convinto che il latino di Dante fosse illeggibile per i propri contemporanei, decise di allestire e pubblicare un volgarizzamento preceduto da una lettera dedicatoria al cardinale Ippolito de’ Medici, scritta da lui ma firmata da un suo giovane amico, Giovan Battista Doria, forse figlio di quell’Arrigo Doria che compare in altra opera di Trissino, Il Castellano.

L’attività di Trissino si colloca all’interno del dibattito sulla lingua, che vide una grande ripresa nei primi decenni del Cinquecento, con vivaci discussioni sul primato o meno del fiorentino nella costruzione dell’italiano moderno, sull’adozione del modello petrarchesco, sulla varietà di apporti terminologici in uso nelle corti, sull’ammissione di termini arcaizzanti o anche popolareschi; tra gli intellettuali coinvolti, oltre al vicentino (che espone le proprie idee soprattutto nel dialogo Il Castellano del 1529) si ricordano almeno Pietro Bembo con il suo Prose della volgar lingua, pubblicato nel 1525, e Baldassarre Castiglione con Il cortegiano, del 1528.

Il De vulgari eloquentia, nella traduzione del 1529, ha la sua fonte in un manoscritto trecentesco conservato presso la Biblioteca Trivulziana di Milano (il codice Trivulziano 1088) riconosciuto a tutt’oggi, insieme a quelli conservati alla Bibliothèque municipale di Grenoble e alla Staatsbibliothek di Berlino, uno dei tre manoscritti con valore filologico, tutti risalenti alla metà o seconda metà del XIV secolo.

Pregevole il frontespizio che contiene una marca tipografica raffigurante un vello d’oro su un albero custodito da un serpente e le iniziali del tipografo Tolomeo Gianicolo ai lati dell’albero. Nella cornice è presente un motto in greco, in caratteri maiuscoli, ricavato dall’Edipo re di Sofocle: PAN TO ZETOUMENON ALOTON (chi cerca trova).

Il frontespizio è completato da una citazione tratta dalla Vita di Dante scritta da Giovanni Boccaccio: «Appresso gia vicino a la sua morte compose un libretto in prosa latina, il quale si intitulò. De vulgari eloquentia; E come che per lo detto libretto apparisca lui havere in animo di distinguerlo, e di terminarlo in quattro libri, o che piu non ne facesse da la morte soprapreso, o che perduti siano li altri, piu non ne appariscono, che i dui primi». L’edizione è caratterizzata da alcune particolarità ortografiche come l’uso arcaizzante dei caratteri greci omega (ω) al posto della “o” , epsilon (ε) al posto della “e”, per distinguere le vocali aperte; del nesso “ki” al posto di “chi”. Molto curata la mise en page in unica colonna con ampi margini.

L’esemplare è rilegato in coperta in carta pressata rivestita da pergamena insieme con altre tre opere di Trissino sullo stesso argomento: Il Castellano, sopra citato, La poetica, l’Epistola de le lettere nuovamente aggiunte ne la lingua italiana. Al verso del primo foglio di guardia troviamo un’antica nota di possesso della Libreria dei Cappuccini di Bergamo.

La Biblioteca possiede anche una seconda cinquecentina contenente la traduzione De vulgari eloquentia del Trissino, proposta insieme con Il Castellano in una pubblicazione ferrarese di Domenico Mamarelli del 1583 in formato tascabile (segnatura: Cinq. 1.1984). Al frontespizio si legge «Di nuovo ristampato, & dalle lettere al nostro idioma strane purgato, & ricorretto»: scompaiono le particolarità ortografiche presenti nell’edizione del 1529. L’esemplare posseduto, in un’economica legatura in cartone, proviene dalla biblioteca del Liceo di Bergamo, come si può vedere dal timbro sul frontespizio. La biblioteca del Liceo, ricca di migliaia di volumi a stampa, fu acquisita dalla Civica con decreto governativo del 1825.

Entrambe le edizioni sono disponibili in formato digitale: sfoglia l’edizione del 1529 riprodotta dalla Bayerische Staatsbibliothek e quella del 1583 dalla Österreichische Nationalbibliothek.

gestione_mai Nessun commento

La Divina Commedia stampata da Fantoni in Rovetta

Nel settembre del 1820 l’avvocato Luigi Fantoni, discendente della dinastia dei celebri scultori di Rovetta, dava alle stampe una edizione della Divina Commedia nella tipografia allestita nella casa dei suoi avi.

Su consiglio del padre, consapevole del declino della professione di famiglia, Luigi conseguì la laurea in giurisprudenza ed esercitò per un breve periodo la professione forense. Appassionato bibliofilo, coltivò gli studi letterari, filosofici e storico-artistici. Durante un soggiorno a Parigi (1811-1814) trovò, fra i preziosi esemplari manoscritti e a stampa provenienti dalle spoliazioni francesi in Italia, un manoscritto della Divina Commedia, conosciuto come Vaticano 3199; il codice, confiscato dai Francesi nel 1797 e trasferito alla Bibliothèque nationale de France di Parigi, fu recuperato nell’ottobre del 1815 e restituito dalla Biblioteca parigina alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Si tratta di un codice membranaceo di 3+80 carte, scritto e decorato nelle iniziali negli anni 1351-1353, che la tradizione vuole di mano autografa di Giovanni Boccaccio e postillato da Francesco Petrarca. L’autenticità dell’autografia è stata messa in discussione già nel corso dell’Ottocento e oggi si ritiene che il codice non sia di mano di Boccaccio, bensì l’antigrafo di due (Toledano 104.6 e Riccardiano 1035) dei tre manoscritti autografi dello scrittore di Certaldo che contengono la Commedia.

Fantoni trascrisse diligentemente il codice e, rientrato a Rovetta, maturò dopo qualche anno la decisione di darlo alle stampe. Con l’acquisto di due torchi (uno per i tipi e l’altro per i rami) e l’invio di caratteri tipografici da Padova, allestì con l’aiuto di uno stampatore e di alcuni apprendisti una vera e propria tipografia nella propria casa. Dai suoi tipi uscirono nel 1820 tre tomi, uno per cantica, stampati in ottavo e in quarto, con edizioni successive poco differenti nella veste tipografica e nei materiali.

La maggior parte degli esemplari posseduti dalla Biblioteca Mai appartengono a questa prima edizione. Sulle copertine compaiono i tre titoli La prima cantica, La seconda cantica, La terza cantica seguiti da una elegante ‘F’ (iniziale di Fantoni) coronata da nove stelle; a piè di pagina è apposta la scritta «A Rovetta in provincia di Bergamo».

Nel frontespizio, presente solo nel primo tomo, il titolo La Divina Commedia di Dante Alighieri manoscritta da Boccaccio è seguito da una marca tipografica che rappresenta un elefantino bardato e circondato da nove stelle (probabile richiamo al patronimico Fantoni – De elefantonibus). Curiosamente le note editoriali in calce non riportano il nome di Luigi Fantoni: compare invece una scritta «Roveta (sic!), Negli occhi santi di Bice, nel 1820» che rimanda probabilmente ai versi del Paradiso riferiti a Beatrice «Sanza risponder, li occhi su levai, / e vidi lei che si facea corona / reflettendo da sé li etterni rai».
Il vero e proprio colophon è posizionato al termine del terzo tomo, dove si può leggere «XIII settembre MDCCCXX/ Pio VII santiss. e gloriosiss. Papa /Felicemente impresso/ nelle case dei Fantoni/».

Il primo tomo presenta anche un’antiporta calcografica con una incisione tratta da un disegno originale di Giuseppe Bossi, proprietà del marchese Trivulzio, raffigurante Dante, Petrarca e Boccaccio in ovali.
La cantica dell’Inferno è preceduta da un’introduzione intitolata Ai cultori del Divino Poeta, in cui Fantoni, dopo aver sostenuto che il testo sia tratto da un autografo di Boccaccio, aggiunge: «Quand’anche fosse quel Codice scritto da qual che siasi copista, preziosissimo tuttavia dovrebbesi riputare tanta ne è la correzione e la costanza dell’ortografia […] e tanto ricco di Lezioni sconosciute, e affatto proprie del Poeta». Le cantiche, una per tomo, sono pubblicate senza alcun commento; alla fine del terzo tomo tre carte non numerate presentano le «Emendazioni proponibili al Codice».

Il grande bibliografo e bibliofilo francese Paul Colomb de Batines così commenta la trascrizione di Luigi Fantoni: «I vocaboli latinamente scritti, le permutazioni di caratteri affini, i fiorentinismi, i raddoppiamenti e le mancanze di lettere, le aspirazioni per lo più trascurate, le moltissime afferesi ed apocopi, e gli errori stessi per fine che si leggono nel Codice, e si leggono pure nella stampa; e sono diligentemente notati dall’editore nella prefazione» e sottolinea poi come Fantoni abbia confrontato il manoscritto vaticano con altri conservati a Bergamo, a Milano, a Firenze, a Vienna e a Montecassino. L’edizione fantoniana in sostanza segue il criterio del codex optimus (il bon manuscript) che quasi cent’anni dopo sarà teorizzato da Joseph Bédier: la pubblicazione filologicamente attentissima di un manoscritto ritenuto all’epoca il più attendibile.

Pochi mesi dopo la prima esperienza editoriale, Luigi Fantoni si rese protagonista di un curioso esperimento tipografico realizzando la stampa delle stesse tirature con uguale formato ma su carte e con caratteri in diversi colori: carta marrone-viola con caratteri bianchi, giallo-oro e arancione; carta giallo scuro con caratteri bianchi; carta giallo scuro con caratteri rossi; carta viola con caratteri gialli. I tomi furono stampati su carta ruvida di scarsa qualità, con tagli non rifilati e coperte spesso prive di titolo, realizzate con fogli di riuso generalmente in carta grigio-verde scuro.

A differenza dell’edizione precedente, tutti e tre i tomi presentano il frontespizio. Fantoni così descrisse il proprio esperimento: «poiché fui sì fortunato che per le mie stampe si pubblicasse la Divina Commedia sul Codice Vaticano 3199… ho stabilito pel grande amore che porto al Divino Poeta, di ornarlo con ornamenti nuovi e svelare così a suo onore, una ricchezza finora nascosta di questa nobilissima arte tipografica che tuttavia indegnamente esercito».

Questi volumi, di cui la biblioteca conserva più di venti esemplari sia nella tiratura ‘classica’ sia in quelle ‘sperimentali’ con carte e inchiostri colorati, costituiscono oggi una preziosità antiquaria ma furono bollati dalla critica contemporanea ortodossa come una ‘edizione infernale’. Di sicuro interesse per gli studiosi anche il fascicolo posseduto dalla Biblioteca intitolato Esperimento calcografico dell’avvocato Fantoni di Rovetta, che contiene alcune prove di stampa e una bozza, con correzioni manoscritte, del testo All’amico dantista nel quale Fantoni annuncia l’edizione, i tempi e i costi dell’impresa.

La Divina Commedia di Dante Alighieri manoscritta da Boccaccio. – Roveta : Negli occhi santi di Bice, 1820 ([Rovetta] : felicemente impresso nelle case dei Fantoni, XIIII settembre 1820). – XXXI, [1], 612,[8] p. ; 8º. – Colophon a carta 39/5r. – Segnatura: [*]⁸ 2*⁸ [1]⁸ 2-13⁸ [14]⁸ 15-25⁸ 26⁶ [27]⁸ 28-39⁸; a carta [*]1v ritratto calcografico di Dante, Petrarca, Boccaccio.

Sfoglia la versione digitale realizzata dalla Biblioteca Nazionale di Firenze.

Alcune collocazioni degli esemplari della Mai:

  • Sala 3 D 8 16/1-3 edizione “classica”
  • Locatelli 6 460 edizione “classica”
  • Salone Cassapanco 3 B 3 1 edizione “classica”
  • Sala 3 B 10 22 edizione “classica”
  • Sala 24 D 9 7 edizione in-quarto
  • 15 R 9 edizione su carta verde
  • Sala 24 C 6 4 edizione su carta scura con caratteri bianchi
  • Sala 24 C 6 5 edizione su carta verde scuro con caratteri bianchi
  • Sala 24 C 6 6 edizione su carta scura con caratteri gialli
  • Salone P 3 18 edizione su carta verde scuro con caratteri bianchi
  • Salone P 3 19 edizione su carta viola con caratteri gialli
  • 15 R 13 edizione su carta viola con caratteri bianchi
  • 15 R 29 7bis fogli in bozza.

gestione_mai Nessun commento

Il ‘Dantino’

Tra le professionalità legate al mondo della produzione libraria a stampa, meritano un posto speciale i creatori dei caratteri tipografici: se ogni epoca è rappresentata dai propri libri, essa trova espressione anche grazie alla forma dei caratteri utilizzati per la stampa.

A partire dal diciottesimo secolo i migliori stampatori europei, sperando di conquistare la gloria, si cimentano nel tentativo di realizzare il carattere tipografico più piccolo della storia. Sarà il parigino Henri Didot (1765-1862) a riuscire nell’impresa nel 1830 con il famoso Microscopico, un carattere di 2,5 punti (meno di un millimetro) perfettamente leggibile.

In Italia il piacentino Antonio Farina, nel 1834, disegna e incide su acciaio il più piccolo carattere creato dalla mano dell’uomo fino a quel momento: l’’occhio di mosca’ corpo 2 su 3 punti. Questi caratteri, fusi nel 1850 per commissione dei milanesi Giacomo e Giovanni Gnocchi da Luca Corbetta di Monza, rimasero inutilizzati per molti anni e furono acquistati dai fratelli Salmin, Antonio e Luigi. Tipografi, editori e librai di Padova, diventeranno celebri proprio per le edizioni microscopiche realizzate con questo carattere nella loro Tipografia alla Minerva.

Alla paziente opera triennale del loro operaio tipografo Giuseppe Gech si deve la composizione di una Divina Commedia nota come Dantino, stampata in mille esemplari al ritmo di 30 pagine al mese, pubblicata per la prima volta a Milano nel 1878 su commissione del libraio Giacomo Gnocchi.

L’esemplare posseduto dalla Biblioteca Angelo Mai, conservato in cassaforte all’interno di una custodia a misura, ha tutte le caratteristiche di un libro di pregio: è chiuso da una elegante legatura in pelle con i piatti decorati in rilievo e dorso con titoli e fregi impressi in oro e taglio anch’esso in oro; ha contropiatti e sguardie in carta decorata e un segnalibro in seta azzurra.

Il volume presenta all’antiporta un ritratto di Dante che precede il bel frontespizio in rosso e in nero. Formato da 449 pagine sulle quali il testo è disposto su trenta righe con ampi margini larghi ben 10 millimetri, il libro misura 50 mm x 35 mm.

Il Dantino fu una delle meraviglie del mondo all’Exposition Universelle di Parigi del 1878 – descritto all’epoca come «un vero miracolo dell’arte tipografica» – e divenne da subito famoso e ricercato dai bibliofili. La copia della Biblioteca Mai appartiene alla seconda tiratura della prima edizione: l’editore milanese Ulrico Hoepli, che aveva acquistato dalla Tipografia Salmin di Padova i fogli del Dantino, posti in luce a cura dell’editore Gnocchi nel 1878, li pubblicò con nuovo frontespizio a suo nome nello stesso anno. Della eccezionalità della sua impresa tipografica Hoepli era ben consapevole, tanto che dopo aver prodotto l’edizione distrusse i caratteri, non prima di aver ricordato tutti i realizzatori dell’opera nel colophon:

La Divina Commedia / di Dante. – Milano : Hoepli, 1878. – 499 p., [1] c. di tav. : 1 ritr. ; 6 cm. ((Ed. di 1000 esempl. In custodia. Collocazione: Cassaforte 4.5b.

gestione_mai Nessun commento

La Divina Commedia illustrata da Amos Nattini

Sulle pagine di Bergomum: Bollettino della Civica Biblioteca di Bergamo del novembre 1928 Ciro Caversazzi celebrava l’apertura, avvenuta il 3 novembre, della mostra Immagini della Commedia di Amos Nattini, nel Salone della Biblioteca. L’esposizione bergamasca si inseriva in una lunga serie di mostre che, dopo l’ostensione delle prime tre tavole dantesche nel 1915 alla Permanente di Milano, avrebbe interessato molte città italiane.

L’occasione del sesto centenario della morte di Dante nel 1921 segna infatti l’avvio del ventennale impegno dell’artista genovese Amos Nattini (1892-1985) per la realizzazione di una monumentale edizione illustrata del poema dantesco. Tra il 1921 e 1941 lavora ai tre giganteschi volumi – del peso di circa 27 chili ciascuno – che contengono le Cantiche di Alighieri. Nattini cura ogni particolare: dalla produzione della carta di puro straccio proveniente da Fabriano, all’ideazione dei caratteri ispirati ai «tipi latini primitivi» per la stampa a torchio nelle Officine dell’Istituto Nazionale Dantesco, a Milano, «nel segno dell’Aquila e della Croce a istanza di Rino Valdameri».

Al primo volume, L’Inferno, uscito nel 1931, segue nel 1936 il secondo, il Purgatorio, e soltanto nel 1941, il terzo con il Paradiso. Nel colophon è dichiarata la fine del lavoro nel 1939 e la pubblicazione di soli 1000 esemplari numerati. I grandi volumi (cm 81×65) vengono rilegati in pelle di vitello sbalzata e decorata al piatto anteriore con inserti ad impressione diversi per ciascuna cantica.

Le pesanti legature sono rinforzate da bulloni metallici e chiuse da robusti fermagli. Per sostenere e favorire l’apertura dei giganteschi volumi, Nattini fa realizzare all’ebanista Eugenio Quarti su disegno di Giò Ponti ed Eugenio Buzzi, tre diversi mobili leggii che possano adattarsi ai contesti delle grandi biblioteche pubbliche e private alle quali i volumi sono destinati. Il testo poetico, scorre su due colonne incorniciate e si alterna con le splendide litografie a piena pagina. Grazie alla profonda conoscenza dell’opera del sommo poeta, e alla grande abilità tecnica nell’uso dell’acquarello (solo il canto I del Purgatorio è realizzato ad olio), Nattini realizza dunque una impresa editoriale titanica rappresentativa, nello spirito del tempo, della grandezza della poesia e della produzione italiana. Il suo progetto, specchio del contesto storico novecentesco, affonda le radici nel culto risorgimentale di Dante, quale simbolo dell’identità nazionale ed è immerso nella cultura artistica europea di inizio Novecento, tra liberty e decadentismo.

Le 100 tavole di Nattini, che restituiscono nelle loro variazioni la lunga gestazione realizzativa, testimoniano la solida formazione accademica dell’artista, evidente nella resa ‘michelangiolesca’ delle anatomie in perenne movimento, e l’immersione nei linguaggi figurativi contemporanei tra divisionismo e simbolismo. Lo straordinario effetto dinamico, quasi un film che accompagna il testo poetico, è accentuato dall’utilizzo di tagli prospettici variati e mutevoli. Secondo la definizione dell’autore si tratta di ‘imagini’, vere e proprie visioni popolate di personaggi in abiti contemporanei che restituiscono un’idea di perenne attualità della Commedia dantesca.

La Divina Commedia / [imagini di Amos Nattini]. – [S.l. : s.n.] (Milano : Officine dell’Istituto nazionale dantesco)., 1921-1941. 3v. : ill. color. ; 84 cm. ((Il nome dell’illustratore si ricava dalla pubblicazione. – Nell’occhiello figura il copyright. di A. Nattini: 1923. – Legatura in pelle sbalzata. Collocazione: Mezzanini.

biblioteca_mai Nessun commento

La Divina Commedia dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche

Tra le edizioni di pregio della Divina Commedia possedute dalla Biblioteca, si impone all’attenzione una pubblicazione bergamasca riccamente illustrata: è una Commedia stampata nel 1934 dalle Officine dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche. Fondato a Bergamo nel 1893 l’Istituto ebbe un ruolo di eccellenza nel panorama editoriale e tipografico italiano grazie all’utilizzo delle più moderne tecnologie della riproduzione a stampa (litografia, cromolitografia, fotolitografia, ecc.) e all’alta specializzazione nella poligrafia artistica. Con il contributo dei maggiori studiosi contemporanei si distinse anche per la raffinata cura dei testi. Tratto distintivo delle pubblicazioni dell’IIAG furono proprio l’equilibrato rapporto tra testo e immagine, sempre di alto profilo, e una notevole capacità produttiva e commerciale.

La Divina Commedia, esposizione, testo e varianti di edizioni e codici insigni a cura di Nicola Zingarelli; tavole illustrative da opere antiche e moderne ordinate e commentate da Paolo D’Ancona – questo il titolo completo – è un’opera esemplare della qualità tecnologica e delle scelte metodologiche dell’Istituto: le Cantiche sono precedute da due lunghe prefazioni: Esposizione e La Divina commedia e le arti figurative, intercalate da tavole con ritratti di Dante Alighieri. La cura degli apparati paratestuali e la selezione delle opere dei maestri del passato e degli illustratori contemporanei sono affidate a due accademici di grande prestigio: il grande linguista e filologo Nicola Zingarelli, e lo storico dell’arte Paolo d’Ancona.

Il volume è arricchito da 62 illustrazioni e 177 tavole fuori testo, in nero e a colori, recanti illustrazioni tratte da miniature, incisioni e dipinti antichi e recenti, di cui 17 a colori applicate su carta spessa, e da una xilografia a due legni di Adolfo De Carolis.

Il testo è impaginato in due colonne: a sinistra le terzine dantesche in caratteri di grande leggibilità, a destra, in caratteri più piccoli, le differenze lessicali presenti nei testi presi come riferimento per l’opera (edizioni aldine, l’edizione critica di Karl Witte del 1862, l’edizione condotta da Luigi Fantoni sul codice Vaticano latino (Vat. Lat. 3199) pubblicata a Rovetta nel 1820, ed altre).

Sfogliando il sontuoso volume in 4°, legato in tela con titoli in oro al piatto e al dorso e con il taglio superiore spruzzato in oro, riconosciamo: Giotto, Sandro Botticelli, Jan Van der Straet (detto Giovanni Stradano), Federico Zuccari, John Flaxman, Luigi Ademollo, Francesco Scaramuzza, Gustave Doré, solo per citare i più rappresentati. A margine delle illustrazioni sono riportati il titolo dell’opera, il luogo nel quale è conservata, l’eventuale testo da cui è tratta l’immagine e, in calce a destra, i versi del poema raffigurati. Le illustrazioni coeve, rispecchianti il gusto dell’epoca, sono create da autori come Giovanni Battista Galizzi ed Ebba Holm. L’editore si autocita in alcune tavole illustrate da Luigi Markò, tratte da Emporium, aprile 1922.

Le tavole sono riprodotte da fotografie dai più importanti laboratori fotografici specializzati in riproduzioni artistiche e in gran parte provengono dalla Società Fotografica Alinari che è stata la prima ditta ad essere ammessa al servizio dei più importanti musei del mondo, costituita a Firenze nel 1852.

Il volume è stato depositato in Biblioteca nel 1934 in virtù della legge sul Deposito legale (all’epoca Diritto stampa), che obbliga gli editori ad inviare una copia di ogni opera pubblicata alla Biblioteca provinciale deputata alla conservazione.

La Divina Commedia / Dante Alighieri ; esposizione, testo e varianti di edizioni e codici insigni a cura di Nicola Zingarelli ; tavole illustrative da opere antiche e moderne ordinate e commentate da Paolo D’Ancona. – Bergamo : Istituto italiano d’arti grafiche, stampa 1934. – XXXII, 368 p., [1], 177 c. di tav. : ill. ; 35 cm.
Collocazione: Sala 21 G 5 20.

biblioteca_mai Nessun commento

The Divine Comedy of Dante Alighieri

Nell’Ottocento Dante fu oggetto di una grande riscoperta da parte dei letterati inglesi e in quel secolo numerose furono le edizioni della Divina Commedia pubblicate nel Regno Unito. L’autore della prima traduzione organica in inglese della Divina Commedia fu Henry Boyd che, dopo aver pubblicato a Dublino nel 1785 l’Inferno, diede alle stampe nel 1802 a Londra The Divina Commedia of Dante Alighieri, consisting of the Inferno, Purgatorio and Paradiso tradotto in versi inglesi, con saggi preliminari, note e illustrazioni; più che di una traduzione, tuttavia, si trattava di una parafrasi, strutturata su sestine dallo schema metrico «AABCCB», in cui il capolavoro dantesco viene opportunamente rielaborato e diluito.

La Biblioteca Mai conserva i tre volumi della Divina Commedia in lingua inglese editi dalla casa editrice MacMillan e Co., fondata a Londra nel 1843 e tuttora in attività: essi provengono dalla stessa collezione privata ma appartengono a due edizioni diverse.
Le prime due Cantiche, Hell e Purgatory tradotte da Charles Eliot Norton, insegnante e critico letterario statunitense, sono state pubblicate a Londra nel 1891: presentano solo la prosa in lingua inglese, tradotta dal testo di Karl Witte, con poche note esplicative a piè pagina per scelta del curatore che «vuole evitare di distrarre l’attenzione del lettore dalla narrazione». Nell’introduzione Norton spiega così la decisione di non tradurre la Commedia in poesia: «Le condizioni del verso nelle diverse lingue variano così ampiamente da rendere qualsiasi traduzione versificata di una poesia una riproduzione imperfetta dell’archetipo. È come uno specchio imperfetto che rende solo una somiglianza parziale in cui le caratteristiche essenziali sono sfocate o distorte. […]. Nessuna poesia in nessuna lingua è più informata di vita ritmica della Divina Commedia; eppure, tale è la sua straordinaria distinzione, nessuna poesia ha una sostanza intellettuale ed emotiva più indipendente dalla sua forma metrica».

La terza Cantica The Paradise of Dante Alighieri è invece stata curata e tradotta da Arthur John Butler, professore di lingua e letteratura italiana all’University College di Londra; pubblicata in prima edizione nel 1885, è stata successivamente edita nel 1891 sia a Londra sia a New York. Come Norton, anche Butler traduce la Commedia in prosa, ma l’opera presenta sostanziali differenze: il testo inglese è corredato dai corrispondenti versi in italiano tratti dal Codex Cassinensis; in calce alle rime sono riportate le differenze lessicali tra il Codice ed altre edizioni, in particolare «Le prime quattro edizioni della Divina Commedia letteralmente ristampate per cura di G. G. Warren Lord Vernon», le due Edizioni Aldine e l’edizione critica di Karl Witte; a piè pagina vi sono note molto articolate riferite al testo in italiano; il volume, infine, si chiude con un utile Glossario.

L’esemplare della Mai, proviene dalla libreria del sacerdote bergamasco Domenico Donizetti, giunta alla Biblioteca Civica per volontà testamentaria il 30 dicembre del 1896. Dotto letterato e docente di filosofia e lingue straniere nel Regio Istituto Tecnico di Bergamo, Donizetti raccolse secondo i suoi contemporanei una ‘libreria poliglotta’ per la quantità di edizioni straniere collezionate in ogni ambito del sapere.
I tre volumi sono rilegati in pelle verde e recano sul dorso titolo e autore incisi in lettere dorate, i due tomi Hell e Purgatory hanno il taglio superiore dorato. Le pagine di questa Divine Comedy conservano le glosse a matita che il professor Donizetti appose con l’intento di migliorare o correggere la traduzione. Sui frontespizi di tutti i volumi si legge una nota a matita del libraio Ulrico Hoepli con il prezzo in lire italiane, mentre sull’ultimo foglio di guardia o al verso della coperta posteriore è chiaramente leggibile il costo in sterline.

  • The Divine Comedy / translation by Charles Eliot Norton. – London : Macmillan, [18..]. – 3 volumi ; 20 cm.
    I. Hell . – London : Macmillan, 1891. – XXVI, 193 p. ; 20 cm. Collocazione: Gall. Cass. 3 F 4 9/1
    II. Purgatory. – London : Macmillan, 1891. – IX, 216 p. ; 20 cm. Collocazione: Gall. Cass. 3 F 4 9/1
  • The Paradise of Dante Alighieri / translation and notes by Arthur John Butler. – London : Macmillan, 1891. – XVI, 430 p. ; 20 cm. Collocazione: Gall. Cass. 3 F 4 10

Su Internet Archive sono disponibili versioni digitali di entrambe le traduzioni.

biblioteca_mai Nessun commento

Le edizioni venete del 1529

La Biblioteca Angelo Mai conserva esemplari delle tre importanti edizioni venete di opere di Dante Alighieri pubblicate nel 1529:

L’amoroso Conuiuio di Dante, con la additione, & molti suoi notandi, accuratamente reuisto & emendato. – MDXXIX (Impresso in Vinegia : per Nicolo di Aristotile detto Zoppino, 1529).
Si tratta della seconda edizione del Convivio stampata per la prima volta a Firenze nel 1490 da Francesco Bonaccorsi. Collocata alla segnatura CINQ.1.762, la copia bergamasca proviene dal Fondo di Monsignor Giuseppe Locatelli che fu Direttore della Biblioteca dal 1927 al 1937.

Dante De la volgare eloquenzia. Giovanni di Boccaccio da Certaldo, ne la vita di Dante. Appresso gia vicino a la sua morte compose un libretto in prosa latina, il quale si intitulò. De vulgari eloquentia; E come che per lo detto libretto apparisca lui havere in animo di distinguerlo, e di terminarlo in quattro libri, o che piu non ne facesse da la morte soprapreso, o che perduti siano li altri, piu non ne appariscono, che i dui primi. – [Vicenza : Tolomeo Gianicolo] (Stampata in Vicenza : per Tolomeo Ianiculo da Bressa, 1529 del mese di Genaro). Segnatura CINQ.5.886.

Questa è l’editio princeps della traduzione italiana del De vulgari eloquentia. Il testo dantesco è reso nella forma data dal curatore Gian Giorgio Trissino (Vicenza, 1478 – Roma, 1550). I caratteri impiegati sono corsivi, latini e greci, secondo l’ortografia tipica del Trissino, che scelse di utilizzare le ‘ε’ e ‘ω’ (minuscole greche) per distinguere i suoni aperti della ‘e’ e della ‘o’, certe varianti tipografiche di lettere latine (j, ƒ, v) e certe lettere altrimenti inutili (ç, k), in modo da rappresentare adeguatamente – a suo giudizio – tutti i suoni della lingua italiana.

Comedia di Danthe Alighieri poeta diuino: con l’espositione di Christophoro landino: nuouamente impressa: e con somma diligentia reuista & emendata: & di nuouissime postille adornata. – [Venezia : Giunta, Lucantonio <1.>], 1529 (Stampato in Venetia : per Iacob del Burgofranco, pauese. Ad instantia del nobile messere Lucantonio giunta, fiorentino, 1529 a di XXIII di genaro).

Di questa edizione del poema dantesco sono presenti nella Biblioteca Mai due esemplari, ambedue appartenuti un tempo alla Biblioteca del Liceo di Bergamo e oggi collocate alle segnature CINQ.6.1110 e CINQ.6.1111. Quest’ultima conserva la legatura originale in marocchino marrone del genere ‘a losanga-rettangolo’ caratteristica dell’Italia settentrionale. L’edizione si basa sul Commento landiniano alla Commedia. La bella edizione è stampata in folio con carattere romano e illustrata con tre xilografie a piena pagina, 96 vignette e numerose iniziali silografiche animate e ornate che riprendono i legni dell’edizione realizzata, sempre a Venezia, da Bernardino Benagli e Matteo Codecà nel 1491.

Il lettore è accolto dal frontespizio in rosso e in nero, che presenta Dante come «divino», inquadrato da due cornici figurate con effigi di poeti: a sinistra sono le effigi di cinque grandi poeti latini (Virgilio, Orazio, Ovidio, Lucrezio e Terenzio), a destra quelle di cinque grandi poeti italiani (Dante, Petrarca, Boccaccio, Pietro Aretino e Bernardo Accolti, conosciuto come Unico Aretino). Nel margine inferiore un’altra xilografia nella quale sono rappresentate, ai lati del giglio giuntino impresso in rosso, le nove muse.

Al verso della prima carta è impresso un ritratto di Dante a piena pagina, il primo ad adornare un’edizione della Commedia. Nel frontespizio dell’esemplare CINQ.6.1110 è ben leggibile la nota di possesso apposta da frate Giovan Battista da Brescia dell’ordine dei Predicatori.

Le tre grandi xilografie a piena pagina sono poste all’inizio di ogni cantica, la prima è inquadrata dalla stessa cornice del frontespizio, ma raffigurante altri poeti latini al posto dei volgari e con il motto «Sustine et abstine» in sostituzione del giglio giuntino.

Sfoglia la versione digitale dell’esemplare della Comedia conservato alla Österreichische Nationalbibliothek di Vienna.

Qui è consultabile De la volgare eloquenzia digitalizzata dalla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco.

Sempre della Biblioteca Nazionale austriaca la versione digitale de L’amoroso Conuiuio.

biblioteca_mai Nessun commento

La Commedia in cartoline, illustrate da Razzolini

Alla fine dell’Ottocento il pittore e miniatore toscano Attilio Razzolini, coadiuvato da giovani artisti del tempo (Jacopo Olivotto, Alessandrelli, Silvio Bicchi, Pochini e Tetti), illustrò i cento canti della Divina Commedia con altrettante cartoline realizzate con la tecnica rinascimentale della miniatura su pergamena. Ogni cartolina si presentava in formato doppio: sul verso si trovavano la scritta «Cartolina Postale Italiana», il riquadro per l’affrancatura e le righe per scrivere il nome del destinatario; ornavano la composizione un medaglione incastonato da un fregio col giglio di Firenze, con l’icona di Dante per i canti dell’Inferno, di Virgilio per quelli del Purgatorio e di Beatrice per quelli del Paradiso; nell’altro riquadro del verso vi era lo spazio bianco per scrivere la missiva. Nei due riquadri del recto si trovavano le illustrazioni e il testo dei canti, arricchiti da capilettera fregiati in rosso, blu e oro.

Queste cartoline furono riprodotte nel 1902 per i tipi della Alfieri & Lacroix di Milano e allora utilizzate per inviare saluti o brevi notizie. Nello stesso anno la casa editrice pubblicò l’intera raccolta di cartoline in forma di volume: ne risultò una particolarissima edizione in-24° oblungo (cm 14 x 19 circa), composta da 106 pagine litografate, non numerate, in cartoncino rigido telato, riproducenti per ovvi motivi editoriali solo il recto delle cartoline con il testo e le illustrazioni.

Il poema dantesco è introdotto da uno splendido frontespizio miniato; altrettanto decorata è la pagina che introduce ogni cantica.

I canti sono illustrati da bellissimi fregi e sontuosi capilettera: una vignetta miniata completa la composizione. Il testo è trascritto secondo l’Antica Vulgata in caratteri gotici del Quattrocento ed è disposto su quattro colonne. I versi sono impreziositi da iniziali ornate in rosso, blu e oro che richiamano le miniature medioevali. L’edizione è ovviamente priva di note e di commenti, data l’originale destinazione d’uso delle miniature come cartoline, materiale effimero per eccellenza.

La legatura editoriale è in piena pergamena con unghiature ai piatti e legacci (rimasto un solo legaccio in camoscio) con taglio superiore dorato; la copertina presenta al piatto un titolo in nero, rosso, blu ed oro; le pagine in spesso cartone attaccate su onglets.

Il volume rappresenta un esempio di adesione anche dell’editoria al gusto eclettico ispirato al revival medievale e rinascimentale diffuso a cavallo tra Otto e Novecento.

La Biblioteca Mai ha acquisito un esemplare di questa edizione nel 2017, dono della signora Fulvia Pedrinoni Arzuffi. Una nota di possesso indica la provenienza dalla biblioteca dell’Avvocato Giuseppe Battistelli (Collocazione: G 1 17033).

Sfoglia una versione digitale del volume, disponibile su Internet Archive.